Macerata, Opera Festival 2013:”Nabucco”

Macerata, Arena Sferisterio, Opera Festival 2013
“NABUCCO”
Opera in quattro atti. Libretto di Temistocle Solera.
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco ALBERTO MASTROMARINO
Abigaille VIRGINIA TOLA
Zaccaria GIORGIO GIUSEPPINI
Ismaele VALTER BORIN
Fenena GABRIELLA SBORGI
Gran Sacerdote di Belo FRANCESCO FACINI
Abdallo ENRICO COSSUTTA
Anna ANNA MARIA STELLA PANSINI
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Coro Lirico Marchigiano “V.Bellini”
Banda “Salvadei” Città di Macerata
Direttore Antonello Allemandi
Regia Gabriele Vacis
Scene, costumi e luci Roberto Tarasco
Macerata, 19 luglio  2013

Con un alto livello di attualizzazione, il Nabucco verdiano con la regia di Gabriele Vacis ha aperto la stagione lirica all’Arena Sferisterio di Macerata. La funzione celebrativa dell’anno verdiano e la messa in scena di una tipica opera da arena hanno fatto tutt’uno con la tematica  generale che dà il titolo al Macerata Opera Festival 2013: “Muri e divisioni” e la direzione artistica di Francesco Micheli non fa che continuare un discorso basato sul senso di diversità e di appartenenza relativo alle varie dimensioni etnico-politico-culturali  iniziato lo scorso anno a Macerata. E così durante la sinfonia di apertura non potevano mancare i filmati sparati d’emblée sull’immenso muro di cinta dello sferisterio che incombe sul palcoscenico: inquadrature di realtà urbane gerosolimitane palestinesi e israeliane a tratti crude, a tratti bagnate di tenerezza a seconda del degradare delle sezioni musicali verso il famoso tema del Va’pensiero e quello della maledizione. L’uso delle bottiglie di plastica per raffigurare una città di Gerusalemme in miniatura praticabile sul palcoscenico e poi i fondali mobili fatti dello stesso materiale per Babilonia erano investiti di accrocchi simbolici. Così  la violenza sessuale alle giovani vergini cui si alludeva alla fine del primo atto  veniva realizzata sostituendo al collo delle figuranti il nastro ceruleo con uno rosso dipanato dalle loro stesse mani dai conquistatori babilonesi. E di grottesca necessità rituale era il denudamento dei giovani guerrieri per dimostrare di non essere infiltrati kamikaze durante l’aria di Zaccaria. Anzi, la presenza di materiali e di gestualità di valenza simbolico-rituale era così onnipresente da rendere vana qualsiasi esigenza di verosimiglianza; c’era quindi ben poco da stigmatizzare, proprio per il sotteso valore rituale, la goffaggine dei figuranti bambini costretti all’esercizio di imbracciare le armi ed ingaggiare una lotta all’interno della città–bottiglia. Vale per tutte la dichiarazione del regista Gabriele Vacis: “Sono rimasto molto colpito da un episodio che succede a Gerusalemme. Quando c’è qualche tafferuglio, quando ci sono disordini, la prima cosa che succede nei Territori è che manca l’acqua, tolgono l’acqua… Allora ho pensato alle parole di Vandana Shiva, una filosofa e una sociologa indiana che dice che “le guerre del futuro si combatteranno per l’acqua“. Quindi la mia Gerusalemme è ( … ) fatta tutta di bottiglie, di recupero tra l’altro. Così come i muri di Babilonia sono di bottiglioni, quelli che utilizziamo per bere l’ acqua negli uffici e che ci ricordano che dobbiamo avere cura della terra e dobbiamo avere cura dell’acqua, di tutti i beni che ci sono stati donati.”
La fragilità e fluidità dei rispettivi contenitore e contenuto potevano anche alludere alla precarietà dei rapporti israelo-palestinesi, per cui all’interno della Gerusalemme vitrea ogni movimento doveva essere ben calcolato come in quella fatta di mattoni e cemento. Bisogna proprio dire  che il linguaggio scenografico e delle luci di Roberto Tarasco presentava una certa immediata chiarezza, quasi mutuata dai loci di una sacra rappresentazione, per cui l’immensa parete muraria dietro il palcoscenico rimandava al muro che si sta costruendo in Israele e la dura realtà di divisione tra popoli, mentre le delimitazioni realizzate con le trasparenze delle bottiglie inondate di luci sgargianti e cittadine potevano ben rimandare all’elemento comunicante e civilizzante per eccellenza, l’acqua, che accomuna i popoli dopo averli resi nemici per il suo possesso.
Per venire agli interpreti vocali credo si possa parlare di un cast abbastanza discontinuo seppure con notevoli punti di forza, ma Alberto Mastromarino nel title-rôle era per lo più fuori personaggio sia scenicamente che vocalmente: a meno che non si volesse mettere l’accento sulla desolata vecchiaia di Nabucco e rappresentare un vecchio militare tenerone al limite del ridicolo, la prova di Mastromarino è risultata poco convincente fin dal suo ingresso e, anche se esente da incidenti vocali durante il primo e secondo atto (ma dov’era la fierezza regale del sovrano assiro? Come emergeva la sua ybris tragica? Non serve calcare la dizione per dare l’impressione di interpretare bene.), il tentennare continuo sulla scena e la mancanza di sicurezza nell’accento hanno largamente anticipato dal lato interpretativo la catastrofe che si è poi verificata anche dal lato vocale nell’aria “Dio di Giuda”, nella cabaletta “O prodi miei” e nelle frasi del finale. Punto di forza  notevole è stato lo Zaccaria del basso Giorgio Giuseppini che ha mantenuto costante il livello emotivo elevato e coinvolgente del personaggio, con una vocalità eclatante e uniformemente ampia  nella zona grave; così si può anche non eseguire il da capo della cabaletta del primo atto,  per poi essere convincente nello staccato verdiano della stretta con il coro dopo il “Va’ pensiero”. Incerta situazione vocale quella invece del tenore Valter Borin  in Ismaele: a parte il discutibile colore, in vari, troppi momenti si notava una mancanza di flessibilità nelle dinamiche che tradiva un’impostazione vocale spinta e al limite della precarietà nell’intonazione. Magnifica  peraltro la prova della Virginia Tola in Abigaille al suo debutto nel ruolo; dotata di freschezza vocale unita a credibili effetti di soprano drammatico di agilità con una zona grave eloquente e sicura (smagliante  il salto delle due ottave  nel  “fatal sdegno”), la Tola ha sfoderato padronanza nella voce di petto che ha usato in modo espressivo nei momenti più concitati –anche nel duetto con Nabucco del terz’atto- ed evitato invece nell’aria “Anch’io dischiuso un giorno”, per far emergere la dualità interiore di Abigaille resa scenicamente con una gestualità e una mobilità sur scène incisiva e iperbolica in linea con il suo carattere luciferino. La Fenena di Gabriella Sborgi  ha messo in campo buone capacità sceniche a fronte di un tecnicismo vocale troppo scoperto ed evidente nell’aria “O dischiuso è il firmamento”, dove l’unico acuto in cadenza è risultato intubato e poco espanso . Per concludere la compagine vocale sono risultati  buone voci dei ruoli di fianco  idonee alla spazialità acustica dello sferisterio il basso Francesco Facini ( Gran Sacerdote di Belo), il tenore Enrico Cossutta (Abdallo)  e il soprano Maria Stella Pansini (Anna).  Evidenti pregi della direzione orchestrale del M° Antonello Allemandi alla testa della  Orchestra Regionale delle Marche  sono balzati all’orecchio con il rilievo dei colori timbrici verdiani e la esaltazione dell’efficacia dei noti ritmi bandistici presenti nell’opera ben scanditi anche dalla Banda  “Salvadei” Città di Macerata. Grande  successo hanno infatti riscosso i concertati e le parti  corali con il Coro Lirico Marchigiano  “V.Bellini”.

Lascia un commento