Intervista ad Alessia Gay

Incontro Alessia Gay dopo la bellissima Sylphide all’Opera. Piombo a casa sua dopo pranzo. Due del pomeriggio. Un caldo soffocante, quello di Roma e del quartiere di Tor Pignattara dove vive. Non la conoscevo, se non professionalmente, ma al primo impatto subito molta simpatia. Due chiacchiere, un bicchiere d’acqua, quello d’obbligo, poi il caffè naturalmente. Il suo fidanzato, futuro sposo, ci monta il ventilatore e così allevia i primi sudori. Iniziamo ad approfondire. Una bella storia, piena di fatiche, dolori ma soprattutto ostinazione e tenacia, raccontata però con serenità e leggerezza, quella di chi ha lottato, superato ed oggi sembra molto felice.
Passato, presente e futuro, Alessia. Partiamo dall’inizio. Come nasce la tua passione per la danza e soprattutto era l’unica vera grande passione che avevi?
Eh, già. Mi raccontano che per casa ho sempre girato sulle mezze punte. Un signore che ci aiutava a sistemare il giardino disse a mia nonna: “ signora porti a far vedere la bambina che cammina sempre sulle mezze punte, c’è qualcosa che non va”. In casa grazie a mio padre e mio nonno c’è sempre stata musica ed io zompettavo continuamente. A quattro anni dissi a mia madre: “mamma voglio ballare come la Cuccarini”. Mi accontentarono nonostante le gambe storte, così cominciò l’avventura. Sempre e solo quello.
Due scuole molto importanti La Scala e poi Stoccarda. Che ricordi hai dei tempi dello studio?
La Scala è stato prima un grande sogno. Feci l’audizione addirittura all’insaputa delle mie insegnanti. Mi presero per il Quarto Corso. Pensavo dentro di me: “vado alla Scala, vado alla Scala…”. Poi si è rivelato un incubo. A livello tecnico andava tutto bene, ero stata ben preparata nella Scuola del Teatro Nuovo di Torino, la sede di Casale Monferrato. Sul piano fisico non ero molto considerata, non rispettavo i canoni, ma danzai molto il primo anno: le Fate di Bella Addormentata, le Postine di Excelsior. Poi cominciai ad ingrassare e dal Quinto niente più spettacoli. La domenica quando si trattava di tornare a Milano era una tragedia. Quando scoprii di essere stata bocciata fu un sollievo. Comunque ero stata presa già a Stoccarda. Aria nuova anche se a Stoccarda si lavorava tutto il giorno, era faticoso, la lingua diversa, però l’ambiente era umano, ragazzi da tutto il mondo, i Maestri erano quasi dei genitori. La consiglierei senz’altro, la città è bellissima, grande cultura, organizzazione, il collegio all’interno, potevo vedere tutti gli spettacoli che volevo, avrò visto il Romeo e Giulietta decine di volte.
Mai pensato di mollare?
Tutti gli anni. Fino al Natale andava bene ma a Gennaio entravo in crisi. Soprattutto gli anni della Scala. I miei mi hanno sempre detto: “a Giugno fai quello che vuoi ma a metà l’anno non lo lasci”.
Finita la scuola il lavoro. Quali paure, quali difficoltà. Come mai Roma?
È stata dura. Venni a Roma per l’audizione al Balletto di Roma. Rimasi folgorata. Era la prima volta. La città pazzesca. Decisi di rimanere col grande appoggio dei miei genitori. Un anno senza lavorare. Diciamo un anno sabbatico. Discoteca, serate, tante amicizie al di fuori del mondo della danza. Andavo a studiare allo IALS. Tutti i tipi di lezione, di stili, contact, jazz, e naturalmente classico. Poi feci l’audizione per la Compagnia di Raffaele Guerra. Non ci volevo neanche andare, era di domenica, proprio non mi andava. Il mio coinquilino mi costrinse. Mi presero e durante il periodo di lavoro conobbi Luc Bouy che all’epoca lavorava in Teatro. Mi disse di provare l’audizione, era convinto potessi piacere a Carla Fracci. Mi rimisi in forma. Nel frattempo provai al San Carlo. Arrivai fino alla fine ma non mi presero, però mi diede fiducia. Non ne ho mai avuta in me stessa. Servì a caricarmi e infatti poi all’Opera andò bene. Vedi? Non si può mai dire.
