Spoleto, 56° Festival dei Due Mondi: Mark Morris Dance Group

Spoleto, 56° Festival dei Due Mondi, Teatro Romano
MARK MORRIS DANCE GROUP
Direttore artistico e coreografie di Mark Morris
Interpreti: Chelsea Lynn Acree, Sam Black, Rita Donahue, Benjamin Freedman*, Lesley Garrison, Lauren Grant, Brian Lawson, Aaron Loux, Laurel Lynch, Stacy Martorana, Dallas McMurray, Amber Star Merkens, Maile Okamura, Spencer Ramirez, Brandon Randolph*, Billy Smith, Noah Vinson, Nicholas Wagner*, Jenn Weddel, Michelle Yard (*apprendista)
MMDG Music Ensemble:
Owen Dalby, Colin Fowler, Andrew Janss
“The Argument”
Musica Robert Schumann (Fünf Stücke im Volkston)
Costumi Elizabeth Kurtzman, luci Michael Chybowski, violoncello Andrew Janss, pianoforte Colin Fowler
Interpreti: Dallas McMurray, Maile Okamura, Spencer Ramirez, Noah Vinson, Jenn Weddel, Michelle Yard
“Candleflowerdance”

Musica Igor Stravinsky (Serenade in A), costumi Katherine M. Patterson, luci Nicole Pearce, pianoforte Colin Fowler
Interpreti: Rita Donahue, Lauren Grant, Aaron Loux, Billy Smith, Noah Vinson, Jenn Weddel
“Excursions”
Musica Samuel Barber (Excursions for the Piano,Op. 20, IV, III, II, I)
Costumi Katherine M. Patterson, luci Nicole Pearce, pianoforte Colin Fowler
Interpreti: Rita Donahue, Laurel Lynch, Dallas McMurray, Billy Smith, Noah Vinson, Michelle Yard
“Silhouettes”

Musica Richard Cumming (Silhouettes – Five Pieces for Piano)
luci Michael Chybowski, pianoforte Colin Fowler
Interpreti: Sam Black, Lauren Grant
“Polka”

Musica Lou Harrison (Grand Duo for Violin and Piano, Mvt 4)
Costumi Susan Ruddie, luci Michael Chybowski, violino Owen Dalby, pianoforte Colin Fowler
Interpreti: Sam Black, Rita Donahue, Lesley Garrison, Lauren Grant, Brian Lawson, Aaron Loux, Laurel Lynch, Dallas McMurray, Maile Okamura, Spencer Ramirez, Billy Smith, Noah Vinson, Jenn Weddel, Michelle Yard
Spoleto, 5 luglio 2013
Mark Morris mi capita seduto accanto per una breve intervista prima dello spettacolo ed io al momento in cui va per scomparire dietro le quinte, non so come, gli metto in mano l’iPad (e l’apposita penna) chiedendogli un autografo. Lo faccio rimanere esterrefatto tanto che ad alta voce esclama che mai prima gli era capitato di fare una dedica in quel modo. Ridono gli astanti, e, catturata così la sua attenzione, faccio in tempo a chiedergli anch’io una cosa, pur non avendo ancora visto lo spettacolo, e per questo scusandomi della deficienza; del perché della musica dal vivo. Mi risponde che il lavoro di ricerca col suo corpo di ballo è stato proprio quello di trovare le connessioni tra suono strumentale e gesto posturale, e che avrei capito dopo la visione dello spettacolo.  Appena prima aveva detto che lavorare in un’opera (lirica) costituisce l’optimus per la correlazione diretta tra il lavoro con i ballerini e quello coi musicisti, che ora ha a disposizione nel MM Music Ensemble.
A fare eco alle sue parole interviene Marco Melia, un pianista e compositore (che rivela di aver lavorato per Pina Bausch), che ha assistito alle prove e ha preparato il pianoforte per la performance, che sa che Morris cantando riesce a impartire al ballerino le istruzioni. Per mia fortuna sa anche suggerirmi dove venirmi a sedere per non soffrire tutto il tempo per la postura assai costretta. In effetti il Teatro Romano di Spoleto avrà anche un’ottima acustica ma stipa gli spettatori stretti stretti a destreggiarsi fra il mal di gambe e il mal di schiena, puntellata dalle ginocchia dello spettatore seduto sul gradone superiore.
Appena prima che si spengano le luci,  vado a rileggere il programma e vedo che non vi è titolo allo show e lo si potrebbe definire un “the best of” con le pluripremiate coreografie del nove volte laureato honoris causa Mark Morris, classe 1956. Un vero mostro sacro della danza contemporanea, nato e cresciuto a Seattle, città già nota per la sua dedizione all’arte (letteraria), ma conosciuto in tutti i principali teatri del mondo nei quali ha allestito balletti e opere liriche. La sua Mark Morris Dance Group (MMDG) risale al 1980, da allora sempre rinnovata da giovanissimi ballerini e oggi in tournée in Italia, prima a Spoleto (5, 6 e 7 luglio 2013), poi a Ravenna (l’11), grazie alla MetLife Foundation. La sua costanza nella ricerca teatrale degli esordi da regista è ora diventata un’arte dello scouting, nello scoprire talenti nel suo Dance Center a Brooklyn, uno “spazio sociale per la realizzazione di programmi di sostegno per i bambini e gli anziani e scuola di danza per studenti di tutte le età e abilità”. Si tratta di un “Music and Literacy Project”, cioè di un programma di residenza nell’ambito del sistema scolastico pubblico di New York, che utilizza il capolavoro di Morris: L’ Allegro, il Penseroso ed il Moderato per introdurre gli studenti alle arti sceniche e visive” (ndr).
Si inizia con “The Argument” (C) 1999. Una coreografia a 6 riprese su musica di Schumann, il ” Fünf Stücke im Volkston” (Cinque pezzi in stile folk), che apre con “Vanitas vanitatum” e chiudere riprendendolo, mit Humor. Questo brano è come un saggio di bravura per violoncello ballato pensando al refrain di “In the mood for love” dove la coppia che nel film si prende-si lascia-si cerca-si abbandona, qui fa lo stesso ma con umorismo poiché la partitura è priva della parte aritmica centrale e perché un po’ scherzosa; di fatto la coppia gioca con spinte, toccate e corse fuori scena.

