Bergamo Musica Festival 2014: “Lucia di Lammermoor”

Teatro Donizetti – Bergamo Musica Festival 2014
“LUCIA DI LAMMERMOOR”
Dramma tragico in tre atti
Libretto di Salvadore Cammarano
dal romanzo The bride of Lammermoor di Walter Scott
Musica di Gaetano Donizetti
Lucia BIANCA TOGNOCCHI
Edgardo RAFFAELE ABETE
Enrico CHRISTIAN SENN
Raimondo GABRIELE SAGONA
Arturo RICCARDO GATTO
Alisa ELISA MAFFI
Normanno FRANCESCO CORTINOVIS
Orchestra e Coro del Bergamo Musica Festival
Direttore Roberto Tolomelli
Maestro del coro Fabio Tartari
Regia Francesco Bellotto
Scene Angelo Sala
Costumi Alfredo Corno
Luci Claudio Schmid
Nuova produzione Fondazione Donizetti sull’edizione critica a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker
Bergamo, 26 settembre 2014

Quando ci si reca a teatro per assistere ad una nuova produzione di Lucia di Lammermoor, il nostro pensiero corre subito a questa o a quella edizione discografica a cui sentiamo di essere indissolubilmente legati, oppure – e questa seconda ipotesi vale solo per i melomani più fortunati – si tende a ricordare qualche storica recita di un passato vicino o lontano che abbia saputo infiammare gli animi dei presenti, rientrando così di diritto negli annali gloriosi che ogni singolo appassionato d’opera stila nella propria memoria. Date tali premesse, è sovente inevitabile che le aspettative dello spettatore si attestino su livelli molto alti. Ma cosa accadrebbe se, per una volta, la Lucia di Lammermoor non assumesse la funzione di trampolino per l’esibizione delle bellurie vocali di un grande soprano e di un rinomato tenore, per diventare qualcosa d’altro? O, meglio, per tornare ad essere un puro e semplice capolavoro di teatro in musica? È quanto il Bergamo Musica Festival “Gaetano Donizetti” (BMF) ha tentato di realizzare inaugurando la sua nona stagione con la riproposta dell’amatissimo titolo donizettiano.
L’edizione critica scelta è quella a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker, basata sull’autografo originale, eseguita nella sua interezza, con tanto di ripristino delle tonalità originali, più acute rispetto a quanto la tradizione esecutiva ci abbia abituati. Ed è così che la cavatina d’ingresso di Lucia si alza di mezzo tono, permeando l’allucinato racconto della protagonista di un colore più chiaro e fanciullesco, senz’altro adatto ad esprimere la giovinezza e l’ingenuità della ragazza. Più avanti nell’opera, il duetto Lucia-Enrico sale di un tono intero, così come la scena della follia per la quale è stata composta una nuova cadenza. Tale cadenza, per voce sola, nonostante risulti decisamente meno elaborata rispetto a quella accompagnata da flauto della tradizione, rispecchierebbe maggiormente l’intelaiatura armonica lasciataci da Donizetti, laddove quella tradizionale, di creazione indubbiamente postuma rispetto al compositore, suonerebbe intrisa di un gusto tipicamente fin de siècle, essendo stata composta con molta probabilità sul finire dell’Ottocento dall’insegnante di canto Mathilde Marchesi in favore di una sua allieva: il famoso soprano australiano Nellie Melba. A livello strumentale, si dimostra particolarmente azzeccato l’utilizzo in orchestra dei corni naturali – strumenti dal suono più molle e malinconico, ma anche di più difficile intonazione, rispetto ai moderni corni francesi – e dei tromboni a pistoni; mentre, durante la scena della follia, l’introduzione dell’armonico a bicchieri – un parente della glassarmonica a funzionamento completamente manuale, impeccabilmente suonato dal Maestro Gianfranco Grisi – sortisce un’atmosfera quasi magica, evocando un effetto allucinogeno di notevole presa.
Nell’ottica di recupero e valorizzazione della partitura originale – che diviene a tutti gli effetti la regina incontrastata della festa – la scelta di un cast giovane e perlopiù inesperto, privo di qualsivoglia manierismo vocale ed interpretativo, costituisce una mossa comprensibile ancorché rischiosa.