Se non fosse stata Roma, cosa sognavi? Se ti avessero chiesto di scegliere?
Sogni tanti. Pensa che a Roma incontrai Mara Galeazzi. Venne a fare Corsaro. Le ero piaciuta e ci fu subito simpatia, addirittura mi regalò il suo tutù. Voleva presentarmi al Royal Ballet ma io stupidamente rifiutai. Ero appena entrata in Teatro. Mi spaventava l’idea di andare via di nuovo. Da troppo tempo non avevo un po’ di stabilità e poi i primi soldi guadagnati. Magari non mi avrebbero presa. Lei rimase un po’ male, una bella persona molto disponibile.
Il primo impatto con la Compagnia?
Primo impatto? Incontrai Mario Marozzi, non lo conoscevo. “scusi, mi sa dire dov’è il camerino?” lui mi accompagnò, gentilissimo e disponibile. Poi tutti mi dissero: “ma ti sei fatta portare in camerino da Mario Marozzi?”. Ma io non sapevo che fosse lui. Poi provavamo Lago della Samsova. Ero sostituta. La Compagnia era stanca e la Samsova decise di far provare il secondo atto alle sostitute. Panico. In tre facemmo tutto l’atto. Pose comprese. Lì ricevetti l’ok della Compagnia.
Sembra filare tutto liscio quindi, dai primi ruoli fino a La Sylphide. All’epoca Carla Fracci era Direttore: immagino un’esperienza non da poco. Cosa ti ha insegnato?
Lei ovviamente grande artista, grande ballerina e poi grande attrice. Mi ha insegnato l’importanza del gesto. Mi ricordo il giorno in cui venne da me a dirmi che avrei danzato. L’ospite si era ammalato e ci fu poco tempo per provare, ma solo a guardarla imparavi.  Poi fu contenta, anche ed anche Menegatti. Alla fine mi disse: “ Brava ti sei ricordata tutto tranne il double rond de jambe…” in effetti, poi in quattro anni l’ho imparato. Ero felice, potevo sostenere un ruolo così. Sentii anche la Compagnia molto vicina, e le sarte poi, avevo il camerino pieno di cioccolatini, fiori.
La tua bella Sylphide. Una grazia ed una facilità che colpiscono. Sembra tu abbia danzato sempre questo. Eppure potrebbe sembrare un ruolo fuori dal tempo… antico. Che emozioni ti dà?
Sì, forse un po’ antica, ma io sono antica. Un po’ “Ottocento”. Eppure la trovo attuale, a parte come viene rappresentata, ma la ricerca dell’amore impossibile o della donna perfetta, tu capisci che alla vigilia del mio matrimonio…
Certo, capisco… ma poi ne parliamo, sai? Ma andiamo per ordine: parliamo di Eden di Maguy Marin con Riccardo Di Cosmo. Siamo agli antipodi del repertorio classico. Un pezzo straordinario. Difficilissimo. Di rara bellezza.
Sì, fu difficile, difficile. Stavo addosso a Riccardo per la durata intera. Faticoso. Imbarazzi eliminati, posizioni assurde. Bello il ricordo di Maguy, pur essendo già un po’ avanti con l’età mostrava tutto.
Cosa ti ha detto poi? Vi ha visti in scena?
Sì, sia me e Riccardo che il secondo cast. È rimasta per due sere, non succede spesso. Fu molto contenta. Ho dovuto dimenticare tutto quello che avevo fatto fino ad ora per quel pezzo e ricominciare, ma lavorammo bene col suo assistente Ennio San Marco, una persona di una pace ed una tranquillità incredibile, mentre noi eravamo con gli occhi fuori dalle orbite. A vedere il video sembrava facile. Loro ci lavorarono tre mesi noi in tre settimane lo abbiamo imparato, anche se certi giorni proprio non funzionava, non c’era niente da fare. Alla fine riuscii a sentirlo ma con gli occhi chiusi però. Una bellissima sfida.
Ultimamente la compagnia ha danzato un pezzo di Francesco Nappa. Neoclassico  di stampo fortemente nord europeo. Cosa rara però qui a Roma. Non ti manca quel genere di repertorio? Qualcosa di simile a Kylián o Forsythe per parlare dei classici? O qualcosa che spinga oltre la ricerca sul movimento?
