“Don Giovanni” al Teatro Fraschini di Pavia

Teatro Fraschini – Stagione d’Opera 2014-2015
“DON GIOVANNI” (vers. Praga, 1787)
Dramma Giocoso in due atti KV527. Libretto di Lorenzo Da Ponte.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni DIONYSIOS SOURBIS
Don Ottavio MATTEO MEZZARO
Il Commendatore CRISTIAN SAITTA
Donna Elvira MARIA TERESA LEVA
Donna Anna EKATERINA GAIDANSKAYA
Leporello LEONARDO GALEAZZI
Masetto DAVIDE GIANGREGORIO
Zerlina ALESSANDRA CONTALDO
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Direttore José Luis Gomez-Rios
Maestro del coro Dario Grandini
Regia Graham Vick
Scene e costumi Stuart Nunn
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografie Ron Howell
Coproduzione con Teatri del Circuito Lirico Lombardo, Fondazione Teatro Comunale di Bolzano, Teatro dell’Aquila di Fermo, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia.
Pavia, 12 ottobre 2014
Il controverso allestimento del Don Giovanni di W.A. Mozart, prodotto da As.Li.Co., approda questa volta sul palcoscenico del Teatro Fraschini di Pavia. A giudicare dall’opinione di molti, questa produzione altro non sarebbe che il Don Giovanni di Graham Vick. Per quanto tale impressione sia legittima e per nulla isolata, personalmente ritengo che questo spettacolo sia non solo il Don Giovanni di Mozart, ma soprattutto il Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte.
Il regista inglese, accusato nella fattispecie di un debordante ed eccessivo protagonismo, si limita nella semplice realtà dei fatti a traslare la vicenda dall’epoca della sua composizione, è cioè il Settecento, ai giorni nostri, amplificandone contenuti e morale onde renderli il più attuali possibili. Alzare l’asticella, anche in modo deciso come avviene qui, della volgarità e di certo cattivo gusto è operazione del tutto plausibile se si intende catturare la reale attenzione del pubblico d’oggi – intento pienamente raggiunto a giudicare dalla ridda di opinioni presenti in rete – fomentandone le discussioni ed i confronti sull’argomento. Come spettatore, non ho trovato nulla di particolarmente scioccante o disgustoso che avvenisse sulla scena e che non possa ritrovare fuori dal teatro, a rappresentazione finita. Alcune trovate del regista – automobili sul palco, sesso più o meno esplicito, festini a base di droga e così via – non dovrebbero nemmeno destare cotanto scalpore, considerato che il loro utilizzo nel teatro d’opera ha già una storia (basti pensare a Calixto Bieito o al nostro Damiano Michieletto). La centralità della figura femminile considerata alla stregua di spazzatura (i container da discarica riempiti da manichini gettati alla rinfusa e mescolati a donne in carne ed ossa) dileggiata e derisa (l’ingresso assurdamente ridicolo dentro una carriola di Donna Elvira), spersonalizzata e ridotta a mero oggetto sessuale (il gigantesco totem di donna nuda, senza volto e con le mani legate dietro la schiena), non fa altro che riflettere la visione del rapporto che Don Giovanni– incarnazione di un’ottica maschilista quanto mai contemporanea – ha nei confronti delle relazioni con l’altro sesso, ma pure nei confronti della vita in generale. Queste ed altre scelte visive di Vick possono essere considerate “brutte” o “volgari”, ma non credo si possano definire inutili né tantomeno gratuite. Per di più, le situazioni mostrate appaiono quasi alleggerite nel loro essere grevi, grazie ad un cast composto da giovani e giovanissimi che animano la narrazione con scanzonata levità. La conclusione dell’opera poi, così come ce la rappresenta Vick, risulta lampante: Don Giovanni viene cacciato dal palco e costretto a sedersi in sala, in mezzo al pubblico illuminato a giorno, mentre i protagonisti intonano “Questo è il fin di chi fa mal” guardando noi tutti negli occhi: l’Inferno è qui, ora.
