Pavia, Teatro Fraschini – Stagione Lirica 2013
“TANCREDI”
Melodramma eroico in due atti
Libretto di Gaetano Rossi
Musica di Gioachino Rossini
Tancredi TERESA IERVOLINO
Argirio MERT SÜNGÜ
Amenaide SOFIA MCHEDLISHVILI
Orbazzano ALESSANDRO SPINA
Isaura RAFFAELLA LUPINACCI
Roggiero ALESSIA NADIN
Orchestra “I Pomeriggi Musicali”
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Direttore Francesco Cilluffo
Maestro del coro Diego Maccagnola
Regia e scene Francesco Frongia
Costumi Andrea Serafino
Light designer Nando Frigerio
Nuovo allestimento
Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo
Pavia, 22 Novembre 2013
La Stagione Lirica 2013 del Circuito Lirico Lombardo si conclude con il “Tancredi” di Gioachino Rossini, in una produzione che debutta, con esiti sostanzialmente alterni, sul palcoscenico del Teatro Fraschini di Pavia.
Già sulla carta, la scelta di questo titolo come trampolino di lancio per i vincitori dello scorso concorso AsLiCo non pare del tutto azzeccata, principalmente a causa delle difficoltà disseminate nella scrittura vocale di quella che rappresenta la prima incursione del genio pesarese nel genere operistico cosiddetto “serio”. È questa una scrittura che, per risultare pienamente credibile, esigerebbe dei professionisti navigati (se non dei veri e propri fuoriclasse), capaci di realizzarne, senza colpo ferire, l’intero côté virtuosistico. Data una tale premessa, l’affidare un titolo del genere (sebbene tagliato in alcune sue parti) ad un cast di esordienti, o poco più che esordienti, ha costituito un azzardo che ha trovato giustificazione in un’esecuzione vocale solo parzialmente accettabile.
Sugli scudi, la prova in crescendo della georgiana Sofia Mchedlishvili nei panni di Amenaide: un soprano leggero dotato di bellissimo timbro e di un’invidiabile proiezione del suono (la punta delle note alte buca, letteralmente, lo spazio nella sala), la cui morbida emissione paga come unico scotto una lieve sfocatura nei passaggi di agilità più ostici, riscattata però da un registro sovracuto facile, ancorché soggetto ad un remoto sospetto di falsetto. L’esordio di Teresa Iervolino (Tancredi) risulta convincente, grazie ad una vocalità piuttosto rotonda, di bel colore mezzosopranile, forte di un registro grave compatto e di un’emissione omogenea che assicura alla grande scena d’ingresso (che contiene l’aria “Di tanti palpiti”, il brano più noto dell’opera) una riuscita ottimale. Tuttavia, le richieste invero strenue della parte, portano la performance della Iervolino a subire un calo progressivo che si manifesta per lo più in un graduale prosciugamento della voce (già non molto voluminosa in natura) e in alcune minime imprecisioni, sia nel canto di agilità, sia nella tenuta della linea musicale, salvo poi recuperare nel finale tragico, scelto per quest’edizione dell’opera, dove il mezzosoprano è ancora capace di mezzevoci suggestive.
Molto buona la Isaura di Raffaella Lupinacci, il cui strumento, di bella qualità, evidenzia cospicue bruniture di contralto, nonostante un’autorevolezza musicale e vocale ancora da potenziare e rifinire. Alessia Nadin fa esprimere Roggiero con un piglio scenico brillante, grazie al quale riesce a mascherare alcune incertezze nel canto.
Il settore maschile vede schierato il tenore turco Mert Süngü nei panni di Argirio; al di là del timbro davvero piacevole, il canto di Süngü si rivela estremamente approssimativo in tutta la gamma, costellato di stonature e fastidiosamente rabberciato nei recitativi. Alessandro Spina (Orbazzano) ha voce di basso molto interessante ed emissione ben immascherata, ma lo stile pesantemente stentoreo e la scarsa musicalità esibiti in questo contesto si tollerano a fatica.