Sicuramente. La danza ormai è a 360 gradi. Impazzirei a danzare Pina Bausch. Sicuramente andrei in crisi, chissà? Mi ci vuole un po’ ad entrare in dinamiche nuove, ma poi non me le dimentico più, diventano mie. Certo danzare Kylián, che bello, o Mats Ek, ancora di più. Speriamo, anche perché con Francesco ci siamo divertiti molto. Io ero secondo gruppo ed ho trovato il pezzo già pronto ma lui mostrava tutto, giovane e con un movimento bellissimo. Il rapporto che si è creato è stato molto bello, rispetto vero, una bellissima esperienza. Certo un po’ di panico l’ho avuto.
Hai ancora panico prima di andare in scena?
Direi più ansia da prestazione, anche quella sera all’inizio ho chiuso gli occhi. Ha funzionato ancora. Nel classico sono più tranquilla conosco i miei punti forti ma anche i miei limiti. Mi esalto ed entro in sfida. Nel contemporaneo mi sento sotto giudizio quindi occhi chiusi e via.
Per tornare al classico questa coppia Rezza-Gay fa faville a Roma. Sembrate molto affiatati, giuste proporzioni, ed entrambi con una tecnica limpida, brillante. Com’è il vostro rapporto?
Subito dalla prima volta siamo andati d’accordo. E poi dallo Schiaccianoci del 2011 siamo cresciuti tanto insieme soprattutto nel pas de deux. Bellissimo feeling, stesso modo di vedere la danza ed il lavoro. Partecipando a molte serate fuori dal teatro ci siamo affiatati sempre più. Flamme de Paris, spesso La Sylphide. Don Chisciotte è stata la prova del nove. Balletto lungo, difficile, tante ore insieme. È nata una bella amicizia. Durante la diagonale di pirouettes en suivi del primo atto sentivo che urlava: “vai, vai”. Ultimamente La Sylphide tutta intera, insieme. È stato bello. La mattina alla sbarra studiamo vicini. Lui arriva prima ma due chiacchiere sempre prima di cominciare. Ora lo vedo provare L’Arlésienne di Petit. Lo osservo con ammirazione. Tra l’altro è bravissimo e per me danzare con lui è un onore.
A proposito di “bravissimo”, non si finisce mai di perfezionare, migliorare, è la vita del danzatore. Con quale parte di te non vai d’accordo e di cosa invece vai molto fiera?
Guarda, posso dire? Ho imparato ad accettarmi. Prima il nulla. Poi cavolo. Mi son detta, proprio il nulla no! Per il resto non sopporto il mio penchée, non solo elastica ma sono molto forte. D’altronde non ho mai avuto un corpo facile da lavorare, dotato. Non certo come ce l’hanno le russe. Su una base diciamo buona mi sono impegnata per migliorare sempre, puntando soprattutto sulla qualità, sul modo di portare il movimento dai piedi in poi. La tenacia non mi manca affatto e ne sono orgogliosa, l’esperienza poi completa il tutto.
Ogni danzatore ha un maestro di riferimento, un maestro che nel passato o nel presente ha lasciato un segno: chi ti viene in mente?
Ce n’è più di uno. Bisogna ascoltare tutti. Provare. Il Maestro Stepkine è stato il primo che ha creduto in me. Tra l’altro lavorando con lui in un occasione conobbi Oderigi, il mio fidanzato. È nato l’amore. Poi Luc Bouy che mi spinse ancora di più ad andare oltre, grande carica. Col Maestro Strajner ho un rapporto d’amore odio, però è stato molto importante per me. Ero manierata nel movimento, un po’ antica. Con lui ho portato l’attenzione al lavoro della parte inferiore. Patrice Bart quando è venuto mi ha illuminato. Lavoro dei piedi, il glissato. Il Par terre. Ora mi prendono in giro perché glisso e glisso in continuazione. Certo a Caracalla non era facile, con quel palcoscenico, allora ho inventato il… glissè en l’air.
Un ruolo che devi danzare assolutamente, che senti già tuo, del quale senti di non poter fare a meno?
