Venezia, Teatro Malibran: “La porta della legge”

Teatro Malibran, Stagione lirica 2013-2014
“LA PORTA DELLA LEGGE”
Quasi un monologo circolare
Libretto e musica di Salvatore Sciarrino
dalla parabola Vor dem Gesetz (Davanti alla legge) di Franz Kafka
Prima rappresentazione assoluta: Wuppertal, Opernhaus, 25 aprile 2009
Prima rappresentazione italiana
L’uomo 1 EKKEHARD ABELE
L’usciere MICHAEL TEWS
L’uomo 2 ROLAND SCHNEIDER
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Tito Ceccherini
Regia Johannes Weigand
Scene e costumi Jürgen Lier
Video designer Jakob Creutzburg
Allestimento Wuppertaler Bühnen
Venezia, 26 ottobre 2014

Nel penultimo capitolo del Processo di Kafka il cappellano della prigione racconta a Joseph K., nella cattedrale vuota, la parabola della porta della legge, citando un racconto dello stesso Kafka, Vor dem Gesetz (Dinanzi alla legge), pubblicato vari anni prima, che non supera lo spazio di una pagina. Un guardiano sorveglia la porta della legge, sempre aperta. Un uomo di campagna gli chiede di poter entrare, ma si sente rispondere che al momento non è possibile, magari lo sarà “più tardi forse”. Passano i giorni, i mesi, gli anni, l’uomo tenta di convincere il custode, cercando anche di corromperlo, ma la risposta non cambia. L’uomo invecchia e le sue facoltà fisiche e mentali si affievoliscono sempre più. Quando sta per morire, chiede al guardiano come mai, dal momento che tutti tendono verso la legge, nessun altro uomo abbia chiesto di entrare. Al che il guardiano risponde che solo a lui e a nessun altro era riservato quell’ingresso, che si accinge ormai a chiudere.
Come si vede si tratta di una storia simbolica, che evoca l’arroganza della burocrazia e nel contempo l’inettitudine dell’uomo, che – soggiogato dal senso di colpa – interpreta il divieto del guardiano come assoluto, definitivo, mentre è sempre relativo ad un preciso momento, lasciando comunque aperte possibilità per il futuro. Pochi gli oggetti presenti in questa narrazione: lo sgabello, offerto all’uomo di campagna dal guardiano, il cappotto di pelliccia di quest’ultimo, infestato dalle pulci, la porta sempre aperta da cui si intravede la luce. Scarne, analogamente, le notazioni fisionomiche, al pari dei dialoghi.
Una siffatta narrazione sia per il tema (quello dell’arroganza dell’apparato burocratico ai danni del cittadino, che Sciarrino considera, nella prefazione alla partitura, di grande attualità in Italia), sia per il minimalismo che la connota non poteva non suscitare l’interesse del compositore siciliano, che, come è avvenuto per altre sue opere, è anche l’autore del libretto, nato dalla rielaborazione in forma dialogica del racconto kafkiano. Il compositore ha modificato di poco il titolo originale, aggiungendo un sottotitolo: “Quasi un monologo circolare”. Il “quasi” attenua il concetto di “monologo” per indicare che il fondamentale isolamento dell’uomo di campagna si dirada, seppure solo raramente per qualche istante. L’aggettivo “circolare” poi dà l’idea di una vicenda che si ripete all’infinito (secondo una sorta di nietzschiano Eterno ritorno), come suggerisce il fatto che essa si svolge, nell’opera, pressoché identica per due volte – nella prima e nella seconda scena – per ricominciare, rimanendo incompleta, nella terza. Con il guardiano (che nel testo di Sciarrino diventa l’usciere), interpretato da un’unica voce di basso, “dialogano” nelle tre scene, ripetendo situazioni e parole, l’uomo 1, che si esprime attraverso una vocalità di tenore, l’uomo 2, altra voce maschile che però canta in falsetto, e infine le due voci insieme.
Consone alla natura del dramma le scelte espressive di Sciarrino. La figura ricorrente nei disseccati dialoghi è l’iterazione, che si manifesta con l’ossessivo ripetersi degli stessi frammenti di frase, mentre la musica è il frutto di una raffinata ricerca sul suono, che è da tempo la cifra distintiva del compositore siciliano. Il rumoreggiare della lastra d’acciaio copre l’intero arco temporale. Ad esso si associano variamente suoni quasi impercettibili – respiri, raschiamenti, fruscii – ottenuti impiegando strumenti a fiato con diverse modalità di soffio, senza produzione di una nota specifica, e strumenti ad arco strofinati con il crine sulla cassa armonica. Su questo tenue fondale si stagliano sonorità più forti e aggressive (spesso associate al personaggio dell’usciere). Due pianoforti a coda e vari strumenti a percussione arricchiscono la gamma cromatica della partitura, fornendo un supporto ritmico alla musica e al canto. Quanto a quest’ultimo, le linee vocali dell’uomo 1 e dell’uomo 2 sono costituite quasi esclusivamente da note sostenute molto lunghe o da un sillabare molto veloce con ripetizioni multiple delle parole o di frammenti di frasi, che spesso si traduce in un mormorio ossessivo, rotto soltanto da qualche grido di protesta.
Commissionata dalle Wuppertaler Bühnen, La porta della legge ha ricevuto il suo battesimo la sera del 25 aprile 2009 all’Opernhaus di Wuppertal, riscuotendo unanimi consensi. Ripresa su altri palcoscenici internazionali – Mannheim (Nationaltheater), New York (Lincoln Center), Bogotá (Teatro Cafam de Bellas Artes) e Ostrava (Divadlo Antonína Dvoráka) –, viene proposta per la prima volta in Italia al Teatro Malibran di Venezia nell’allestimento di Wuppertal. Dunque Sciarrino con La porta della legge è di nuovo nella città lagunare (dove tra l’altro ha ricevuto qualche giorno fa il premio “Una vita per la musica 2014”), dopo il successo quivi ottenuto l’anno scorso con Aspern. Precisa e attenta ad ogni sfumatura la direzione di Tito Ceccherini, che ha saputo trarre dall’orchestra (impeccabile) e dai cantanti (di grande professionalità) tutta l’espressività, la carica simbolico-evocativa, racchiuse in questa raffinata partitura. Ricca di suggestioni espressionistiche la prestazione dei cantanti, sia sul piano vocale, destreggiandosi egregiamente nel ripetitivo, frammentario declamato voluto da Sciarrino, che su quello gestuale, agevolati dall’intelligente ed efficacissima regia di Johannes Weigand, che ha previsto per i personaggi movimenti essenziali, ora lenti ora parossistici. Beffardo e crudele l’usciere di Michael Tews, incisivo nel fraseggio e nel gesto, nonché in possesso di una voce capace di toni aspri e metallici. Altrettanto calati nella parte Ekkehard Abele e Roland Schneider, che ci hanno regalato un uomo 1 e un uomo 2 ossessivamente nevrotici nel gesto e nell’eloquio. Essenziali le scene e i costumi di Jürgen Lier, in linea col ricordato minimalismo, che caratterizza l’opera. Caloroso successo di pubblico.