Taranto, “Giovanni Paisiello Festival”:” Semiramide in Villa”

Taranto, XII° Giovanni Paisiello Festival, MUDI, Museo Diocesano d’Arte Sacra
“LA SEMIRAMIDE IN VILLA” (1772)
Intermezzo a quattro voci di Giovanni Paisiello
Madama Tenerina CAROLINA LIPPO
Madama Placida IRENE MOLINARI
Garofalo FABIO PERILLO
Monsieur Panbianco PASQUALE ARCAMONE
Orchestra del “Giovanni Paisiello Festival”
Direttore Giovanni Di Stefano
Regia Stefania Panighini
Scene Marco Carella
Costumi Michela Caccioppoli
Luci Walter Mirabile
In collaborazione con Festival della Valle d’Itria
Accademia di belcanto “Rodolfo Celletti”
Taranto, 18 settembre 2014
La XII edizione del “Giovanni Paisiello Festival” si è chiusa giovedì 18 settembre al MUDI (Museo Diocesano d’Arte Sacra) di Taranto con la prima esecuzione assoluta in tempi moderni della Semiramide in Villa (Roma, Teatro Capranica, carnevale 1772), un’opera che di per sé è, come ha affermato la regista Stefania Panighini, «metateatrale al cubo» (la compagnia di cantanti buffi diretta da Monsieur Panbianco si trova, infatti, costretta ad allestire l’opera seria Semiramide, ma, come c’era da aspettarsi, alla fine i personaggi confondono o dimenticano le proprie battute e tutto si scioglie in un ilare e folle turbinio di scuse del capocomico rivolto agli spettatori: «L’abbiamo fatta la mascherata / Ci compatiscano per carità»). Questo intermezzo parodizza la Semiramide riconosciuta di Metastasio ed è strutturalmente caratterizzato da due parti distinte. Nella prima il librettista (anonimo) irride la figura dell’impresario teatrale e i vezzi delle cantanti, sulla diretta scia di ciò che più di cinquant’anni prima aveva scritto Benedetto Marcello ne Il Teatro alla moda. Questa mordace satira alla dissolutezza del mondo del teatro non solo apre un prezioso squarcio sulla poetica di Paisiello (insofferente verso convenzioni e stereotipi) ma può anche essere attualizzata; nelle note di regia di Stefania Panighini leggiamo infatti: «Il libretto descrive una società dove si vive immersi nel consumismo più annichilente, dove i beni materiali costituiscono la statura dell’essere umano, il quale vive di relazioni finte e meschine, in fin dei conti tristemente solo con se stesso». Di particolare pregio la scenografia, curata da Marco Carella: fra resti archeologici che occhieggiano all’Oriente, attrezzi di scena, bauli e baldacchini, sulla parete di fondo grandeggiava un drappo di velluto rosso (impreziosito da luci quasi caravaggesche, che hanno plasmato densi chiaroscuri), relitto di un sipario o vela sdrucita di vascello che potentemente ha solcato i fondali del tempo, traghettando questa pirotecnica opera paisielliana direttamente nella contemporaneità; contemporaneità deliziosamente espressa anche dai raffinati costumi di scena, realizzati da Michela Caccioppoli e dall’estro di Roberto Mascellaro per il trucco.
Giovanni Di Stefano (“paisielliano” direttore d’orchestra dai tempi della produzione del 1988 de Il Barbiere di Siviglia al Petruzzelli di Bari) ha ridonato vita a una partitura di non facile lettura: il manoscritto autografo, infatti, conservato in due distinti volumi presso la Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, è mutilo nella prima parte della Sinfonia e di un’aria – “Carina, ognor fra i denti”, qui rimpiazzata dall’aria di Balik “Voi avrete una sposina” tratta dall’Arabo cortese (II.3) di Paisiello (Napoli, 1769). Nella seconda parte della partitura mancavano interamente le prime due scene che sono state colmate grazie alla riscrittura di alcuni versi recitativi e all’inserimento di due arie coeve, metricamente funzionali alla sostituzione: l’aria di Monsieur Panbianco “Ci vuol politica” – sostituita da quella di Gelino “Badate bene” (I.3) tratta dalla Finta amante di Paisiello (Moghilev, 1780) – e quella di Semiramide “Non so se più ti accendi”, i cui versi sono stati adattati ad un’aria con incipit omonimo della Semiramide di Pietro Alessandro Guglielmi (Napoli, 1776).
Carolina Lippo con verve attoriale tenace ha interpretato il ruolo della primadonna Madama Tenerina; magistrale nell’aria maliziosa e sciantosa “Col mio ciglio languidetto” (I.1), con striptease annesso (fra «un trillo, una volata, un sorriso, un’occhiatina»), e nel vortice di iracondia spietata de “La rabbia, la bile mi strappano il core” (I.4); per non parlare delle due arie cantate nei panni di Semiramide: “Non so se più t’accendi” (II.2), divertente beffeggiamento dello stile da opera seria (con sovraccarichi gorgheggi, trilli inverosimili e note acute sostenute fino all’estremo), e la sospirante e languida “Serbo in seno il cor piagato” (II.6), fulgido gioiello di tutta la seconda parte dell’intermezzo. Apprezzata anche il mezzosoprano Irene Molinari (Madama Placida, la seconda buffa) mezzosoprano dalla gestualità efficace e dalla vocalità corposa, specie nella piccante aria “Potrei dirle belle cose se volessi anch’io parlare”, come pure nella più virtuosistica “Tu di saper procura” (II.8) e in “Che quel cor, quel ciglio nero” (II.4). Il tarantino Fabio Perillo (che interpretava il virtuoso di musica Garofalo), tenore ancora in formazione, si è distinto in “Risplende il ciel sereno” (I.5). Molto buona la prova del basso-baritono Pasquale Arcamone che ha dato vita a un coinvolgente Monsieur Panbianco, capocomico dall’ostinata bramosia sessuale (si vedano le smargiasse dichiarazioni a Madama Placida nell’aria “Voi sareste una sposina”), autoritario e burbero in più riprese, esilarante nel turbinoso finale della prima parte – in cui con decenni d’anticipo ritroviamo (in fase embrionale) motivi rossiniani (tanto di Don Magnifico della Cenerentola che di Don Profondo del Viaggio a Reims). Monsieur Panbianco nelle vesti preziose del principe Ircano, all’inizio della seconda parte, si è calato nella platea coinvolgendo il pubblico nell’azione scenica e distribuendo chaiers de La Semiramide. Come in ogni opera, l’amore profuso per la regia, il gusto della performance canora ed il piacere di costruire emozioni per sé e per gli altri non sono altro, alla fine, se non una faticosa ricerca di verità, una lotta instancabile che mette a nudo e dice qualcosa di segreto e di inconfessato della propria vita, parlando contemporaneamente alle vite e alle emozioni degli altri: cioè, degli spettatori. E proprio a questi si è rivolto l’ultimo gesto (postmoderno) del cast della Semiramide in Villa della XII edizione del Giovanni Paisiello Festival: un goliardico selfie di gruppo che, nella sua apparente semplicità, ha ricordato che tutti noi siamo coinvolti nei magici ingranaggi della sfolgorante macchina teatrale.

 

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