“Nabucco” al Teatro Ponchielli di Cremona

Teatro Ponchielli – Stagione Lirica 2014
“NABUCCO”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco PAOLO GAVANELLI
Abigaille TIZIANA CARUSO
Zaccaria ENRICO GIUSEPPE IORI
Ismaele GABRIELE MANGIONE
Fenena RAFFAELLA LUPINACCI
Gran Sacerdote ANTONIO BARBAGALLO
Abdallo GIUSEPPE DISTEFANO
Anna SHARON ZHAI
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Direttore Marcello Mottadelli
Maestro del coro Antonio Greco
Regia Andrea Cigni
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Simona Morresi
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento
Cremona, 16 novembre 2014

Un Teatro Ponchielli esaurito in ogni ordine di posto ha tenuto a battesimo la nuova produzione As.Li.Co. del Nabucco di Giuseppe Verdi, titolo nazional-popolare fra i più rappresentativi del grande repertorio.
Andrea Cigni giunge così a questo allestimento, dopo aver affilato le armi del mestiere attraverso la messinscena di spettacoli che, di stagione in stagione, si sono costantemente distinti per l’ammirevole coesione scenico-visiva che ha caratterizzato in particolar modo i lavori più recenti del regista livornese presso i teatri del Circuito Lirico Lombardo. Dopo l’elegante e “prezioso” Ernani del 2012, Cigni ritorna a Verdi con un Nabucco che appare maestoso nell’impianto, seducente nei costumi, stupefacente nel disegno luci ed intenso dal punto di vista registico. Le scenografie, imponenti ma essenziali, di Emanuele Sinisi àlterano di volta in volta le dimensioni del palco in ragione del momento narrativo tramite i movimenti dei due grandi tronconi laterali e dell’ampio fondale; i tre elementi si aprono moltiplicando lo spazio durante le scene corali per poi stringersi attorno ai protagonisti durante le scene di confronto a due. L’effetto di sabbiatura che permea tutta la struttura ha un appeal quasi cinematografico che rimanda ad un’ambientazione da blockbuster hollywoodiano d’impronta storico-mitologica. Molto efficace risulta, ad esempio, la scelta di un trono estremamente squadrato, quasi un monolite, i cui riverberi blu-azzurri richiamano i lapislazzuli che adornavano la maestosa Porta di Ishtar, come pure la precisa connotazione all’origine del design del cavallo/idolo che conduce il re babilonese: Troy di Wolfgang Petersen, Alexander di Oliver Stone, ma anche Stargate di Roland Emmerich devono aver colpito in qualche misura la fantasia del team creativo. I costumi ad opera di Simona Morresi si dividono tra i drappeggi neutri e spartani che ricoprono il popolo ebreo e le stoffe lucenti ed elaborate di cui si vestono Nabucco e la sua gente; gli abiti di questi ultimi, pur depurati da certa eccessiva chincaglieria di zeffirelliana memoria, sono ricchi di dettagli interessanti e glamour (fra tutti, la lunga cappa di piume nere sfoggiata da Abigaille). Le luci firmate da Fiammetta Baldiserri costituiscono ben più di un valore aggiunto: il loro filtrare sulla scena, mescolandosi alle nebulose emissioni della macchina del fumo, assume prospettive sempre mutevoli all’interno della vicenda e sigla diffuse immagini da ricordare, come l’atmosfera calda e crepuscolare che fa da sfondo a “Dio di Giuda”. Quanto al regista, appare subito chiaro il lavoro fatto sui personaggi che, lungi dall’essere uno schieramento di belle statuine, interagiscono l’uno con l’altro mediante una fisicità dirompente: i protagonisti si prendono, si urtano, si spingono con un linguaggio del corpo che dà libero sfogo ai loro impulsi ferini. Come di consueto, Cigni riserva un’attenzione scrupolosa al posizionamento del coro nello spazio scenico che si concretizza in simmetrie di meticolosa cura. Non mancano poi quegli espedienti cui il regista ricorre per stupire gli spettatori: il lampo che esplode