Verona, Teatro Filarmonico: “I Capuleti e i Montecchi”

Verona, Teatro Filarmonico – Stagione Lirica 2012/2013
“I CAPULETI E I MONTECCHI”
Tragedia lirica in due atti e quattro parti su libretto di Felice Romani.
Musica di Vincenzo Bellini
Giulietta MIHAELA MARCU
Romeo DANIELA PINI
Tebaldo SHALVA MUKERIA
Lorenzo DARIO RUSSO
Capellio PAOLO BATTAGLIA
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Armando Tasso
Regia Arnaud Bernard
Scene Alessandro Camera
Costumi Maria Carla Ricotti
Nuovo allestimento in coproduzione tra Fondazione Arena di Verona, Gran Teatro La Fenice di Venezia, Greek National Opera
Verona, 3 Novembre 2013

Assistere alla rappresentazione de “I Capuleti e i Montecchi” di Vincenzo Bellini al Teatro Filarmonico di Verona è occasione gradita allo spettatore il quale si sente nel luogo e nel momento giusti per godersi un’opera: un po’ come se si stesse per alzare il sipario sulla Traviata a Parigi, o, giocando con le distanze, come se si fosse in procinto di udire gli imperiosi accordi iniziali della Turandot a Pechino.
La realizzazione del titolo belliniano che conclude la stagione lirica veronese 2012/2013 porta la firma di Arnaud Bernard. Il regista francese sceglie di ambientare la vicenda nelle stanze di un museo in allestimento, utilizzando un duplice piano di narrazione: il “contenitore”, collocato nel presente, è dato da una moltitudine di operai che, con tanto di elmetto antinfortunistico, si danno un gran da fare per allestirne le sale, trasportando quadri di ogni dimensione, muovendo ponteggi, svolgendo lavori di grande o piccola manutenzione (all’apertura del sipario, si rimane quasi abbagliati dalla fiamma ossidrica che un attento saldatore adopera nel bel mezzo del palcoscenico); operatrici delle pulizie si aggirano per la scena raccogliendo e ripulendo i resti delle fatiche di chi le ha precedute (e durante la sinfonia, c’è persino il tempo per una veloce passata con la lucidatrice). Ma nel momento in cui la scena rimane deserta e nel preciso istante in cui la musica incomincia a raccontare, le luci si fanno soffuse, crepuscolari e dagli enormi quadri fuoriescono, tramite uno squarcio nella tela, i personaggi della storia, i cui costumi richiamano i tessuti ed i colori utilizzati nei dipinti di soggetto rinascimentale .
Nel corso dello spettacolo, Bernard alterna il presente del “contenitore” ed il passato del “contenuto”, senza che vi sia alcuna reale sovrapposizione. Le pagine sinfoniche permettono al regista di gestire il piano della contemporaneità, grazie anche ad un rapido e significativo cambio di luci che sigla, ad esempio, l’entrata in scena di un operaio e, nello stesso tempo, tale azione determina ed impone ai protagonisti sulla scena di atteggiarsi in una serie di tableaux vivants dall’effetto istantaneo.
All’attivo di questa produzione, porrei indubbiamente il comparto tecnico tutto, dalle scene damascate di Alessandro Camera ai pertinenti costumi di Maria Carla Ricotti, mentre almeno due momenti scenici sono parsi gratuiti e fuori luogo, sebbene per ragioni fra loro diverse: la signora delle pulizie che, durante il meraviglioso assolo di corno nel preludio all’aria di Giulietta, attraversa il proscenio per andare a riporre scopa e strofinaccio in un ripostiglio e, all’interno della narrazione, il copioso sputo di Capellio in direzione della protagonista, in chiusura del primo atto.
Se la parte visiva risulta sommariamente convincente, non si può sostenere la stessa tesi per l’aspetto musicale. Fabrizio Maria Carminati dirige gran parte della composizione con un’impronta pesantemente marziale che non giova all’insieme e, per di più, nemmeno si sposa con lo stile di Bellini. I problemi più vistosi si ravvisano nella coesione con il coro, spesso impreciso negli attacchi e ritmicamente sfasato rispetto all’orchestra. Per fortuna, alcuni felici istanti non mancano, come la tenuta della linea nell’aria di sortita di Giulietta (meno riuscita la scena del veleno, slentata e piuttosto noiosa) o come l’accompagnamento alle singole arie.
Mihaela Marcu (Giulietta) è donna molto bella e cantante dotata di un timbro di soprano lirico-leggero di discreta qualità; tali caratteristiche non bastano tuttavia a compensare una linea di canto anonima ed incolore, priva del vero legato belliniano (senza il quale si corre sempre il rischio di tramutare le splendide melodie del compositore catanese in nenie interminabili). Nella sublime “Oh quante volte, oh quante”, il soprano rumeno dà tutto, troppo, nel recitativo e, come da copione, arriva stanca e sfibrata alle salite finali dell’aria. Il registro sovracuto, poi, suona stridulo ed oscillante, a causa di un’emissione che necessita ancora di molto studio, prima che possa definirsi solida. Daniela Pini è un Romeo appena credibile dal lato scenico, ma assolutamente inadatto dal punto di vista vocale. La voce è piccola e chiara, affetta da un’emissione dura, mal sostenuta e la cui estensione fatica a coprire la scrittura di Romeo sia in acuto che nel registro grave, risultando in una lotta praticamente costante con ogni singola nota della parte, per tacere della nebuolsa dizione.
A fianco di tale malcanto, il Tebaldo di Shalva Mukeria sembra giungere da un’altra dimensione: vocalmente sicuro, musicalmente lineare e preciso, svettante in alto, nonostante una percettibile debolezza nelle gravi e un timbro che, di per sè, non può dirsi particolarmente gradevole o accattivante. Il tenore è anche l’unico membro del cast che si sforzi di accentare e fraseggiare con la dovuta cura. Buono il Lorenzo di Dario Russo, basso di voce sonora, sebbene perfettibile nell’emissione. Molto deludente Paolo Battaglia nei panni di un Capellio gutturale e musicalmente approssimativo. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona

 

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