Antonín Dvořák:”Stabat Mater”

Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, Stagione di Musica Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia 2013-2014
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Tomas Netopil
Maestro del Coro Ciro Visco
Soprano Simona Šaturová
Contralto Michaela Selinger
Tenore Richard Samek
Basso Andreas Scheibner
Antonín Dvořák: “Stabat Mater” per soli, coro e orchestra op.58
Roma, 10 marzo 2014
Suggestiva esecuzione dello Stabat Mater di Antonín Dvořák, realizzata dalla bacchetta del maestro Tomas Netopil per la Stagione Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Lo Stabat Mater di Dvořák, rappresentato per la prima volta nel 1880 a Praga, è un affresco corale di ampio respiro, sul testo latino di Jacopone da Todi, già musicato da altri compositori, in epoche precedenti, in particolare, quello composto da Gioachino Rossini, probabilmente è il più noto. Durante la composizione dello Stabat Mater, Antonín Dvořák subì un gravissimo lutto familiare, la perdita, a distanza di pochi mesi, di tutti e due i figli. Nonostante si sia confermato più volte che nello Stabat Mater il compositore non abbia riversato quell’effetto straziante derivante dalla sua biografia, è indubbio come in certi passaggi della partitura vi siano richiami ad una angoscia interiore profonda. La toccante interpretazione del maestro Netopil ha portato chiaramente in superficie molti di questi momenti, a partire dall’introduzione sinfonica dove ad un inizio quasi impalpabile si sono susseguite folate di ampio lirismo e quindi una profonda sensazione di angoscia, di dolore trafittivo al cuore,  realizzata magnificamente dagli archi. Il giovane direttore ceco ha attraversato l’intera partitura conferendo una fluidità  nei passaggi orchestrali veramente superlativa. Così negli accompagnamenti al Coro e ai Solisti una fusione perfetta dei suoni ha letteralmente riempito la sala di un incanto quasi magico. Momenti di rara bellezza orchestrale hanno caratterizzato tutta la partitura, ma in particolare la prima parte, la più dolorosa, la rappresentazione di Maria ai piedi della Croce, è stata realizzata come una vera poesia lirica, tutto il primo quartetto “Stabat Mater”, così come la ripresa sconvolgente di “Quis est homo”. Bellissimo il Giudizio delle trombe, implacabili, nel “Fac ut ardeat”, quindi nuovamente momenti sognanti nell’attacco di “Virgo Virginum”, tristi, nostalgici nell’incipit di “Fac ut portem”, fino all’accompagnamento sinuoso, lento dell’”Inflammatus” e al maestoso finale, catartico, piano, poi potente dell’ “Amen” conclusivo.
Il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretto dal Maestro Ciro Visco, ha offerto una prestazione superlativa. Perfetto in tutti i suoi numerosi interventi, ci ha regalato momenti di particolare suggestione già dall’iniziale “Stabat Mater dolorosa” quasi alitato, sussurrato. Incalzante poi dolente ed intenso nell’”Eja Mater”. Carezzevole nel “Tui nati vulnerati”, sublime nella ripresa del “Fac me vere tecum flere”. Virtuosistico, dopo un attacco in pianissimo, quasi sognante nel “Virgo virginum”, maestoso, potente nel finale con ulteriori momenti di suggestione nell’”Amen “.
I solisti hanno contribuito in maniera significativa alla riuscita della serata. Il soprano slovacco Simona Šaturová, l’unica del quartetto a non avere pezzi solistici come gli altri, si è rivelata una vera presenza durante tutta la partitura, amalgamando molto bene il suo timbro lirico, con quello degli altri interpreti, fin dall’”O quam tristis et afflicta”, al bellissimo “dum emisit spiritum” del secondo numero, all’attacco dolentissimo del “Fac ut portem”, vero duetto tra soprano e tenore, di stampo quasi operistico.  Il contralto Michaela Selinger, di timbro scuro, caldo, offre momenti di grande pathos già dal “Quis est Homo” e regala una avvincente interpretazione del suo brano “Inflammatus”, di vocalità quasi haendeliana, con dei virtuosismi perfetti alternati a oasi di lirismo con un fiato formidabile, lunghissimo nel “confoveri gratia” che chiude il numero. Il tenore Richard Samek, lirico leggero, dopo un bellissimo attacco dello “Stabat Mater” iniziale, presenta qualche incertezza nel suo brano solistico “Fac me vere”, dove è un po’ coperto dall’orchestra, ma si riprende e in modo molto suggestivo nella ripresa del numero, chiudendo con uno splendido “in planctu desidero”. Ottimo poi nel duetto con il soprano, dove ha sfoggiato bei virtuosismi. Il basso Andreas Scheibner, che detiene un brano di potenza, paragonabile al “Tuba mirum” del “Dies Irae” del “Requiem”, lo affronta con un timbro più chiaro ma dolente e di grande suggestione nella tenuta dei fiati nell’”ut sibi complaceam” offrendo anche lui una prestazione di alto livello. Sala gremita, ma non pienissima, il pubblico ha applaudito calorosamente al termine. Foto Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello