Teatro Donizetti – Stagione Opera e Balletto 2015
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti
Libretto (da Angelo Anelli) di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale PAOLO BORDOGNA
Dottor Malatesta PABLO RUIZ
Ernesto PIETRO ADAINI
Norina MARIA MUDRYAK
Un notaro CLAUDIO GRASSO
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro OperaLombardia
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Diego Maccagnola
Regia Andrea Cigni
Scene e costumi Lorenzo Cutùli
Light designer Fiammetta Baldiserri
Coproduzione Teatri di OperaLombardia e Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi
Allestimento di Opéra-Théâtre de Clermont-Ferrand, Opéra de Reims, Opéra-Théâtre de Limoges, Opéra de Rouen Haute-Normandie, Opéra Théâtre Saint-Étienne, Opéra de Massy, Opéra Grand Avignon, Opéra de Vichy
Bergamo, 15 ottobre 2015
Dopo la tournée che ha visto debuttare con successo questo allestimento in diversi teatri francesi, il Don Pasquale con la regia di Andrea Cigni inaugura la nuova stagione del Teatro Donizetti di Bergamo.
Il regista si serve del titolo, condensando molti aspetti della propria formazione artistica e culturale, per realizzare uno spettacolo esagerato, pieno di riferimenti al musical, al cinema e alla televisione, che passa perfino dai fumetti e dai cartoni animati, ricchissimo di spunti, rimandi e trovate sceniche. Il protagonista appare e si pone fin da subito come l’Ebenezer Scrooge di dickensiana memoria, un vecchiaccio scarmigliato e in vestaglia, ossessionato dai propri averi, gelosamente custoditi all’interno di un gigantesco caveau, che trascorre le sue giornate in contemplazione di un’urna di cristallo contenente la prima moneta d’oro guadagnata (evidente citazione della famigerata Numero Uno di Paperon de’ Paperoni). Vessato dalla presenza del giovane nipote Ernesto, questo Don Pasquale si avvale dei consigli di un Dottor Malatesta che pare un distillato del camp più roboante: caschetto biondo platino, completo blu elettrico con tanto di cappotto, bombetta, guanti e ventaglio abbinati (bellissime le scene, ma soprattutto i costumi firmati da Lorenzo Cutùli). C’è poi Norina, che prima entra in scena calata dall’alto su di una grande altalena adornata di fiori (come non ricordare Joan Sutherland che nel 1967 si dondolava tutta fiocchi e crinoline sulle note di “Io non sono più l’Annetta” in una puntata del Bell Telephone Hour, seguitissimo tv-show d’Oltreoceano di quell’epoca) mentre sfogliando le pagine di un numero di Vogue che porta in copertina il faccione di Berlusconi, ironizza sul fantomatico Cavalier Riccardo (o Silvio?), il quale “tutto d’amor conquiso, giurò che ad altra mai non volgeria il pensier”; poi, a metamorfosi compiuta, si ripresenta perfettamente agghindata come Marilyn Monroe ne “Gli uomini preferiscono le bionde”. E via così attraverso una lunga serie di siparietti (con l’indispensabile apporto di mimi/attori all’altezza dei compiti richiesti), effetti sonori da cartoons, sorprese che coinvolgono gli spettatori (il coro che scende in platea e che inonda i presenti di banconote da mille lire che riportano il volto di Donizetti) e molto altro. Il pubblico gradisce e festeggia con un entusiasmo del tutto spontaneo. Personalmente, trovo che una tale concezione registica avrebbe forse figurato meglio in una farsa rossiniana, rimanendo invece estranea all’universo donizettiano in genere e, nella fattispecie, alla vena malinconica che pervade libretto e partitura. Sul versante musicale, il maestro Christopher Franklin incomincia male con una sinfonia timbricamente sbiadita e caciarona per attestarsi nel prosieguo sulla più gretta routine: tempi invariabilmente spediti, minima ricerca del colorito orchestrale, scarsa coesione tra buca e palcoscenico. A mio avviso, una direzione da dimenticare. Su Paolo Bordogna pendeva la spada di Damocle della sua precedente apparizione qui al Teatro Donizetti sempre nei panni dell’anziano protagonista: nel 2010 difatti, Bordogna aveva realizzato un piccolo capolavoro personale vestendo i panni di un Don Pasquale di grande impatto visivo, nonché vocalmente ineccepibile. Attualmente, devo dire di aver notato un lieve impoverimento delle qualità vocali, in concomitanza con un’emissione meno fluida, dove fanno spesso capolino suoni fissi, disomogeneità timbriche e, cosa davvero insolita per lo standard cui il baritono milanese ci ha abituati, alcuni scantonamenti nel parlato, evidenti soprattutto durante il primo atto. Ciononostante, ho ritrovato il consueto e comprovato talento scenico, sostanzialmente intatto nell’agio totale che ne caratterizza l’interpretazione, così come quel dono, assai prezioso per un artista, che consiste nella capacità di creare un legame, quasi un filo diretto, con il pubblico, ovvero una dote di prorompente comunicativa che vale al cantante calorosi e prolungati applausi al momento dell’uscita finale.
Il Malatesta di Pablo Ruiz è sufficientemente spigliato sulla scena e sembra non patire particolare difficoltà nel cimentarsi in tutta quella serie di mossettine, ammiccamenti ed urletti smaccatamente caricaturali che il regista ha pensato per questo personaggio. Vocalmente, Ruiz esibisce un timbro tutto sommato piacevole, ancorché sporcato qua e là da qualche catarro di troppo, mentre l’emissione si mantiene perlopiù corretta anche se risulta alla base piuttosto grossolana. Il tenore Pietro Adaìni possiede uno strumento notevole – soprattutto per volume, considerata la giovanissima età – ma al cantante manca quasi totalmente un’idea anche solo vaga del legato, tanto essenziale in una scrittura come quella di Ernesto, per tacere dei molti cali d’intonazione che si sono avvertiti durante la serenata ed il seguente duetto con Norina. Di contro, il registro acuto del tenore si fa notare per la discreta sicurezza e per l’inusuale graffio che lo caratterizza. Non buona la performance di Maria Mudryak, che è una Norina esagitata, soubrette nell’accezione più negativa del termine, e, considerazione del tutto personale, dotata di una voce di soprano assai sgradevole. Inoltre, la continua tendenza alla spinta nel registro alto va ad acuire tale difetto, rendendo assai flebile il confine che separa gli acuti della giovane cantante da una manciata di strilli. Spiritosissimo il Notaro di Claudio Grasso ed efficace la prova del Coro di OperaLombardia diretto da Diego Maccagnola. Foto Gianfranco Rota