Brescia, Teatro Grande – Stagione d’Opera e Balletto 2013
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani
da “Le Philtre” di Eugène Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Adina LAVINIA BINI
Nemorino ENEA SCALA
Belcore FRANCESCO PAOLO VULTAGGIO
Dulcamara BIAGIO PIZZUTI
Giannetta DORELA CELA
Assistente di Dulcamara ALESSANDRO MOR
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro AsLiCo del Circuito Lirico Lombardo
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del coro Dario Grandini
Regia e luci Arnaud Bernard
Scene Arnaud Bernard e Carlo Fiorini
Costumi Carla Ricotti
Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo
Nuovo allestimento
Brescia, 13 Ottobre 2013
È un “Elisir d’amore” vintage, quello che il regista Arnaud Bernard ha portato in scena al Teatro Grande di Brescia e che ha ufficialmente “aperto le danze” di questa nuova coproduzione dei Teatri del Circuito Lirico Lombardo.
L’ambientazione del libretto di Felice Romani si sposta nella pianura padana degli anni ’50, fra i panorami nebbiosi delle risaie ed i sentieri alberati che, talvolta, s’incontrano in aperta campagna. Nonostante la scena si componga esclusivamente di pannelli su cui scorrono immagini, gli input visivi che ne derivano alimentano la narrazione, la contestualizzano all’interno della cornice storico-culturale di quel periodo, facendo leva sulle influenze che l’immaginario televisivo produce, oggi come allora, sugli spettatori. Un esempio preclaro si ha quando, durante l’aria “Udite, udite, o rustici”, Bernard pensa bene di proiettare un montaggio di spezzoni tratti da Carosello: tutte réclames di prodotti dall’azione sbiancante o di bevande dal potere rinvigorente che vedono sfilare personaggi cari alla memoria collettiva, come Calimero il pulcino nero che ritorna bianco grazie all’olandesina, o come il sorriso rassicurante di Ernesto Calindri, mentre sorseggia il noto amaro digestivo.
Sul palco, un grande dinamismo di persone e…mezzi di trasporto: Nemorino e Adina scorrazzano in sella ad una bicicletta, Belcore giunge a cavallo di un ciclomotore dotato di sidecar, mentre Dulcamara compare a bordo di una Citroën “due cavalli”, vettura che, nel prosieguo dell’opera, farà da sfondo, appoggio ed appiglio alle vicende dei protagonisti. Il regista, poi, si rivela anche un attento coreografo, in grado di suggerire movimenti sempre azzeccati e di organizzare le masse in alcune riuscitissime controscene (impagabile l’effetto slow-motion che coinvolge tutti i presenti nel momento dell’ingresso sulla scena di Belcore).
Uno spettacolo dalla comunicativa semplice e diretta, dove il bianco e nero delle videoproiezioni si alterna alla palette tenue ed un poco sbiadita dei costumi ad opera di Carla Ricotti, producendo l’effetto d’una patinatura antica.
Musicalmente parlando, si deve purtroppo segnalare la deludente prova di Andrea Battistoni, la cui concertazione, avara di colori, pesante nel suono e precipitosa nelle dinamiche, non solo non rende giustizia al capolavoro donizettiano, ma insinua il sospetto di un’interpretazione totalmente deformata della partitura. Per di più, il giovane maestro dimostra di non possedere ancora pieno controllo della situazione sul palco, mancanza che genera diffuse incomprensioni sui tempi da parte sia dei solisti che del coro.
Enea Scala, nei panni di Nemorino, si cimenta in un primo atto discutibile, caratterizzato da un’emissione perennemente bloccata fra gola e naso che limita non poco la proiezione della voce, così come la tenuta della linea di canto in generale. Considerando gli esiti più che positivi di prove precedenti in questo stesso teatro, è inevitabile immaginare che il tenore non si trovasse in una forma fisica ottimale; fortunatamente, già con l’inizio del secondo atto, ci è dato ascoltare tutt’altro cantante: la voce sfogata, il legato più curato (davvero ben cantata la “furtiva lagrima”) e una ritrovata sicurezza permettono al tenore di concludere la recita quantomeno con l’onore delle armi. Anche soprassedendo sulla possibilità che il cantante sia incappato in una serata infelice, il ruolo di Nemorino non parrebbe aderire perfettamente alle attuali caratteristiche vocali di Scala, naturalmente portato a ruoli più belcantistici, in cui il cantante può far valere con maggior profitto l’eleganza insita nel suo canto. Inoltre, dal punto di vista interpretativo, si fatica a cogliere quell’aspetto di naiveté tanto connaturato al personaggio, laddove il tenore esibisce un atteggiamento, comunque pertinente, di baldanzosa ingenuità.
Lavinia Bini è un’Adina graziosa ed aggraziata, ma molto in difficoltà sotto l’aspetto vocale. Il sostegno del fiato è debole e l’emissione ne risente, soprattutto nel settore acuto, dove i suoni diventano instabili perché spinti dal basso. Il timbro ed il colore sono piacevoli e se il giovane soprano vorrà valorizzare entrambi con un adeguato lavoro sulla tecnica, potrebbero in futuro suggerire lusinghieri accostamenti con la vocalità brillante e sbarazzina d’una Sciutti. Il temperamento scenico è già apprezzabile, anche se perfettibile, nel delineare un’Adina più dolce ed innamorata che pungente e civettuola.
Ottimo il Belcore di Francesco Paolo Vultaggio, cantato con precisione, sicurezza ed intrepretato con gusto. Biagio Pizzuti è senza dubbio troppo giovane ed inesperto per non soccombere (come difatti avviene) nella parte di Dulcamara, risolta quasi interamente parlando. Un bijou, anche se vocalmente mignon, la Giannetta di Dorela Cela e soltanto discreto il coro da cui si distingue la sezione femminile durante la scena dell’eredità. Foto Umberto Favretto
Ho assistito alla recita domenicale dove l’opera è stata accolta gioiosamente dal pubblico che esauriva il bellissimo Teatro Grande. Anche a me è parsa assai indovinata la parte visiva ma non sarei così critico sulla parte musicale. La protagonista Lavinia Bini aveva certo dei limiti ma in fondo ha centrato bene il personaggio e lo ha reso con buon gusto venendo a capo anche di momenti vocalmente difficili. Enea Scala a mio avviso è stato in toto un notevole Nemorino (ottima davvero la Furtiva lagrima) anche se anch’io lo trovo più a suo agio nel repertorio belcantistico (ricordo lo scorso anno la notevole interpretazione di Lindoro nell’Italiana in Algeri). Al contrario ho trovato un poco pesantuccio il canto di Vultaggio mentre Pizzuti effettivamente ha qua e là arrancato nella parte fondamentale di Dulcamara; entrambi i cantanti non hanno comunque inficiato il risultato complessivo, a mio avviso, assai felice, dell’opera. Battistoni infine, certo, è giovane ma i numeri ci sono e lo dimostrano certi particolari nel far emergere le parti solistiche dell’orchestra che ha esibito a mio parere un bellissimo suono, E questo succede se il direttore vale. Battistoni ne deve fare di strada ancora, ma il talento c’è, eccome!
Concordo che la prestazione di Battistoni non è stata all’altezza (ma non è la prima volta purtroppo….)