Gwyneth Jones: Scenes from Verdi

Giuseppe Verdi: “Ritorna vincitor” ; “Qui Radames verrà!…O Patria mia” (Aida); “Tu che le vanità” (Don Carlo); “Nel dì della vittoria..Vieni, t’affretta” (Macbeth); “Era più calmo?…Piangea cantando…Ave Maria” (Otello). Orchestra della Royal Opera House, Covent Garden, Edward Downes (direttore). Registrazione: Londra 1968
Bonus tracks da Operatic recital
Giuseppe Verdi: “D’amor sull’ali rosee” (Il Trovatore); “Pace, pace, mio Dio” (La forza del destino); Ludwig van Beethoven:”Ah perfido” op.65. Orchestra della Staatsoper di Vienna. Argeo Quadri (direttore). Registrazione: Vienna, 1966
T.Time: 79.45 1CD Decca 480 8161
La gallese Gwyneth Jones non è stata solo una delle maggiori cantanti straussiane dello scorso secolo e una delle più interessanti Turandot della sua generazione, ma anche un’interprete significativa del repertorio verdiano. E proprio a Verdi è dedicato questo nuovo CD della Decca che riunisce due registrazioni in cui la cantante è accompagnata dall’orchestra della Royal Opera House diretta da Edward Downes (1968) e dai Wiener Philarmoniker diretti da Argeo Quadri (1966) che documentano le caratteristiche vocali della Jones, in una fase ancora iniziale della sua carriera, prima dei grandi successi wagneriani e straussiani.
Posto in apertura del programma, “Ritorna vincitor” di “Aida” definisce bene le caratteristiche vocali della Jones tanto in positivo, quanto in negativo. Fra le prime vi sono la solidità e la robustezza della voce che non vanno però a discarico di una femminile luminosità e l’innegabile sensibilità di interprete; sull’altro versante un senso di innaturalezza nella gestione della prosodia italiana e una tendenza ad eccessiva fissità degli acuti. L’Aida della Jones è lontana dalla tradizione italiana, meno diretta e passionale di quanto il gusto italiano prediliga per il ruolo, quasi metallica in certi bagliori timbrici, ma proprio per questa originalità meritevole di un ascolto, mentre sul piano strettamente vocali si fanno apprezzare le mezze voci ancor più evidenziate dalla robustezza del timbro. Le stesse caratteristiche si ritrovano in “O patria mia” con la maggior difficoltà rappresentata dal Do di “Cieli azzurri”.
Pur affrontata regolarmente in teatro negli stessi anni, l’Elisabetta del “Don Carlo” restava un ruolo mai completamente posseduto e se gli spunti interpretativi sono decisamente apprezzabile l’eccessiva fissità dei suoni acuti tende togliere piacevolezza all’ascolto. Sorprende invece in positivo “Nel dì della vittoria”: pur se ovviamente evidenza in modo esponenziale i limiti della dizione italiana della Jones, la prestazione nell’aria è decisamente da sottolineare; inoltre la tessitura non la costringe a forzare eccessivamente in acuto cosìcché emerge una voce autorevole e drammatica, ma giustamente non priva di femminilità, le cui colorature sono pulite e l’interprete coglie pienamente la natura del personaggio.
L’insieme dei brani provenienti dalla registrazione del 1968 con Downes si chiude con la grande scena di Desdemona ottimamente affrontata dalla Jones. La cantante riesce pienamente a piegare il proprio mezzo vocale alla natura lirica del personaggio che non risulta per nulla matronale o eccessivamente maturo, ma in cui sempre si ritrova la giovinezza del personaggio. L’attacco dell’”Ave Maria” è scandito in modo accettabile, molto belle mezze voci e filature – solo l’ultima risulta un po’ troppo fissa e metallica – e se qualche suono risulta non pulitissimo l’impressione generale non viene modificata.
La seconda parte del disco presenta tre brani provenienti, come detto, da una precedente registrazione (1966) in cui si ha la possibilità di apprezzare l’alto mestiere di Argeo Quadri, valente direttore – soprattutto nel repertorio operistico italiano – e troppo spesso dimenticato. Ancora Verdi è il protagonista con due estratti – da “Il trovatore” e “La forza del destino” – e per le quali si possono riportare le valutazioni fatte per i brani precedenti, non notandosi particolari differenze nell’approccio della Jones.
Posta in chiusura di programma, la grande aria da concerto “Ah perfido” op. 65 di Beethoven rappresenta l’unico momento diverso rispetto all’unità del programma principale. La Jones – futura grande Leonora del “Fidelio” – si mostra perfettamente a suo agio nell’esecuzione di questo brano tanto nei momenti di canto più disteso quando in quelli in cui alla voce è richiesta una certa agilità non trascendentali, ma comunque di un certo impegno specie per una voce di questa natura. L’approccio è quello tipico di quegli anni di un Beethoven già proiettato nel futuro romanticismo pieno, ma la direzione non manca di leggerezza e nell’insieme si riconoscono gli evidenti echi mozartiani che ancora permeano il brano.