Teatro dell’Opera di Roma:”Cenerentola”

Roma, Teatro dell’Opera di Roma, Stagione di Opere e Balletti 2013-2014
“CENERENTOLA”
Balletto in tre atti
Musica di Sergej Prokof’ev
Coreografia di Derek Deane
Cenerentola LETIZIA GIULIANI
Principe GIUSEPPE PICONE
Madrina ALESSANDRA AMATO
Sorellastre ROBERTA PAPARELLA / ALESSIA GAY
Primavera MARTINA CIOTTO / GIACOMO LUCI
Estate CRISTINA SASO / GIUSEPPE SCHIAVONE
Autunno GIOVANNA PISANI / EMANUELE MULÉ
Inverno MARIANNA SURIANO / TIMOFEJ ADRIJASENKO
Buffone YURI MASTRANGELI
Insegnante RICCARDO DI COSMO
Padre PAOLO MONGELLI
Orchestra e corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Nir Kabaretti
Scene Michele Della Cioppa
Costumi David Walker
Luci Mario de Amicis
Allestimento del Teatro dell’Opera
Roma, 3 ottobre 2014

 L’atmosfera di placida calma con cui si è entrati al Teatro dell’Opera di Roma per assistere all’attesa Cenerentola prokofeviana, non corrisponde allo stato attuale dello stesso: un’istituzione in balia di venti politico-economici. La platea gremita di bambini e famiglie, al contrario, dimostra come il balletto, ancor più dell’opera, sia rivolto a un grandissimo pubblico. La danza si lascia, del resto, conoscere e vivere con più immediatezza. A distoglierci da questa strana malia, solo le parole del M° Kabaretti, che giungono puntuali alla fine del prim’atto: poche sillabe per dimostrare la sua vicinanza a un’orchestra con cui ha lavorato molto e bene e di cui depreca il triste (o, meglio, tristo) destino, seguite da uno scroscio di applausi che attestano l’amore del pubblico della capitale (e non solo) per il suo teatro.
La Cenerentola op. 87 di Sergej Prokof’ev è un prodotto tardo di quella sua poetica che anela quasi verso un apollineo, sempre precluso al compositore, forse per colpa della storia; fu, infatti, composta negli anni della Seconda Guerra Mondiale e terminata nel 1944, ma data in première solo un anno dopo (1945) al Bol’šoj moscovita, con la celebre Ulanova nel ruolo del titolo. Di lì, una solida ascesa nei più importanti teatri del mondo. Prokof’ev si adagiò su una abbastanza solida tradizione coreutica, che vedeva protagonista la meschina perraultiana più famosa di tutti i tempi: «Cercavo» − ebbe a scrivere il compositore − «di trasmettere nella musica i caratteri della bella Cenerentola, del suo padre modesto, della madrina esigente, delle sorelle capricciose e autoritarie e del giovane Principe ardente d’amore affinché gli spettatori non restassero indifferenti alle loro difficoltà e alle loro gioie». Ma si badi che se è pur vero che «musicalmente è una partitura molto variegata con spunti lirici, tensioni ritmiche fortemente scandite e inflessioni umoristiche e ironiche» (E. Melchiorre, dal programma di sala), l’ethos musicale è tutt’altro che onirico, fiabesco strictu sensu: Prokof’ev fa di tutto per risultare più ciajkovskiano possibile, ma la musica che gli sgorga dall’animo è sovente velata di una scura, impenetrabile cortina, nebbiosa, fuligginosa, graffiata da umbratili dissonanze, specchio reale del suo animo disilluso alla fiaba. Della partitura − presentata integralmente, senza tagli −, Nir Kabaretti, direttore versato nell’accompagnamento musicale dei balletti e affezionato dell’Opera di Roma, fornisce (per nostra fortuna) una convincente lettura: i ritmi sono sostenuti, gli slanci lirici debitamente espansi, colte le particolari singolarità di questa composizione. V’è sempre comunicazione diretta fra la buca e il palco. L’orchestra suona come meglio non potrebbe: la palpabile pastosità sonora cesella ogni momento coreutico, facendo sfavillare lo screziato ingegno musicale del russo. Danza la parte di Cenerentola Letizia Giuliani, assai convincente nel ruolo: la bellezza delle posizioni, la pulizia delle linee e la perizia tecnica la sorreggono nell’assolo del I atto (con la deliziosa gavotta), come in quello speculare del III. Sicura nella sua variazione del pas de deux col Principe nel II atto, raggiunge il culmine della performance nel languido passo a due col principe, immedesimandosi nel casto erotismo della musica. Peccato che abbia traballato nella presa finale del I atto, quando due uomini delle stagioni la sollevano; lo stesso dicasi per una presa in cui viene sollevata dal Principe. Il ruolo del primo uomo è danzato da Giuseppe Picone, ballerino di certa fama: il suo charme, la presenza scenica, l’interpretazione