Bianca Tognocchi, soprano ventiseienne, incarna con la freschezza fisica e con il garbo delle movenze la figura di Lucia. La sua voce – chiarissima, esile, quasi disincarnata – è sostenuta da una tecnica che permette di affrontare la scrittura originale senza particolari intoppi sul piano prettamente vocale. Il soprano esibisce una musicalità spiccata che le consente, anche grazie ad un’intonazione pressoché perfetta, di portare a termine la cadenza a voce scoperta senza la minima incertezza. Altrove, le agilità, per corrette che siano, suonano alquanto scolastiche e, mancando di mordente, tendono ad appiattire la statura virtuosistica del ruolo. Come interprete poi, la Tognocchi evidenzia maggiormente il carattere debole e rinunciatario della protagonista, mostrando invece i propri limiti nei momenti che richiederebbero ben altro pathos. Al suo fianco, l’Edgardo di Raffaele Abete. Il tenore trentenne, originario di Napoli, è efficace nel delineare i tratti di un personaggio che somiglia ad un adolescente innamorato piuttosto che all’eroe romantico per antonomasia: la spavalderia, l’ardore, l’impulsività, l’inconsapevolezza, sono tutti elementi chiaramente ravvisabili nelle azioni maldestre che questo Edgardo compie, non senza una certa goffaggine, sulla scena. Sul piano vocale, Abete, nonostante uno strumento interessante per caratura ed estensione (fino al mi bemolle sovracuto nel duetto con Lucia), si esprime con un timbro piuttosto ruvido e con un’emissione a tratti sforzata, in cui si alternano note ben riuscite ad altre fuori fuoco e sovente calanti. Il baritono Christian Senn, presenza ricorrente al BMF, si produce in una performance del tutto convincente: per nulla orco, il suo Enrico altri non è che un fratello maggiore, divenuto protervo ed inflessibile, perché sinceramente preoccupato per le sorti economiche della famiglia. Senn ha voce morbida e rotonda ed un timbro schiettamente baritonale che mostra di tanto in tanto venature più chiare nel colore; l’emissione si mantiene omogenea e la linea del suo canto è ovunque piacevole. Il basso Gabriele Sagona dona a Raimondo un aspetto autorevole ed un atteggiamento ieratico quanto mai appropriati; se l’attore si impone senza riserve, il cantante risulta meno soddisfacente, a causa di una vocalità che appare più flebile e schiarita rispetto a prove precedenti. Molto azzeccato scenicamente l’Arturo di Riccardo Gatto, prestante cicisbeo dalla chioma fluente e dai modi arroganti, ad onta di un canto piuttosto imbarazzante. Solo funzionali il Normanno di Francesco Cortinovis (con una discutibile tendenza al parlato) e la Alisa di Elisa Maffi, personaggio ampiamente rimaneggiato dalla regia, come vedremo nel prosieguo della recensione.
Sul podio, Roberto Tolomelli guida l’orchestra con un discreto aplomb (che diventa appena sufficiente per quanto riguarda la coesione con il coro), evitando qualsiasi eccesso nelle scelte dei tempi, privilegiando la cantabilità degli archi e, soprattutto, enfatizzando il colore delle diverse sezioni strumentali.
Francesco Bellotto, direttore artistico del BMF e regista dello spettacolo, sceglie di ambientare la vicenda in una non-epoca, in modo da rendere universalmente applicabili i contenuti della narrazione. Se i costumi, firmati da Alfredo Corno, spaziano dal Medioevo al Rinascimento, le scene di Angelo Sala contengono elementi che congiungono circolarmente passato e presente: le imponenti mura, rese macerie dal passaggio di una guerra senza tempo, rivelano un’anima di cemento armato, materiale molto vicino allo spettatore contemporaneo. La piattaforma girevole che ruotando compone i diversi ambienti, svela di volta in volta nuove prospettive di un paesaggio reso inospitale da un clima rigido, quasi polare, dove la neve ed il ghiaccio affliggono qualsiasi forma di vita, congelando perfino lo scorrere dell’acqua. Lo scenario desolato che ci viene presentato trascende qualsiasi collocazione spazio-temporale, evocando immagini che quasi prefigurano un futuro apocalittico. Su questo sfondo, il regista inserisce con un’audacia forse eccessiva un aspetto estraneo al libretto di Cammarano, e lo fa tramutando il personaggio di Alisa da damigella e confidente di Lucia in una strega cenciosa ed inquietante, costantemente seguita da due striscianti comari…che sia proprio il maleficio gettato da Alisa sull’anello – sfilato all’inizio dell’opera dalla mano recisa di un cadavere di donna e poi donato alla povera Lucia – la causa della tragica fine dei giovani amanti? Foto per gentile concessione del Bergamo Musica Festival

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