Francesco Cilluffo accompagna amorevolmente le giovani voci tramite un suono orchestrale alleggerito e sfrondato, ma, al contempo, non sembra in grado di rendere un gran servizio a Rossini, considerata la direzione piatta, se pur corretta, imbalsamata nelle scelte agogiche e solo appena sufficiente nel ventaglio di atmosfere e colori proposto.
La cornice scenica approntata da Francesco Frongia si risolve in un’infilata di luoghi comuni sulla sicilianità: i pupi, il carretto, le lupare, la processione e i costumi tradizionali (per tacere del concetto maschilista secondo cui la donna, a seconda delle proprie scelte di “virtù” o “perdizione”, diviene “santa” o “puttana”) sanno un po’ di stantìo, nonostante la vicenda sia stata trasportata negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra, durante i preparativi per una festa paesana. Il lavoro di Frongia appare altresì rinunciatario (e sotto questo aspetto, occorre sottolineare che il libretto non fornisce chissà quali spunti) per quanto concerne la gestione dei personaggi e dei singoli caratteri, laddove solisti e coro vengono posizionati in modo da formare immagini più o meno statiche, neppure caratterizzate dalla plasticità e simmetria necessarie per poterle definire tableaux vivants. La sola nota positiva proviene forse dalle luci di Nando Frigerio che sanno evocare i rutilanti bagliori dei tramonti mediterranei. Foto Alessia Santambrogio
Una premessa: Tancredi è un capolavoro musicale di vertiginosa bellezza ma di una difficoltà spaventosa di esecuzione. Quindi sono d’accordo con il recensore nel definire un azzardo l’esecuzione da parte di giovani cantanti. E però….questi cantanti alla fine sono riusciti a trasmettere il miracolo di quest’opera. Io sono reduce dalla pomeridiana di quest’oggi con un Teatro Grande di Brescia pressochè al completo. Dopo un primo atto un poco troppo cauto, l’esecuzione ha trovato nel secondo un piglio più sicuro ed anche il pubblico ha reagito di conseguenza facendo registrare alla fine numerose chiamate a coronamento, tutto sommato con le dovute considerazioni riguardo alla obiettive difficoltà dello spartito, di una recita di successo. Esordiva nel ruolo Raffaella Lupinacci che in tutte le recite del Circuito ( e anche alla prima bresciana di venerdì) sosteneva il ruolo di Isaura. Che dire? Il ruolo intimidisce anche un campione ma la giovane cantante ha la voce e il piglio giusto. Non è un contralto ma un mezzosoprano e quindi la tessitura nel grave era troppo bassa. Ma dopo la prudente ma corretta Aria di sortita è andat via via maturando una bella interpretazione e nelle pagine conclusive ha davvero ben figurato. Ottima nel finale tragico, pagina straordinaria che ha emozionato molti! Lo dico con orgoglio bresciano visto che come si sa la revisione tragica del finale è opera del bresciano Conte Luigi Lechi, compagno della prima interprete dell’opera Adelaide Malanotte, che convinse il ventunenne Rossini a variare l’originale finale lieto. La pagina, che all’epoca non piacque, fu ritenuta dispersa sino al ritrovamento negli archivi della famiglia bresciana e fu interpretato per la prima volta nel 1977 da Marylin Horne. Degli altri cantanti dirò che tutti hanno sostenuto il loro ruolo con ottiama professionalità, in ispecie il soprano che ha svettato nelle bellissime pagine del secondo atto. Sicuri anche il tenore e il basso. Una particolare menzione la merita però Teresa Iervolino che, pur non avendo avuto la fortuna di sentirla come Tancredi, ci ha fatto gustare al meglio la bellissima aria di Isaura nel secondo atto. Avrei desiderato più decisione nella, peraltro gradevole, direzione del giovane Maestro Cilluffo che ci ha comunque regalato una bellissima esecuzione della celebre Sinfonia. Diciamo però che dover supportare un cast buono ma inesperto non è impresa facile in un’opera di questa difficoltà e in questo senso il suo lavoro è stato encomiabile. Della regia trovo che non vi sia nulla da dire se non che adesso queste trovate hanno veramente stufato. Infine vorrei ringraziare l’Aslico e il Circuito Lirico Lombardo per il coraggio dimostrato nel proporre il Rossini serio sperando che possano continuare a farlo anche in futuro.