lo rendono un principe apprezzabile, a dispetto di qualche passaggio in cui appare legnoso e di una tecnica a tratti periclitante (come si è dovuto constatare nella sua variazione nel II atto, specialmente in uscita dai salti o dalle pirouettes). La poetica plasticità con cui danza il passo a due con la Giuliani, valgono a rendere proprio quello il momento più sublime di tutta la produzione – prescindendo dal finale III. Le due sorellastre sono interpretate da Alessia Gay e Roberta Paparella, le quali sottolineano molto la clownerie insita nel ruolo, ma si mostrano poco coordinate l’una con l’altra, poco in sintonia: i momenti migliori, infatti, sono i loro due buffi assoli del II e la contestuale danza delle arance. Graziosi le stagioni e i loro partners; unico elemento debole risulta l’esecuzione, alquanto appesantita, della variazione di Martina Ciotto come Primavera (ma si tenga conto che la ballerina ha sostituito in extremis una sua collega). Energico come un grillo il Buffone di Yuri Mastrangeli, uno degli elementi più divertenti della serata: salta, fa giravolte, s’impenna in lazzi di ogni tipo, con grande talento mimico (e ginnico!). Ma la vera protagonista della serata è stata l’eterea, elegantissima fata madrina di Alessandra Amato: contornata dalle sue stelle (le colleghe del corpo di ballo, tutte bravissime), dà vita alle coreografie più belle e riuscite, sempre con sensuale grazia. L’intero corpo di ballo – cui non si tributano mai complimenti a sufficienza – dimostra, al solito, la sua professionalità adamantina e l’ottima preparazione: l’esecuzione delle coreografie è piacevolissima, in particolare quella sulla più bella melodia dell’opera, il grande valzer (n. 30) del II atto.
Sull’assenza di una coreografia-prototipo per questa partitura, così si esprime A. Testa nelle note del programma di sala: «non esiste, dunque, una coreografia modello […] il campo si è dunque rivelato aperto. Ben vengano nuovi creatori […] ma essi non dimentichino la caratterizzazione che è alla base della musica di Prokof’ev, la differenziazione dei personaggi e delle situazioni sceniche come è proprio di un “balletto d’azione”». Questa libertà d’azione evidenzia, inevitabilmente, ogni passo falso del coreografo: e Derek Deane ne ha commessi, soprattutto per la lentezza con cui passano alcune scene meramente narrative e per l’assenza, all’uopo, di riempitivi danzanti che rimpolpino l’azione. Ma si fa apprezzare in diverse scene d’insieme, e soprattutto nei rispettivi tre finali d’atto: nel I mette in scena una carrozza principesca con i topi che portano cenerentola al ballo; nel II ci troviamo nel bel mezzo dell’appressarsi della mezzanotte (rappresentata da una raffica di proiezioni confuse di orologi, che mitigano un po’ la brutta impressione dell’orologio proiettato, a ondate regolari nel corso della produzione, sempre fisso con le lancette a mezzanotte) e la scena è ben movimentata con l’agitazione del principe, del giullare e dei convitati che coprono la Giuliani uscente, alla quale si sostituisce una controfigura in abiti straccioni che perde la celebre scarpetta (qui, ovviamente, da balletto); e nel III dove si supera nell’aerea leggerezza delle coreografie, il momento più bello dell’intera produzione, dove le stelle contornano le delicate evoluzioni della fata madrina officiante il matrimonio tra Cenerentola e il Principe. Le scene di  Michele Della Cioppa hanno, purtroppo, il difetto di tutte le scene di balletto degli ultimi anni: l’essere soggette al risparmio, all’idea di lesinare al massimo. La piacevolezza ne soffre: esempio ne è la scena del giardino fatato del I atto. Ma qualcosa di gradevole c’è, come la sala da ballo per il ricevimento-festa del principe e l’ultimissima scena rappresentata da un delicato cielo notturno trapunto di stelle, reso magico da studiati effetti luminosi. I costumi (David Walker), invece, sono di buona fattura, come quelli di un intenso blu pavone che indossano gli invitati nel II atto, dove si distinguono anche le belle mise di Cenerentola e del Principe. Una buona produzione, insomma, che fa capire come il balletto romano sia una realtà da valorizzare. Si fa tanto parlare – e a ragione −, in questo periodo, della sorte dei maestri di orchestra e dei coristi del Teatro capitolino: e di questi bravi e preparati ballerini, eventualmente, che ne sarà? Foto Falsini