La concertazione di José Luis Gomez-Rios si distingue per un suono secco e puntuto, a tratti fastidioso tanto quanto le malefatte cui assistiamo. Il direttore venezuelano appronta tempi veloci, spesso vertiginosi, che però non riesce ad imbrigliare compiutamente, come dimostrano alcuni problemi di tenuta e della buca e del palco verificatisi nel corso dell’opera.
Don Giovanni è impersonato da Dionysios Sourbis. Il baritono greco, oltre al bell’aspetto, esibisce uno strumento di buona qualità, ben timbrato e dal volume più che discreto. L’emissione, spavalda e caratterizzata da una dizione intelligibile nei recitativi, si fa molto più incerta quando deve passare al canto vero e proprio, dimensione in cui fa capolino uno spiacevole vibrato “belante”, sintomo di una tecnica che andrebbe decisamente migliorata. A livello scenico, questo protagonista convince e certi atteggiamenti da benestante spocchioso e depravato fanno quasi presagire una naturale evoluzione dal personaggio mutuato da Tirso de Molina e Molière al Patrick Bateman di Bret Easton Ellis nel suo American Psycho. Leonardo Galeazzi è un Leporello di voce più chiara e squillante rispetto a quanto si ascolta solitamente in questo ruolo, ma il cantante è ferrato, l’interprete sicuro e l’attore disinvolto. Il Commendatore di Cristian Saitta (23 anni) ha voce da vendere e non si vedono le ragioni – se non l’inesperienza di base – per cui il giovanissimo basso senta la necessità di spingere tanto, sortendo così un effetto tonitruante che sfiora il parossismo. Matteo Mezzaro (Don Ottavio) ha voce così bella che dispiacciono doppiamente le tante, troppe difficoltà incontrate dal tenore durante l’esecuzione de “Il mio tesoro intanto”, dove la tenuta della linea e, soprattutto, la mancanza totale delle agilità previste da Mozart – tramutate in un’infilata di suoni trascinati e lamentosi – sono ascolti che si tollerano a fatica. Il Masetto di Davide Giangregorio spicca di meno – ma è il personaggio stesso ad essere meno interessante – e si segnala per una sommaria correttezza sia scenica che vocale.
Sul versante femminile, Ekaterina Gaidanskaya è una Donna Anna poco calzante, soprattutto per quello che concerne la performance vocale. La voce risulta aspra e stridente in più di un’occasione, come si evince dall’esecuzione della prima aria, risolta con innumerevoli suoni forzati e note crescenti. Proseguendo, il soprano russo si scalda e riesce a cesellare un “Non mi dir” espressivo, notevole nel legato e solo un poco legnoso nelle battute vocalizzate che lo concludono. La Donna Elvira di Maria Teresa Leva – personaggio che da suora sedotta e abbandonata si evolve assumendo i panni prima di una prostituta cocainomane, poi di un’adolescente sexy (il tutto per attirare l’attenzione del dissoluto protagonista) – si esprime con accenti imperiosi e personali, nonostante una vocalità che il soprano può gestire proficuamente solo quando la tessitura gravita nel registro acuto e quando l’emissione si mantiene sul forte. Alessandra Contaldo (Zerlina) finisce per essere l’interprete femminile più convincente, grazie ad una voce di soprano morbida e brillante al contempo e ad una tecnica che appare salda soprattutto se rapportata alla giovane età. Buona la prova del Coro del Circuito Lirico Lombardo, ben coinvolto anche dal punto di vista attoriale. La rappresentazione termina fra il tripudio di applausi tributati unanimemente dal numeroso pubblico accorso. Foto Binci

