Arena di Verona, 93° Opera Festival 2015: “Don Giovanni”

Arena di Verona – 93° Opera Festival 2015
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni CARLOS ÁLVAREZ
Don Ottavio SAIMIR PIRGU
Il Commendatore RAFAL SIWEK
Donna Elvira MARIA JOSÉ SIRI
Donna Anna IRINA LUNGU
Leporello ALEX ESPOSITO
Masetto CHRISTIAN SENN
Zerlina NATALIA ROMAN
Orchestra, Coro e Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore e Maestro al fortepiano Stefano Montanari
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Luci Paolo Mazzon
Coreografia Maria Grazia Garofoli
Verona, 4 luglio 2015

Il Don Giovanni ideato da Franco Zeffirelli è uno spettacolo dalla forte componente estetizzante, una festa per gli occhi, pensata per destare ammirazione in un pubblico in vena di divertimento. Non si tratta quindi di un approfondimento in chiave psico-sociologica dei personaggi e degli eventi narrati nel libretto dapontiano, ma soltanto di una lineare e fedele esposizione degli aspetti più immediati e superficiali della storia. I sostenitori del regietheater – assieme agli snob dell’ultima ora – storcono il naso di fronte ad un approccio registico del tutto privo di piani di lettura paralleli o di reconditi significati da scoprire prima e da interpretare poi; tuttavia, al di là di tali considerazioni, occorre osservare come lo spettacolo di Zeffirelli porti comunque brillantemente a termine l’unica missione che si prefigge: intrattenere, sic et simpliciter. L’impianto scenico d’ispirazione barocca che si trasforma da giardino a piazza del mercato, da sala da ballo a cimitero – il tutto con l’apparizione o la sparizione di elementi scenografici ben definiti – si giova all’ennesima potenza del superlativo disegno luci di Paolo Mazzon, mentre i fastosi costumi realizzati da Maurizio Millenotti costituiscono una garanzia per quello che riguarda la palette dei colori e la cura dei dettagli. Naturalmente non mancano quei tocchi che da sempre identificano il lavoro di Zeffirelli, una specie di trademark se vogliamo, come la presenza sul palco di un cavallo e di un asinello o come le capriole in aria compiute da un acrobata/saltimbanco.
Al direttore d’orchestra, nonché maestro al fortepiano, Stefano Montanari vanno tutti gli onori di una lettura della partitura mozartiana ispirata ed elegante. I tempi si rivelano particolarmente azzeccati nel loro essere continuamente sospinti in funzione del momento scenico, senza che mai venga meno la ricerca di un suono costantemente morbido e rifinito. Nonostante la dispersiva vastità del palcoscenico areniano, Montanari mantiene una lodevole coesione tra quanto accade in buca e quanto sul palco, mentre, sotto la sua bacchetta, l’Orchestra dell’Arena di Verona si produce in una prova di valore, distinguendosi più che positivamente per la precisione degli attacchi e per la generale uniformità dello strumentale. Nei recitativi, l’accompagnamento al fortepiano del maestro risulta sempre vario e personale, così come assolutamente delizioso, quasi poetico, risuona l’intervento dello strumento stesso durante la ripresa dell’aria di Don Ottavio “Il mio tesoro intanto”.
Il baritono Carlos Álvarez è un Don Giovanni nobile e composto sulla scena, di bella voce e molto ben cantato, ma relativamente privo di personalità, sia per via dell’impostazione registica, sia a causa di un’interpretazione dove si cercherebbe invano qualche guizzo da autentico genio del male.
Il Leporello di Alex Esposito, attore disinvolto, si ascolta con grande piacere per quanto concerne una vocalità di basso-baritono limpida e generosa, resa ancora più convincente da una dizione chiarissima. A tali doti nuoce però il continuo ricorrere dell’artista a tutta una serie di arrochimenti, mugugni e risatacce al fine di amplificare l’effetto comico (più che buffo) della sua performance: un espediente a mio avviso deprecabile e nemmeno giustificato dal suo essere indirizzato ad un pubblico facilmente impressionabile come quello che di norma affolla l’Arena.
Saimir Pirgu (Don Ottavio) esordisce sottotono, con un duetto e soprattutto un’aria (l’ostica “Dalla sua pace”) dove si ascoltano alcune note non a fuoco e qualche imprecisione nella tenuta della linea, anche se, nel prosieguo dell’opera, il tenore, in possesso di un piacevole timbro da lirico-leggero, si allinea ad uno standard di sicura ed evidente professionalità, come dimostra l’ottima riuscita della seconda aria, ben condotta nella gestione di fiati ed agilità.
Christian Senn è un Masetto in apparente disagio: la tessitura piuttosto grave che caratterizza il ruolo poco si addice alla vocalità di baritono brillante verso cui tende lo strumento di cui il cantante è dotato; buone invece le intenzioni sceniche.
Il Commendatore di Rafal Siwek fa valere le proprie ragioni in virtù di una voce di basso ampia e robusta, particolarmente versata nel registro acuto, come dimostra la scena della discesa agli inferi, sostenuta con la dovuta grandeur.
Vestire i panni di Aida e quelli di Donna Elvira a distanza ravvicinata è impresa sconsigliabile, essendo i connotati sopranili richiesti dai due ruoli assai diversi. E difatti la voce di Maria José Siri (recensita in “Aida” da GBOpera) appare in questo contesto in una forma non ottimale: il timbro aspro e l’emissione sconnessa – così come si evince soprattutto dall’aria di sortita e dalla spericolata “Ah fuggi il traditor” – vanno ad inficiare l’esito complessivo di una prova dove, alla resa dei conti, solo i recitativi, sapidi e spigliati, riescono a cogliere pienamente nel segno. Anche la recitazione si attesta su di un buon livello e, malgrado le distanze areniane non permettano di scrutare nel dettaglio la mimica facciale, il soprano fa comunque intuire un’espressività efficace.
Inadeguata, per la tendenza a strafare grossolanamente nel canto e per i troppi intoppi sul piano prettamente musicale, la Zerlina di Natalia Roman.
Resta da dire del soprano Irina Lungu e della sua splendida Donna Anna. Algida e distaccata nei modi, la cantante adempie alla difficile scrittura del suo personaggio con un armamentario tecnico di qualità; la voce è morbida, il timbro peculiare, il colore omogeneo, l’emissione compatta, lo stile appropriato. La Lungu cesella il denso recitativo che precede “Or sai chi l’onore” con la giusta partecipazione emotiva per buttarsi poi a capofitto in un’aria che non conosce smagliature di sorta: la resa vocale della frase “se l’ira in te langue d’un giusto furor”, ad esempio, è assolutamente incantevole, mentre i ripetuti (e sfiancanti) LA acuti che si susseguono durante il brano vengono affrontati con invidiabile sicurezza. Anche la temibile “Non mi dir, bell’idol mio”, a conclusione dell’opera, approda ad un esito più che soddisfacente, a dispetto del tempo quasi sospeso e cullante sostenuto dall’orchestra di un compiaciuto, ancorché sadico, Montanari. Un’ottima prova, in definitiva, quella della Lungu la quale, a giudicare dai risultati, parrebbe aver trovato in Mozart il compositore d’elezione. Foto Ennevi per Fondazione Arena

 

One Comment

  1. Mac

    Eccellente recensione per precisione e argomentazione: vorrei leggerne sempre di così chiare e approfondite. Complimenti.

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