Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Il Farnace”

Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, 80° Festival del Maggio Musicale Fiorentino (1933-2013)
“IL FARNACE”
Dramma per musica RV711-G, libretto du  Antonio Maria Lucchini
Musica di Antonio Vivaldi
Edizioni critica a cura di Bernardo Ticci (marzo 2013), BTE Bernardo Ticci Edizioni 2013
Farnace MARY-ELLEN NESI
Berenice DELPHINE GALOU
Tamiri SONIA PRINA
Selinda LORIANA CASTELLANO
Pompeo  EMANUELE D’AGUANNO
Gilade  ROBERTA MAMELI
Aquilio MAGNUS STAVELAND
Coro DARIO SHIKHMIRI
Attori CARMELO GALATI, CARLO RICCIOLI
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Basso continuo Giulia Nuti (clavicembalo), Simone Vallerotonda (tiorba e chitarra barocca), Michele Tazzari (violoncello)
Direttore Federico Maria Sardelli
Regia Marco Gandini
Scene Italo Grassi
Costumi Italo Grassi, Simona Morresi
Luci Valerio Tiberi
Video Virginio Levrio
Firenze, 31 maggio 2013 

Gli ottant’anni del Maggio Musicale Fiorentino che si celebrano quest’anno cadono in un momento di grave crisi economica dell’ente che ha dovuto contenere i costi delle produzioni. Ne ha fortemente risentito la programmazione che finora non ha presentato dei veri e propri spettacoli se si esclude la ripresa dell’allestimento del 2001 del bellissimo The Rape of Lucretia di Benjamin Britten per la regia di Daniele Abbado, proposto al teatro Goldoni di Firenze. Il Farnace di Antonio Vivaldi è stato presentato in una forma ibrida, a metà tra il concerto e la messa in scena. Durante le arie gli interpreti hanno cantato davanti al leggio, durante i recitativi hanno dato vita alla drammaturgia dei personaggi con movimenti di scena e recitazione. Pare che l’esecuzione di quest’opera fosse prevista in forma di concerto, ma siccome si era già rinunciato alla regia di Ronconi per l’opera di Verdi, a poche settimane dal debutto, è stato deciso di trasformare il concerto in uno spettacolo che, con molta sincerità, è risultato rabberciato e confuso.
Nelle note di regia riportate sul libretto di sala, Marco Gandini spiega che è stata scelta una forma scenica senza sovrapposizioni di costumi d’epoca o di scenografia descrittiva dei luoghi per non distrarre dalla parola. Peccato che a distrarre il pubblico ci siano state le luci di Valerio Tiberi, a volte accecanti, puntate sulla platea e il rumoroso movimento di carrelli illuminati da neon che spingevano i cantanti avanti e indietro sul palcoscenico. Nonostante queste riserve, possiamo affermare che il bilancio dello spettacolo è stato positivo. La profonda musicalità di Federico Maria Sardelli, il suo studio accurato e competente delle fonti e delle partiture è stato ottimamente al servizio di questa bella musica. La sua preparazione dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino (ridotta nel suo organico ma capace di sonorità, articolazioni e dinamiche sempre diverse e perfette) ha prodotto un risultato interpretativo di alto livello e compensato così, con la sua vasta tavolozza di colori, una frammentata e statica azione scenica. Già l’entusiasmante esecuzione della sinfonia in apertura di sipario ha introdotto il pubblico in un’atmosfera di grande concentrazione e partecipazione. L’ottimo gruppo del continuo ha sorretto e guidato bene i recitativi dei cantanti, spesso anche in situazioni evidentemente non facili date dal fatto che le sempre diverse distanze in palcoscenico (che si protraeva fino alla platea, scavalcando l’orchestra) non rendeva il loro compito agevole. Anche qui Sardelli ha saputo con discrezione e competenza dirigere i momenti più “pericolosi”. L’interpretazione delle arie dell’opera (tutte secondo la canonica forma ‘ABA’ o con da capo, con ornamenti e diminuzioni) è stata curatissima ed efficace, le variazioni sempre interessanti e allo stesso tempo misurate e sobrie, il sostegno orchestrale delle voci ben calibrato sulle diverse possibilità vocali di tutti gli interpreti e le introduzioni dei brani sempre dinamiche, coerenti e piene di colori. Da vero “teatro in musica”!
Nell’impegnativo ruolo titolo il mezzosoprano Mary-Ellen Nesi si è distinta soprattutto nelle due grandi arie “patetiche” in cui il personaggio piange la morte del figlio: prima, all’inizio del secondo atto, in quella di questa versione del 1738 (Perdona, o figlio amato) e poi nella più celebre e bellissima aria della versione del 1727, Gelido in ogni vena, utilizzata come brano di chiusura spettacolo di questa partitura incompleta. In questi due brani la voce dell’artista ha dimostrato un’ottima qualità di suono e una magistrale capacità di canto legato, con colori morbidi e dolcissimi davvero notevoli, e delle mezze voci di notevole espressività che hanno suscitato grande commozione. La voce della Nesi, invece, nell’aria di “furore” del secondo atto (Gemo in un punto e fremo) è risultata di volume non adeguato all’acustica della sala in rapporto alla sonorità dell’orchestra, per cui l’impatto emotivo della scena è stato più forte nell’ottima resa del drammatico recitativo precedente. E con una collega del livello di Sonia Prina (nel ruolo della sposa Tamiri) le loro grandi scene di dialogo e di scontro impostate sul recitativo “secco” in alternanza con quello “accompagnato” sono state un altro grande momento musicale della serata. Grazie alla sua ottima tecnica vocale e al suo carisma, Sonia Prina ha scolpito un personaggio perfetto, la regina dilaniata da diversi affetti (figlio, marito e madre) che tenta ogni