Verona, Teatro Filarmonico: Uto Ughi, “Violino romantico”

Verona, Teatro Filarmonico
Orchestra “I Filarmonici di Roma”
Violino Uto Ughi
F. Kreisler: Preludio e Allegro “nello stile di Pugnani”*
C. Saint-Saëns:
Introduction et Rondò Capriccioso in la minore, Op. 28
L. van Beethoven:
Romanza per violino e orchestra in fa maggiore Op. 50 n. 2
P. de Sarasate: “Carmen Fantasy”,
Op. 25
H. Wieniavski:
Polonaise in re maggiore, Op. 4 n. 1*
P.I. Caikovskij:
Meditation in re minore Op. 42 n. 1*
A. Dvo
řák: Humoresque in sol bemol maggiore, Op. 101 n. 7*
J. Massenet:
Meditation da “Thais”*
M. De Falla/F. Kreisler:
Danza Spagnola da “La Vida Breve” *
A. Piazzolla:
“Oblivion”
A. Bazzini:
“La Ronde des Lutins”, Op. 25 (bis).
*Trascrizioni per orchestra da camera di Angela Montemurro Lentini.
Verona, 6 maggio 2013
Risulta complicato e fonte di un certo imbarazzo professionale raccontare l’esibizione di personaggi di carriera e fama mondiale come Uto Ughi, quando quello che si ha da dire non è esattamente una  “sviolinata”.  I Filarmonici di Roma si presentano in un organico con archi, due corni e due oboi. Strano – pensiamo – nessuno dei brani in programma prevede quest’organico classico e così ridotto… avranno fatto trascrizioni ad hoc?
Dopo qualche minuto di attesa entra il Maestro, accolto dagli applausi di un teatro al completo. Inizia con Preludio e Allegronello stile di Pugnani” di Fritz Kreisler un programma curioso e vario composto da brani arcinoti e piuttosto brevi che, per intenderci, potremmo far rientrare nella categoria dei bis di fine concerto. La prima parte della serata prosegue con pagine di carattere virtuosistico, tutti introdotte e spiegate alla platea personalmente dal Maestro, che in esecuzione opta per tempi sempre piuttosto scorrevoli mettendo il luce il suo virtuosismo digitale. Seguono dunque Introduzione e Rondò Capriccioso di Camille Saint-Saëns, la Romanza in Fa maggiore di Beethoven e la Carmen Fantasy di Pablo de Sarasate. Il pubblico entusiasta applaude (anche quando non dovrebbe), Uto Ughi si lamenta del caldo e annuncia una breve pausa. Nella “buvette” del teatro si dipanano commenti entusiastici a non finire, e la soddisfazione del pubblico è evidente.
La seconda parte del concerto inizia con la Polonaise n° 1 di Henryk Wieniawski, un ennesimo brano all’insegna del virtuosismo tecnico – “è effettivamente un programma inusuale e molto composito, ma questi sono i brani contenuti nel CD che stasera pubblicizziamo” spiega Ughi – cui segue invece una serie di composizioni dal carattere più meditativo e melodico –  la Meditation Op. 42 di Tchaikovsky, l’ Humoresque Op. 101 di Dvořák e la Meditation de “Thais” di Massenet – in cui risultano massimamente le innate doti musicali del violinista che ne rende al pubblico un’interpretazione struggente e sempre coinvolta. Sul finire due brani dal sapore latino, la Danza Spagnola  daLa Vida Breve” di Manuel De Falla e Oblivion” di Astor Piazzolla. Pubblico in delirio e standing ovation per Uto Ughi e i Filarmonici di Roma, i quali prima di congedarsi eseguono come bis “La Ronde des Lutins” di Bazzini.
Ricapitolando: grande concerto, teatro pieno, pubblico entusiasta, dischi venduti. L’operazione commerciale quindi è riuscita senza dubbio al meglio, e con un po’ di malizia osiamo supporre che questo sia l’interesse primo di chi ha investito in tale evento. Tuttavia dal momento che di musica si tratta ci sia concesso di fare una precisazione musicale: intonazione, insieme ritmico tra solista e orchestra, e note scritte sulla partitura sono dati decisamente oggettivi. E da questo punto di vista non possiamo purtroppo nascondere una certa delusione. Al di là delle trascrizioni (non sempre efficaci, parlando eufemisticamente) operate per adattare le partiture al ridotto organico dei Filarmonici, sia il solista che l’orchestra si sono lasciati andare per tutto il corso del concerto ad un’intonazione approssimativa e molto spesso imprecisa, finendo inoltre per sbagliare diversi attacchi d’insieme. Inoltre ci sembra francamente un po’ troppo comodo da parte di un grande solista come Uto Ughi scegliere brani estremamente virtuosistici ma allo stesso tempo semplificare i passaggi più complessi degli stessi tagliando note, o mascherarne l’imprecisione con la velocità. Sarebbe forse meglio (e più onesto) comporre un programma di brani tecnicamente meno complessi ma in cui ci si possa esprimere al meglio senza “adagiarsi” sul proprio nome offrendo una performance magari coinvolgente ma qualitativamente non elevata. Cosa avrebbero da dire in proposito grandi artisti come Krystian Zimerman o Grigory Sokolov, che dopo più di trent’anni di carriera ai massimi livelli studiano ancora sette o otto ore al giorno per rimanere all’altezza di se stessi?