Poi è “Candleflowerdance” (C) 2005. La coreografia per Susan Sontag sulla celeberrima Serenade in A di Stravinsky per solo pianoforte. I ballerini, stavolta con indosso le variopinte camicie di Katherine M. Patterson, quando si assembrano somigliano a delle composizioni floreali e quando si spostano lo fanno su percorsi iscritti in un quadrato (fatto sul palco col nastro adesivo di carta). L’intento coreografico ha lo strano tono di ossequio per un lutto in cui i ballerini-candela ricopiano il moderno Kathakali teatrale indiano, per la descrizione di diagonali quando cadono all’unisono entro i bordi interni degli angoli opposti del quadrato e si rialzano, come appunto l’affievolirsi del  fuoco delle candele sospinto dal vento che ritorna sereno al cessare improvviso di questi. Peccato che poi la Nachtmusik di Stravinsky diventi monotona e così il ripetersi delle scene, anche se speculari.
Con l’intervallo, mentre mi sgranchisco le gambe, navigo sul profilo di Morris e leggo della sua collaborazione con altri due pilastri della danza: Merce Cunningham e Michail Baryšnikov, il primo artefice del nuovo rapporto tra la danza, la musica e l’arte figurativa (intesa come scenografia); il secondo amico e copresidente con lui di una compagnia di ballo. Mi soffermo su Cunningham e penso allora a come Morris abbia personalmente trasposto la citazione all’arte figurativa sul gesto scenico, quando i suoi ballerini corrono tenendosi per mano è come vedere le “Due donne che corrono sulla spiaggia” di Picasso, dove la figurazione picassiana è suggerita anche per le vesti e per le posture delle braccia in “Le bagnanti”. La proiezione del gomito al cielo con la mano dietro la nuca richiama “Il satiro ubriaco” (scultura ellenistica della Gliptoteca di Monaco) e “Lo schiavo morente” di Michelangelo del Louvre.
Seguono “Excurisions” (C) 2008 e “Silhouttes”(C) 1999, l’uno moderno, l’altro classico. Il primo di respiro corale, il secondo intimo di coppia, ma entrambi chiarificatori dell’intento morissiano, di connessione tra danza e musica per cui tra il musicista e il ballerino c’è quella “leap of faith that you have to take every time”, un atto di fede ad ogni nota. Uno stile, certo, un gran bel lavoro cooperativo, sicché l’intesa di rimanere sempre sincroni se troppo abusata rischia di distrarre lo spettatore dall’intento narrativo perché concentrato nel gioco dello “scopri l’errore”, che puntualmente si scorge, ovvio, ma che non pregiudica in nessun modo il nostro afflato. Maniacale e premuroso, eccentrico e simpatico, Mark segue attento i suoi ballerini per tutto lo spettacolo con in mano il suo bel bicchiere di vino rosso (Chianti?) che ritorna pieno dopo ogni pausa.
A chiusura del lungo spettacolo, dopo un secondo breve intervallo, non in programma, c’è la sua “Polka” (C) 1992, il suo cavallo di battaglia, perché proprio questo ballo coi passi camminati (tra il liscio e il folk) è l’ideale per chiudere il cerchio, anzi per disegnarne uno con tutti i sui quattordici ballerini, che girano come ingranaggi sulle note del violino che qui offre un ritmo convulso e sincopato. Il summa della danza folk: il tribale, che unisce il gesto al suono, in Morris è privo di qualsiasi espressione del viso, e di suono vocalico. I soli suoni che in quest’ultimo quadro coreutico danno il ritmo, oltre a quelli strumentali, sono solo quelli delle mani che battono sui corpi, dei piedi (rigorosamente nudi) che strisciano sullo stage e dei corpi che cadono fragorosamente per terra dove assumono una posizione distesa, prona e poi supina (figure come tasti o corde di uno strumento musicale). Gli applausi finali sono stati davvero lunghi e scroscianti, che il coreografo e regista americano al centro sullo stage ha prontamente indirizzato ai musici, di lato, bravissimi e giovanissimi come tutti i componenti del Mark Morris Dance Group.