Pietro Mascagni (1863-1945):”Sì” (1919)

“Pare impossibile! Scrissi Iris e mi trovai tra i piedi un’altra Giapponesina. Feci volare Lodoletta… e vidi per aria un altro uccello. Penso ad un’operetta… e me ne vedo un’altra sulla faccia… Basta: ho una speranza: l’operetta mia ha per titolo un semplice : speriamo che quell’altra s’intitoli No”.
Così lo stesso Mascagni commentò la composizione della sua operetta, riferendosi sarcasticamente alla Rondine di Puccini. Ad avvicinare Mascagni a questo genere, al quale il compositore non fu del tutto estraneo avendo autorizzato anche una versione operettistica delle Maschere, fu Carlo Lombardo, considerato il padre dell’operetta italiana. Geniale e polivalente figura di editore, compositore, librettista e impresario teatrale, Carlo Lombardo firmò, infatti, tantissimi successi sia con libretti come quelli di Cin-cin-là e del Paese dei campanelli per Virgilio Ranzato o quello di Scugnizza per Mario Costa, sia con intelligenti rielaborazioni di musiche composte da altri come quelle di Franz Lehár per Der sterngucker che divenne La danza delle libellule, unica operetta italiana a varcare i confini nazionali. In realtà anche con Mascagni, Lombardo tentò di ripetere la stessa operazione che aveva fatto con Lehár; un giorno si presentò dal Livornese con un’operetta per la quale aveva utilizzato musiche tratte dalle opere di Mascagni. Fu, forse. allora che Mascagni maturò l’idea di scrivere un’operetta completamente nuova. Nacque così che, composta su libretto di Lombardo e Arturo Franci, come affermato da Mascagni, anche per sottrarre l’operetta italiana all’asservimento straniero ormai di moda, fu rappresentata per la prima volta il 13 dicembre 1919 al Teatro Quirino di Roma con Gisella Pozzi (Sì) e Amelia Sanipoli (Vera), (Olimpia, (1°impiegata e cameriera), Giuseppina Caligaris (Palmira, 2°impiegata, portinaia e (cuoca), Orlando Bocci (Luciano), Nuto Navarrini (Cléo de Mérode, Becil e (Germano), M. Gariano (Romal, portinaio e chaffeur). Effettivamente in quest’operetta, che guarda all’opera soprattutto nella struttura melodica, gli elementi stranieri sono del tutto inesistenti; l’imperante moda delle danze americane, come il foxtrot o la giava, che aveva contagiato l’operetta italiana del Novecento, in non trova spazio e lascia la scena al valzer che ne caratterizza molte pagine.