al “Non son più re, son Dio!” e la sorprendente conclusione della prima parte, quando durante il saccheggio e la distruzione del tempio, cascate d’acqua scròsciano dall’alto del palco, mentre dal proscenio si alzano minacciose lingue di fuoco. Uno spettacolo ottimamente realizzato, personale senza essere autoreferenziale, al servizio della storia e rispettoso delle esigenze musicali. Dalla buca, Marcello Mottadelli dirige con mano salda i sempre lodevoli Pomeriggi Musicali, distinguendosi per l’entusiasmo quasi patriottico del gesto e per la simpatica comunicativa nei confronti del pubblico presente in sala; tuttavia la sua concertazione, per quanto precisa, trarrebbe forse maggior profitto da un alleggerimento dei piani sonori (anche tenendo conto delle dimensioni del teatro), nonché da una più approfondita ricerca del colorito orchestrale.
Paolo Gavanelli è un Nabucco che si ascolta a fatica, a causa di quell’emissione poco ortodossa che da sempre caratterizza il canto del baritono padovano. Il suo personaggio si esprime per la maggior parte del tempo attraverso un tonante declamato di pesante inappropriatezza stilistica, alternando nelle pagine di distesa cantabilità una linea canora infarcita di suoni ora fissi ora tremuli di gusto francamente discutibile. La presenza scenica, maturata nei molti anni di esperienza nel settore, sebbene sufficiente (ancorché contaminata da vistosi atteggiamenti rigolettiani che il cantante si porta addosso probabilmente per deformazione professionale) non può comunque sopperire alle magagne vocali che sono tante e tali da impedire all’artista la realizzazione di un protagonista credibile.
Tiziana Caruso, già non completamente a proprio agio nei panni di Tosca solo qualche tempo fa in quel di Bergamo, tenta in ogni modo di destreggiarsi nella scrittura impervia di Abigaille, cercando, ahimè invano, di riempire la considerevole estensione di un ruolo concepito per soprano drammatico d’agilità. La voce della Caruso, naturalmente portata ad un repertorio più lirico, mostra continue forzature nell’emissione in basso come in alto, nonché tutta una serie di intemperanze tecniche, ma anche musicali (prese di fiato aggiuntive, mancanza di legato nel cantabile, agilità fuori fuoco nella cabaletta…) che vanno ad affossare inevitabilmente una performance invece convincente dal punto di vista scenico; la sua Abigaille è difatti altera e fascinosa, ma anche cattivissima, tratto quest’ultimo particolarmente ravvisabile nella protervia con cui assale, vessa e tortura il povero Nabucco durante il duetto.
Lo Zaccaria di Enrico Giuseppe Iori, nonostante una vocalità di basso ruvida, a tratti prosciugata, non teme di lanciarsi nella scrittura assai estesa del personaggio, sortendo un esito complessivamente discreto; il suo miglior momento è senza dubbio l’aria “Tu sul labbro de’ veggenti” cantata alla presenza del giovane Levìta, dove il cantante può giovarsi di un’emissione più calibrata.
Il tenore Gabriele Mangione, pur dotato di un bel colore vocale, non possiede la necessaria caratura per rendere appieno l’ampio fraseggio di Ismaele che nei fatti risolve ricorrendo sovente a suoni sforzati e periclitanti.
Anche se confinata in una parte che non concede grosse soddisfazioni, la giovane Raffaella Lupinacci si ritaglia uno spazio di tutto rispetto, grazie ad una vocalità di mezzosoprano morbida e ad un’emissione tutta sul fiato che rifugge la spinta (deo gratias) e si libra nell’aria sonora e perfettamente intonata.
Buone le parti di fianco ed un plauso particolare ad Antonio Greco per l’ottima preparazione del coro, il quale, ça va sans dire, bissa a furor di popolo il “Va, pensiero”. Foto di Eleni Albarosa e Alessia Santambrogio

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