4 Comments

  1. Stefano C.

    Perdonate la mia pochezza, ma non riesco a capire i peana relativi a questo allestimento se non per il curioso paradigma che “tutto ciò che appare nuovo, va bene; tutto ciò che appare tradizionale è male”.

    Nella regia di Vick c’è un macroscopico errore drammatico: se è certo possibile portare Don Giovanni ai nostri tempi, non si può dotarlo di attributi che con il personaggio non c’entrano nulla, primi tra tutti la violenza sulle donne ed il sesso estremo.
    Signori, questi elementi non solo non c’entrano niente con Don Giovanni, ma sono degli alieni rispetto a tutta l’opera mozartiana.
    Schiavo di questa imposizione, il personaggio si appiattisce e perde quei connotati di leggerezza che fanno da contraltare alla sua dissolutezza rendendolo unico. Non è più possibile parteggiare per lui, come forse faceva anche lo stesso Mozart riconoscendosi in parte, e sparendo i chiaroscuri, diventa un depravato tout court.
    Da un lato, nell’azione scenica vengono eliminati l’allegria ed il senso di gioco che tradizionalmente caratterizzano molti tratti dell’opera e la musica di Mozart, compresa questa partitura. Dall’altro i doppi sensi del libretto di Da Ponte vengono trasformati in immagini di sesso esplicito.
    La distanza che separa la musica dalla scena è abissale: Mozart mette in musica il duello tra il Commendatore e Don Giovanni con una coloritura che tiene il ritmo delle stoccate e si conclude con l’affondo conclusivo, non con una mutanda sporca strofinata sotto il naso. Così come tutto il finale a partire dal banchetto presenta un’azione che se ne va totalmente per i fatti suoi rispetto al libretto ed alla musica.

    Tanto vale trasformare Rigoletto in un Body Builder, Aida in una dominatrix nazista e Cho-Cho-San in una Lolita affamata di sesso.

    Vick è partito per la tangente nel cercare l’innovazione, uscendo dal libretto e dalla musica, e si è perso in uno spazio tutto suo che
    purtroppo con il Don Giovanni Mozartiano c’entra poco per ottenere il risultato contrario.
    Secondo lui, “il Don Giovanni ha poco a che fare con la musica di Mozart perché ha rovinato lo spirito del Settecento di cui è frutto”, ed è quindi per sua stessa ammissione che decide di separarsi dall’opera per andare a cercare l’archetipo del personaggio.
    Va tutto bene: per carità guai a limitare l’arte, ma poteva lasciar perdere Mozart e lo stesso Da Ponte, e creare uno spettacolo autonomo di prosa come altri hanno fatto, anziché farsi scudo dell’opera di entrambi per cercare l’applauso.

    Lasciando pur perdere le inevitabilii considerazioni sul fatto che la mimica di una fellatio o di un rapporto “doggy stile” possa essere coerente con un spettacolo che non presenta restrizioni per il pubblico, l’errore di VIck è quindi soprattutto quello di cadere nel mito più pericoloso per un regista: quello di Narciso. Più innamorato di se stesso che dell’opera che va a mettere in scena.
    In quest’ottica, la volgarità della rappresentazione è un corollario.

    In poche parole, questa non è un regia provocatoria, è sbagliata. Così come non è moderna, ma è vecchia di quarant’anni nel perseguire la ricerca dell’eccesso volgare ed estremo, riportandoci al turpiloquio esaltato dagli intellettuali nella fine degli anni ’70.

    Buona musica a tutti.

  2. Pierluigi Dorici

    Ho visto lo spettacolo oggi al Teatro Grande di Brescia, esaurito (come pure alla prima recita) in ogni ordine di posto. Concordo in toto sul commento riguardante la parte musicale. Sulla regia trovo che al di là di qualche eccessiva sottolineatura, volgare e gratuita al tempo stesso, lo spettacolo aveva un suo ritmo incalzante e la mano del grande regista c’era tutta. Non nascondo tuttavia la nostalgia per un Don Giovanni più classico. Il successo è stato comunque completo e non si sono registrate contestazioni. Al contrario non sono mancate nell’intervallo e alla fine, discussioni tra gli spettatori sull’impostazione dello spettacolo. Ma questo è positivo ed è una delle ragioni per cui si va a teatro.

  3. anita

    ho dovuto abbandonare prima, avendo portato mio figlio di 10 anni che continuava a chiedere spiegazioni e simulava pure alcuni atteggiamenti. Posso essere d’accordo su questa interpretazione, però, secondo me, dovrebbero avvisare circa lo svolgimento. I bambini non vengono tutelati

  4. Perluigi dorici

    Gentile sig. ra Anita, io la ammiro perché porta un bambino di 10 anni all’opera (anch’io ho cominciato a quell’età – ora ne ho 59 – e me ne sono innamorato per sempre!), ma mi perdoni, il Don Giovanni no! In questa versione o comunque in qualsiasi modo la si rappresenti, Don Giovanni inizia con un tentativo di stupro; su questo non ci piove, poi sono il primo a dirle che le volgarità non vanno mai bene, specie se fuori luogo e del tutto arbitrarie come in questo caso. Comunque complimenti a lei e al bambino che ha la capacità di ascoltare una musica non facilissima come questa.

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