L’operetta –  Atto primo
Una brillante e leggera introduzione orchestrale conduce lo spettatore in un ufficio telegrafico dove delle telegrafiste e degli chasseur d’hôtel danno vita ad una pagina di carattere gaio. Qui giunge la principessa Vera che, innamorata del duca Luciano di Chablis, suo cugino, vuole cercare, travestita da telegrafista, di far naufragare il particolare progetto matrimoniale di quest’ultimo. Vengono consegnate delle lettere alla donna che, contemplandole, intona il Valzer lento delle Lettere (Fogli vergati) dalla struttura tripartita e caratterizzato da un malinconico tema.
Mentre Vera si traveste da telegrafista, nello stesso ufficio fa il suo ingresso Luciano con interessanti rivelazioni: l’uomo avrebbe, infatti, ereditato la fortuna dello zio, testé morto, a patto che si fosse sposato entro un mese dopo la morte. Per entrare in possesso dell’eredità senza rinunciare alla sua libertà, Luciano ha pensato di sposare una ragazza che lo tradisca subito dopo giustificando il divorzio e chiede a Romal, chiamato anche Papà l’amour e proviseur delle Folies-Bergère, di procurargliene una. La scelta ricade su Sì, una ragazza chiamata così perché non ha mai detto di no. Con una semplice telefonata l’affare è fatto, mentre viene scelto, nella persona del domestico Cleo de Merode, l’uomo con il quale Sì avrebbe dovuto tradire Luciano dopo le nozze. Questi, felice, intona, insieme con le impiegate che fungono da coro, la sua sortita La vita delle impiegate, formalmente un rondò il cui refrain brillante (Bimbe! La luce elettrica) è un gaio inno ai piaceri della vita. Nell’ufficio Luciano incontra Vera che ritiene sia una telegrafista come le altre e, attratto da lei, incomincia a corteggiarla con modi galanti. Un accenno contenuto nella loro conversazione all’apparecchio telegrafico diventa lo spunto per il tenero duetto dell’apparecchio telegrafico nel quale la parola “amore” diventa assoluta protagonista. Mentre i due si allontanano, giunge Sì che mostra subito il suo carattere frivolo nella sua sortita (L’umanità si cruccia), anche questo un piccolo rondò dal carattere brillante sia nel testo, che insiste su allitterazioni volutamente sgradevoli, sia nella musica in cui il refrain (Delle Folies Bergère), è costituito da un valzer che si contrappone alla patetica strofa. La ragazza si incontra, prima, con Luciano con il quale stipula il patto e, poi, con Cleo de Merode con il quale dà vita ad un duetto comico (È proprio una sciocchezza) nel quale trova sfogo la vena melodica di Mascagni. Più complessa, secondo tradizione, è la struttura del Finale, al quale partecipano quasi tutti i personaggi. Il carattere brillante di questa pagina, nella quale è rivelato il progetto matrimoniale di Luciano, trova un momento patetico nel valzer lento (M’avevan detto) intonato da Vera che, gelosa e delusa, crede di aver perduto l’oggetto del suo amore. Un suo insulto al demimonde, classe sociale a cui appartengono le telegrafiste, produce una loro “violenta reazione”, mentre la ripresa del refrain della sortita di Luciano, questa volta intonato da Vera, conclude il primo atto.

Atto secondo
Il secondo atto si apre con un coro carnevalesco perfettamente intonato al clima allegro e un po’ ebro delle Folies Bergère e soprattutto al matrimonio, farsesco almeno nelle intenzioni di Luciano, che si celebra tra questi e Sì, protagonisti del successivo duettino del corteo nuziale. Celebrato il matrimonio, Sì, innamorata di Luciano, non rispetta il patto, dichiarando di volergli restare fedele, mentre, dal canto suo, un ebro Cleo de Merode non compie alcun passo avanti nel suo tentativo di sedurla. Rimasto solo, Luciano incontra Vera con la quale dà vita al Duetto della seduzione, in cui i due, in una scrittura intrisa di quel lirismo tipico delle migliori pagine della produzione operistica di Mascagni, si scoprono amanti. Da parte sua Sì, innamorata di Luciano, è triste e manifesta questo suo sentimento, prima, in un valzer lento, poi a Cleo de Merode, l’uomo con il quale avrebbe dovuto consumare il tradimento. Il clima apparentemente drammatico della scena viene, però, stemperato dal Duetto americano grottesco, una pagina brillante nella quale i due personaggi si intrattengono citando nuovi balli importati dall’America. Luciano è furente, perché Sì non ha rispettato i patti, mentre un coro intona, al ritmo di una lenta marcia, un inno al Color rosso. Cleo de Merode, sempre più ebro, continua a corteggiare Sì che, contravvenendo al suo soprannome, risponde di no. L’ingresso di Vera, che dà vita ad un alterco con Sì, prelude al Finale dell’atto secondo caratterizzato dal susseguirsi dei temi principali fin qui ascoltati, mentre Vera e Luciano fuggono insieme.
Atto terzo
Un breve e delicato preludio, nel quale è descritto, in una scrittura di romantico lirismo, il sorgere della luna, apre il terzo atto caratterizzato da due duetti, quello del Ballo triste, intonato da Sì e da Cleo de Merode, nel quale la donna manifesta ancora una volta la sua tristezza per la sua condizione, e quello Del calendario, nel quale i due protagonisti Luciano e Vera evocano, nella forma del rondò il cui refrain è costituito da un languido valzer sostenuto, i momenti salienti della loro storia d’amore. Nella seguente parte dialogica si assiste allo scioglimento con Sì che ritorna mesta alla sua vita passata, mentre il senso dell’operetta è racchiuso nel Finale nel quale Vera e Luciano si dichiarano reciprocamente  e senza riserve il loro amore.
In allegato il libretto dell’opera

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