possibile soluzione per salvarli tutti nello scontro titanico tra il morente regno di Ponto e il nuovo conquistatore romano. Tra l’altro, in questa partitura, al personaggio di Tamiri, a differenza di altri ruoli, non spettano arie di grande impatto: eppure con la musicalità e il senso teatrale della cantante, unite alla magistrale direzione di Sardelli, questi non semplici tre brani sono stati sublimati, arrivando al pubblico con estrema efficacia. Sonia Prina ha reso fortemente espressivo ogni suono della sua voce scura e ci ha regalato emozioni molto intense, attrice oltre che cantante sempre perfettamente aderente al testo e alla musica. Nell’altro ruolo en travesti di Gilade, il soprano Roberta Mameli si è distinta soprattutto nell’esecuzione della grande aria di bravura nel secondo atto (Quell’usignolo che innamorato), l’imitazione del canto dell’usignolo a paragone del senso di malinconica prostrazione e tensione amorosa del giovane condottiero. La scrittura vocale di questo ruolo è difficile perché di fatto costruita su una tessitura sopranile molto lunga, dal registro grave del mezzosoprano a quello acuto (e sovracuto nelle variazioni scelte): Roberta Mameli ha saputo superare la prova con sicurezza.
La figura “antipatica” della suocera di Farnace, la regina Berenice, donna sempre sconfitta, dal dente velenoso e assetata di vendetta, ha trovato in Delphine Galou una perfetta incarnazione scenica in una bella figura slanciata e allo stesso tempo splendidamente malefica. La sua interpretazione vocale e musicale è stata efficace sia nella resa dei recitativi ben declamati ed espressivi, sia nelle sue arie in cui il desiderio di vendetta e la sottile manipolazione psicologica fluivano bene nelle non facili colorature o in tutte le variazioni di accento e di colore, specialmente nella difficile aria del primo atto Da quel fer che ha svenato. Ruolo meno presente musicalmente ma molto importante nella dinamica drammaturgica è quello di Selinda, ben interpretato da Loriana Castellano che possiede una bella voce, chiara e dolce, un buon fraseggio musicale unito a una dizione molto ben articolata. Quindi totalmente adatta alla figura della principessa in catene che riesce a risolvere il pericoloso intreccio di corte a favore del fratello Farnace e soprattutto del piccolo nipote, grazie all’amore che ispira ai due uomini di diversa parte politica. Nella sua prima aria (Lascia di sospirar) ha saputo creare in maniera molto interessante tutte le variazioni dinamiche della fanciulla divisa tra due amanti. A rendere i personaggi dei romani conquistatori – il proconsole Pompeo (Emanuele D’Aguanno) e il prefetto Aquilio (Magnus Staveland) – c’erano in scena due tenori di qualità vocali diverse tra di loro. In entrambi i casi, per ragioni differenti, i due cantanti sono risultati meno convincenti delle colleghe in scena. La scrittura di queste parti tenorili rientra appieno nella prassi tardo barocca di privilegiare la parte medio-grave della tessitura, i passaggi di agilità e le ornamentazioni eleganti con solo alcune rare puntature in acuto (a meno che gli interpreti non ne aggiungano nelle variazioni del da capo). Dunque sono necessari tenori con voci dal centro sonoro e dal bel timbro brunito ma purtroppo, questa sera, chi aveva una cosa non aveva l’altra. Da una parte, il giovane Emanuele D’Aguanno, che ha una bella e sonora voce di tenore chiaro di stampo mozartiano, ha eseguito bene le non facili colorature delle sue due arie, dotato com’è di una sicura agilità vocale: tuttavia, per ingrandire il volume della sua voce, ha spesso optato per un timbro nasale che ne ha guastato il timbro, specie nella seconda aria (Roma invitta ma clemente), che ha dovuto eseguire in fondo alla scena e per la quale era prevista un’orchestrazione più piena e sonora rispetto alla prima (Non trema senza stella). Anche i suoi recitativi mancavano del fraseggio autoritario e fiero dovuto a questo personaggio: un’esecuzione vocalmente e scenicamente più simile a un “amoroso” galante (un po’ alla Ferrando del Così fan tutte), che a un generale romano alle prese con la conquista di un impero. Dall’altra parte, abbiamo trovato davvero bello il timbro vocale scuro e morbido di Magnus Staveland che offriva così al ruolo del guerriero innamorato accenti dolci e vellutati, grazie anche a un fraseggio raffinato e musicalissimo. Ma, nelle due arie, la tecnica vocale utilizzata, di stampo decisamente anglosassone, rendeva i suoi bei centri troppo leggeri e sfocati per essere uditi anche quando si trovava davanti all’orchestra e a pochissimi metri dal pubblico. Perciò, soprattutto nel brano del secondo atto (Alle minacee di fiera belva), dove il personaggio deve acquistare una maggiore energia e incisività virile, la voce era spesso sommersa dai pieni dell’orchestra, nonostante l’evidente attenzione di Sardelli a cercare di calibrare le dinamiche in crescendo. Anche nel duetto con Selinda (Io sento nel petto) bastava a coprirlo la voce della Castellano (pur confinata qui in una scrittura grave). Quindi, il suo personaggio, limitato a trovare una certa efficacia solo nelle parti più liriche dei recitativi e “cameristiche” di alcuni passaggi delle arie, è risultato indebolito e fiacco rispetto a quelli così ben delineati a tutto tondo dal cast al femminile. Nella piccola parte corale citiamo la presenza puntuale e affidabile del giovane baritono Dario Shikhmiri.

 

 

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