Aurora. Da sempre. Vidi su tele +3 una Bella Addormentata con Larissa Lezhnina. Era magnifica. L’ultima Bella Addormentata in Teatro, quella di Paul Chalmer, ero sostituta. La studiai. In quella produzione c’erano molte ospiti ma nessuna in quella prova. Serviva un Aurora e mi disse: “prova tu!” feci tutto il primo atto, l’adagio della rosa, la variazione. Dissi fra me e me che prima o poi avrebbe dovuto accadere. Poi magari non sarei in grado.
Ma no, credo invece che sia un ruolo molto adatto a te.
Lo spero tanto, davvero.
A tal proposito, pensi che l’Opera ti stia dando le giuste opportunità?
Sì e no. Ho danzato molto anche con ospiti importanti. E poi ruoli che a volte pensavo fossero oltre le mie possibilità. Ricordo le cinque repliche di Tchaikovsky pas de deux, senza ospiti, tutte per me. In quell’occasione danzai con Giuseppe Picone. Bello. Insomma un posto fino ad ora c’è stato sempre. Certo se avessimo la possibilità di danzare di più, avere più recite. L’unico modo per acquisire sicurezza.
Eh già, il solito problema: il danzatore si forma in scena…
Certo. In quel Tchaikovsky pas de deux dopo la seconda serata ho cominciato a pedalare. Poi andai tranquilla.
Passiamo al privato, Alessia. Molti non immaginano che una danzatrice possa avere una vita casalinga… magari dolorante, esausta dopo una giornata di prove. Insomma sei una minuziosa e precisa donna di casa, una provetta cuoca o un’inguaribile disordinata?
Decisamente disordinata. Eppure da quando convivo col mio compagno mi sono impegnata e abbiamo trovato un punto d’incontro. Lui è molto preciso ma anche io sono brava, sai? E cucino pure. Lui arriva tardi la sera. Non credo possa dire che mi dia piacere, magari seguo un po’ la Parodi e personalizzo. Meno male lui sa fare un sacco di cose ma non stira. Io sì, poi faccio il punto-croce. Se imparo a fare la pasta in casa divento quasi una donna da sposare.
Infatti il tuo prossimo impegno è di quelli che contano: il matrimonio. Altro tipo di emozione.
Sono un po’ agitata, ma vedrò quel giorno. Noi stiamo insieme da otto anni e conviviamo da quattro. Un rapporto profondo ed il matrimonio è stata un evoluzione naturale.  Non vedo l’ora. Abbiamo rimandato già, mia madre non stava bene e decidemmo di aspettare che si rimettesse. Purtroppo non è stato così, grande rammarico. Quel giorno ci sarà una mancanza importante.
Immagino che il tuo futuro marito sia il tuo più grande fan?
Sì, sicuramente. Ama la danza e ormai ne è un profondo conoscitore. Mi critica pure. Un po’ rimango male, da lui mi aspetto solo complimenti. In realtà poi quando arrivano so che sono veramente sinceri. D’altronde è un musicista. Mi sopporta ma mi capisce pure. Dopo Don Chisciotte con tutte le mie ansie mi ha detto: “possiamo riprendere un rapporto normale io e te?”
Ora passiamo al futuro. Un tuo sogno, qualcosa di grande ma non troppo lontano…
Un figlio sicuramente. Ho sacrificato molte cose per questo lavoro, la famiglia, i rapporti. Sarebbe molto bello. Certo a Roma non è facile. La mia famiglia è lontana, ma questo resta il mio sogno.
Come ti immagini tra vent’anni?
Mi piacerebbe moltissimo rimontare balletti. Contrariamente al mio privato nel lavoro sono molto precisa. Sarebbe bello lavorare con un corpo di ballo, d’altronde non ho una passione per l’insegnamento. E magari perché no, tornare all’università, studiare. Devo dire che non so se immagino il mio futuro a Roma. Sia io che il mio fidanzato veniamo da un posto piccolo, tranquillo. Chissà…
È stato veramente un piacere incontrarti. Spero sarà il primo di una serie. Ti auguro grandi soddisfazioni.
Grazie. Ha fatto piacere anche a me e mi sono molto divertita. Ora posso andare a ritirare il mio vestito da sposa.