«Inter oves locum praesta»: il bicentenario verdiano alla RAI di Torino

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro Filarmonico Cèco di Brno
Direttore Juraj Valčuha
Maestro del Coro  Petr Fiala
Soprano  Hui He
Tenore  Francesco Meli
Mezzosoprano  Marianna Pizzolato
Basso  Aleksandr Tsymbalyuk
Giuseppe Verdi : “Messa da Requiem”, per soli, coro e orchestra
Torino, 10 ottobre 2013 – 200° Anniversario della nascita di Giuseppe Verdi

Festeggiare la ricorrenza d’una nascita con una Messa da Requiem potrebbe apparire paradossale, o addirittura di cattivo auspicio; ma quando si tratta del 200° anniversario della nascita di Giuseppe Verdi, verso il limitare di un anno in cui le celebrazioni, i ricordi, le menzioni d’obbligo sono stati molteplici («Oh, dell’ambita gloria / giorno tu sei venuto!», per dirla con l’Abigaille di Nabucco), e quando in programma è appunto il Requiem, completato nel 1874 per la memoria di Alessandro Manzoni scomparso l’anno prima, ogni elemento occasionale perde d’importanza, e quasi si annulla di fronte alla grandezza assoluta della musica. Si festeggia Verdi e si inaugura la nuova stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, con sede presso l’Auditorium “Arturo Toscanini”, a Torino. Beau geste, senza dubbio, avviare una stagione sinfonica nel segno del grande polittico che all’epoca consacrò definitivamente Verdi all’altezza della più innovativa e sicura espressione musicale (con il Requiem – è risaputo – caddero anche le ultime perplessità di chi teneva lontano l’operista italiano dalla tradizione germanica, che nel rivoluzionario Wagner aveva trovato il suo corifeo). L’omaggio a Verdi appare così naturale e sincero nella cultura italiana di oggi, da potersi spiegarsi con le parole che lo stesso compositore utilizzò per rendere ragione del suo mesto omaggio a Manzoni: «È un impulso, o dirò meglio, un bisogno del cuore che mi spinge a onorare, per quanto posso, questo grande, che ho tanto stimato come Scrittore, e venerato come uomo, modello di virtù e patriottismo!» (lettera del 9 giugno 1873 a Giulio Bellinzaghi, sindaco di Milano).
Nelle sedi RAI di Torino il Requiem mancava dal 2006, quando fu diretto da Gianandrea Noseda; ora la direzione è affidata a Juraj Valčuha, che dal 2009 è il Direttore principale dell’OSN. Il Coro è invece quello Filarmonico Cèco di Brno, un complesso vocale proveniente dall’Europa orientale, fondato nel 1990 e specializzato nel repertorio sacro di Otto- e Novecento, oltre che nel melodramma; istruito da Petr Fiala, affronta la complessa partitura verdiana con agio e professionalità, con buona pronuncia del testo latino (anche se non sempre la dizione lascia intendere tutte le parole), e con accenti ben marcati. Forse c’è qualche acciaccatura non perfettamente risolta, qua e là, ma è molto bello l’effetto di smorzatura della pagina iniziale, su cui s’innesta per la prima volta il quartetto vocale, con perfetto attacco da parte del tenore. A proposito dei solisti, va detto che nel corso dell’esecuzione l’amalgama complessivo delle quattro voci migliora, si tempera progressivamente, e si integra in crescendo (per raggiungere il culmine nella penultima sezione, «Lux aeterna», soprattutto grazie a mezzosoprano e tenore); all’inizio, appunto nel «Kyrie», i quattro cantanti sembrano invece gareggiare tra loro nei toni forti (a onor del vero, piuttosto inopportuni in una preghiera che invoca pietà). Soltanto verso il finale dello stesso «Kyrie» il direttore raggiunge il giusto grado di levità orchestrale per mezzo di interessanti ritardando. Nei contigui «Dies irae» e «Tuba mirum» le sonorità di orchestra e coro sono condotte al massimo (con soverchiante fragore da entrambe le parti), ma è molto funzionale l’effetto stereofonico delle sezioni di trombe collocate nell’alto della galleria, poiché valorizza la costruzione drammatica e polifonica della terribile fanfara: mai i versetti di Tommaso da Celano, il probabile autore del Dies irae, erano stati intonati con tale potenza musicale, e con una così spaventosa percezione dell’ineluttabile.
Dopo la grande scena apocalittica affidata al coro, poi, diventano protagonisti i quattro solisti. Marianna Pizzolato ha voce di naturale bellezza, pastosa, ricca di colori delicati, omogenea nei vari registri. Abituata alla vocalità rossiniana, deve un poco forzare l’emissione per reggere il peso dell’orchestra di Valčuha (anche in alcuni acuti dell’iniziale «Liber scriptus proferetur»); nei momenti in cui è scoperta, la voce rende al meglio, come nello struggente attacco del «Quid sum miser».
