“Le nozze di Figaro” al Teatro Fraschini di Pavia

Teatro Fraschini – Stagione Lirica 2015/2016
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti di Lorenzo Da Ponte dalla commedia La folle journée ou le mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il conte d’Almaviva VINCENZO NIZZARDO
La contessa Rosina FEDERICA LOMBARDI
Figaro ANDREA PORTA
Susanna LUCREZIA DREI
Cherubino CECILIA BERNINI
Bartolo FRANCESCO MILANESE
Marcellina MARIGONA QERKEZI
Don Basilio UGO TARQUINI
Antonio CARLO CHECCHI
Don Curzio MATTEO MACCHIONI
Barbarina GIULIA BOLCATO
Due contadine ANNA PIROLI, ELENA CACCAMO
Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Direttore Stefano Montanari
Maestro del Coro Dario Grandini
Regia di Mario Martone ripresa da Raffaele Di Florio
Scene Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Anna Redi
Coproduzione Teatri di OperaLombardia
Allestimento del Teatro San Carlo di Napoli
Pavia, 31 ottobre 2015

Le nozze di Figaro di Mozart, nell’allestimento ideato da Mario Martone la cui regia viene qui ripresa da Raffaele Di Florio, approda sulle tavole del palcoscenico del Teatro Fraschini di Pavia. Riguardo alle considerazioni sulla parte scenica, rimando i gentili lettori alla brillante esposizione di Camilla Simoncini relativa al debutto lombardo di questa produzione avvenuto al Teatro Sociale di Como lo scorso 24 settembre, essendo le mie impressioni sullo spettacolo sostanzialmente sovrapponibili a quelle espresse dalla collega. Stefano Montanari, direttore e maestro al cembalo, è il deus ex machina di un costrutto musicale che, nella sua visione d’insieme, si rivela particolarmente interessante. Le dinamiche sono estremamente mutevoli e personali, nel loro essere soggette ora a suggestivi rallentandi, ora a guizzi di mercuriale fluidità. Il suono che il maestro ottiene dagli ottimi Pomeriggi Musicali è leggero, onde anche agevolare la giovane compagnia di canto, ma sempre ben presente e calibrato. Stupefacenti sono poi gli abbellimenti che impreziosiscono le arie dei protagonisti dell’opera: gocce sonore che vanno ad imperlare la scrittura del genio austriaco con perigliosa audacia, ma soprattutto con gusto e stile impagabili; la vera e propria fioritura vocale che conclude “Che soave zeffiretto” così come l’effetto 3D che Montanari applica al pizzicato degli archi durante “Deh vieni non tardar” sono la dimostrazione di una fantasia musicale pregiata ed assolutamente fuori dal comune.
Sugli scudi, la performance vocale della Contessa di Federica Lombardi e della Susanna di Lucrezia Drei. La prima possiede un timbro pastoso e smaltato, unitamente ad un piacevole brillìo che si irradia dal registro acuto; il “Porgi amor” si svolge malinconico e dolente, fino ad una salita al “o mi lascia almen morir” che ricorda dappresso quella della giovane Kiri Te Kanawa nell’edizione Decca diretta da Solti (e non è complimento da poco). Forse appena meno sciolta nella seconda aria, dove alcuni suoni risultano un poco trattenuti, la Lombardi dipana comunque tutta la scrittura del personaggio con garbo e sicurezza. L’unico appunto che mi sento di muovere a questa giovane e promettente cantante – nonché donna affascinante e vagamente altera – è relativo all’immobilità scenica che ne ha caratterizzato l’intera interpretazione, aspetto sul quale, nel tempo e coi giusti modi, si potrà indubbiamente intervenire. Lucrezia Drei è una Susanna che va ad inserirsi nel solco della tradizione dei soprani leggeri, più spiritosa che sensuale, ma molto ben cantata. La Drei esibisce una voce limpida e così ben proiettata che potrebbe far tintinnare il cristallo, mentre l’emissione si mantiene ovunque facile e naturalissima. La sola pecca della sua interpretazione va ricercata nei recitativi troppo frettolosi e quindi poco comprensibili, laddove i duetti ed entrambe le arie – nella fattispecie quella al quarto atto – sortiscono esiti deliziosi, al pari dell’incantevole figura capace davvero di illuminare il palcoscenico. Il Cherubino di Cecilia Bernini è splendido per disinvoltura e per aderenza fisica al personaggio. Il mezzosoprano possiede una voce chiara, di timbro assai gradevole e nonostante una certa esilità di fondo sa cantare in modo convincente anche nelle tessiture più gravi, come si nota dalla bella discesa alla frase “gelo e poi sento l’alma avvampar” nella seconda aria. Marigona Qerkezi è la miglior Marcellina che mi sia capitato d’ascoltare dal vivo: la riapertura del taglio che solitamente si abbatte sull’aria “Il capro e la capretta” si rivela qui scelta felicissima, considerato quanto efficace sia la resa vocale che la Qerkezi ottiene da un brano tutt’altro che di facile esecuzione. Molto buona anche la Barbarina di Giulia Bolcato, attenta nei recitativi e partecipe nella sua breve arietta.
Il versante maschile si attesta su di un livello leggermente inferiore, ma comunque molto buono. Su tutti, il Figaro di Andrea Porta: vocalmente sostanzioso (anche se con la spiacevole tendenza a gonfiare grossolanamente le diffuse note acute della parte) e scenicamente vulcanico (pur con un’impostazione attoriale da commedia dell’arte forse un po’ troppo marcata). Vincenzo Nizzardo è un Conte di voce chiarissima, quasi tenorile, che incomincia in sordina, ma che si sviluppa più che positivamente. L’aria “Vedrò mentr’io sospiro” non è indenne da qualche difetto, specificatamente nelle agilità della sua sezione conclusiva, ma nel complesso si staglia con una certa autorevolezza. L’attore, sebbene non del tutto sciolto sulla scena, risulta abbastanza convincente. Francesco Milanese (Bartolo) non esibisce una personalità debordante ed appare ancora acerbo dal punto di vista vocale; soprattutto, l’interprete non riesce a rispondere con altrettanta verve alla frizzante prova della Marcellina che lo accompagna. Ugo Tarquini, che si alterna nei panni di Basilio e di Don Curzio con l’altro tenore della compagnia Matteo Macchioni, è un Basilio di personalità debole, che peraltro non riesce a giovarsi appieno dell’inserimento dell’aria “In quegl’anni in cui val poco”. Più interessante, per quel poco che si possa evincere dal piccolo ruolo, Matteo Macchioni nei panni di Don Curzio, particolarmente svettante nel concertato finale. Simpatico e sul pezzo, l’Antonio di Carlo Checchi e molto ben preparato e a fuoco il Coro OperaLombardia diretto da Dario Grandini.

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