Hui He ha un timbro anche più scuro di quello della Pizzolato; ha note basse davvero corpose, sostenute con robustezza del suono; gli armonici vibranti attenuano il carattere di un timbro vocale non bellissimo; l’effetto generale di questa voce è insomma di solidità (almeno all’inizio dell’esecuzione). Il duetto con il mezzosoprano, «Recordare, Jesu pie», è commovente, anche se le due voci appaiono un po’ sbilanciate (il volume vocale della He sovrasta quello della Pizzolato, in quanto la He  si presenta come soprano tendenzialmente drammatico, con relativa cavata, sebbene si avverta una tendenza a un registro acuto forzato nei “forti” forte). Se la lunga messa di voce nel «Domine Jesu Christe» è apprezabile, nella parte conclusiva della Messa la resa del soprano va incrinandosi: l’ultima sezione, «Libera me, Domine», è aggredita con troppa enfasi, e tutta la pagina sembra trasformarsi in una concitata scena d’opera. Effetto drammatico notevole, ma stilisticamente discutibile, in rapporto al complesso dell’esecuzione; e poi va registrata la tensione della cantante nell’affrontare i pianissimi: l’ultima invocazione «Requiem» (quella che richiede l’impervia smorzatura in acuto) è dura e calante. Francesco Meli è tenore verdiano ormai a tutti gli effetti, e la sua versione del Requiem è di grande suggestione, soprattutto per la correttezza della linea vocale: l’«Ingemisco tamquam reus» è mirabile, per la bellezza dei suoni, per la spiccata personalità vocale, per gli acuti e i filati nitidi e saldi. Il tenore ha però la tendenza a ostentare la grandezza della sua voce, e quindi cade nella tentazione di cantare tutto troppo forte; il suo ruolo, al contrario, non può trasformarsi in un’esibizione personalistica (non è Manrico, e neppure Otello; basti pensare alle frasi di dolente umiltà che Verdi gli affida, come appunto le quattro terzine dell’«Ingemisco», il lugubre concertato del «Lacrymosa» e l’angelica oblazione di «Hostias et preces»). Il momento migliore del canto di Meli è forse nel bellissimo versetto «Inter oves locum praesta, / et ab haedis me sequestra, / statuens in parte dextra» (Prepara un posto tra gli agnelli; strappandomi dai capri, collocami alla tua destra), cantato finalmente in pianissimo, con il tono angelicato dell’uomo supplice di fronte a justus judex.
Aleksandr Tsymbalyuk, oltre a risonanze vocali un po’ cavernose, è caratterizzato da un porgere piuttosto superficiale, in alcuni tratti anche greve; ed è un peccato nell’economia del quartetto, perché gli altri tre cantanti fanno invece del fraseggio un elemento qualificante della loro interpretazione. Le messe di voce del «Confutatis, maledictis» sono approssimative, anche perché l’emissione diventa fissa e porta a qualche cedimento dell’intonazione. Negli acuti la voce del basso perde di armonici, e il timbro si sbianca leggermente; appare anche incerto  negli attacchi, visto che quelli del «Lacrymosa» sono in parte imprecisi.
Qual è il rapporto tra voci e orchestra, nella concertazione di Valčuha? Va pur detto che nei momenti di pienezza orchestrale il direttore non si preoccupi troppo di coprire le voci, anche se per il resto il suono complessivo è assai curato. Se il ritmo è per lo più incalzante (ma privo di accelerazioni immotivate), l’accentazione prediletta dal direttore è di tipo cadenzato, preciso, metronomico: solo sporadicamente l’agogica si fa cullante, manierata, con glissandi e portamenti melodici di gusto un po’ slavo. Per quanto concerne omogeneità e policromia strumentale, va registrato un piccolo miracolo che avviene in orchestra: in corrispondenza della frase «in lucem sanctam» (verso la luce santa), nel III blocco della partitura, il direttore riesce a rappresentare musicalmente il traguardo della sancta lux evocata dal testo, facendo emergere dal fondo il suono del flauto (lo stesso che diverrà poco oltre protagonista in «Fac eas, Domine»). L’effetto è davvero prodigioso: una lama di luce si irradia dall’orchestra e accompagna il canto del fedele, memore della promessa di redenzione ai discendenti di Abramo («Quam olim Abrahae promisisti / et semini ejus», [la santa luce] che un giorno Tu hai promesso ad Abramo e alla sua stirpe). Un prolungamento di tale ricerca coloristica è anche nel corale «Sanctus» che segue, tanto che il passaggio dalla sezione concertata a quella del coro appare del tutto naturale.
Il Requiem di Verdi è una partitura decisamente composita, screziata di numerosi colori e continuamente cangiante nei dosaggi di sonorità; più che cercare unità nel discorso musicale, il direttore esalta la molteplicità delle componenti (con il pregio di non forzare mai quella funerea o luttuosa). A tale proposito, anche le scelte ritmiche tradizionali, mai rilassate, permettono di individuare una lettura laica e “melodrammatica”, più che liturgica. Su tutto, del resto, domina la dimensione sinfonica, che Valčuha rende molto bene: per il direttore la Messa non è una semplice sinfonia con l’aggiunta di voci soliste e di coro; è piuttosto un grandioso oratorio, magari di ascendenza haendeliana, aggiornato alla drammaturgia di Don Carlo e di Otello. Il successo è strepitoso: molte chiamate per tutti gli artisti, applausi prolungati e intensi per il coro, per il direttore, per i solisti. Ma non c’è dubbio che, nella gioia del pubblico, e dunque in quell’impulso di continuare a battere le mani con entusiasmo, resti saldo il pensiero alla memoria verdiana, e all’appartenenza italiana di quella memoria, ossia quel «modello di virtù e di patriottismo» che Verdi stesso venerava in Manzoni. VIVA VERDI, dunque (e non solo nel giorno del bicentenario).
Da qui potete ascoltare l’intera registrazione di questo concerto.