Genova, Teatro Carlo Felice, stagione lirica 2015 / 2016
“TOSCA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca AMARILLI NIZZA
Mario Cavaradossi FRANCESCO MELI
Barone Scarpia ANGELO VECCIA
Cesare Angelotti GIOVANNI BATTISTA PARODI
Sagrestano MATTEO PEIRONE
Spoletta ENRICO SALSI
Sciarrone RAFFAELE PISANI
Un carceriere FILIPPO BALESTRA
Un pastorello THOMAS BIANCHI
Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro Carlo Felice
Direttore Dmitri Jurowski
Maestro del Coro Pablo Assante
Maestro del Coro di Voci Bianche Gino Tanasini
Regia, scene e luci Davide Livermore
Costumi Gianluca Falaschi
Allestimento del Teatro Carlo Felice
Genova, 6 maggio 2016
Quella firmata da Davide Livermore è stata una Tosca molto apprezzata dal pubblico genovese. Una convincente versione dell’opera pucciniana andata in scena nel dicembre del 2014 con un cast chiaramente diverso, e già allora fu accolta positivamente. Un successo in qualche modo annunciato.
Il tutto si snoda su una base romboidale inclinata che ruotando dà il senso del cambio dei locali, degli spostamenti e delle varie uscite. I movimenti del piano funzionano come l’occhio del regista cinematografico che con la sua camera mette a fuoco alcune situazioni e lascia sullo sfondo altre. Anche la stessa cornice dell’imponente struttura, di due tipi – una più liscia, l’altra più complessa – favorisce l’idea della diversità degli ambienti. Un leitmotiv dell’allestimento è la luce delle candele accese. Ogni atto le prevede. Sulla base, vicino al proscenio nel primo atto a identificare le offerte dei credenti; il candelabro sul tavolo bandito di Scarpia; nelle prigioni dove Caravadossi aspetta l’esecuzione e dove incontra Tosca per l’estremo saluto. L’angolo in alto è occupato dai protagonisti che sono legati al potere o che per quello si sono macchiati di qualche reato. In primis, Scarpia che nel suo ingresso pare il capitano di una nave, rappresentata metonimicamente dalla prua. Alla fine del secondo atto, dopo l’uccisione di Scarpia, è Tosca a collocarsi in vetta proprio come tutti i potenti: è col capo chino, contrita per il crimine, se pur necessario, di cui si è macchiata in contrapposizione alla fierezza diabolica di Scarpia che così concludeva il primo atto. Nel III atto è l’angelo che poi si anima a ubicarsi in vetta: è il messo di Dio e di riflesso la volontà di Dio stesso che si manifesta. La stanza di Scarpia del II atto è costruita su una base che livella l’inclinazione, a indicare, a nostro avviso, un ambiente che si estrae dalla normale logica, in quanto intriso di passioni, strategie e perversione. Dal secondo atto, si utilizza anche la base della struttura, per punire Cavaradossi. La base nel terzo atto diventerà la prigione e in qualche modo la location della fucilazione del pittore
Un momento registicamente intenso è rappresentato dall’ingresso del Te deum: profondo, ricco e potente tanto nel suo incedere quanto nella sua resa vocale: il Coro del Carlo Felice ha potuto esprimersi con pienezza e rotondità. Ben realizzata e interpretata la festosa scena col Sacrestano e le voci bianche. Belle le diagonali sceniche, molto ben sfruttata l’inclinazione che immediatamente rende l’idea di diversità di ruoli, delle dinamiche di potere, dell’asimmetria tra attori. Curati i personaggi, ben tinteggiate le loro specificità. Molto ben gestite le relazioni tra gli attori sia negli insiemi che nei duetti. Due sole leggerezze da rilevare. Floria rimane per del tempo relativamente considerevole di spalle al pubblico mentre, rivolgendosi a Mario, afferma: “Dilla ancora la parola che consola… dilla ancora!”; e il finale in cui Tosca viva rimane in scena mentre la sua controfigura muore stramazzata al suolo, in un bagno di sangue. Abbiamo trovato la compresenza delle due poco incisiva. Al di là di queste due inezie, sicuramente ben articolata la regia di Livermore che convince e colpisce. Le luci, sempre curate dal regista, danno profondità alla scena aumentandone la verve drammatica. Semplici ma efficaci gli sfondi quasi pittorici – il Cristo in diverse rappresentazioni, le ali di colomba, le ali di angelo – o a tinta unita cangiante che partecipano alle scene. Il Cristo in croce appare in tutti i momenti di sacrificio, ad esempio. Belli anche i costumi che aggiungono colore e spessore all’allestimento. Una buona prova dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice diretta con cura e precisione da Dmitri Jurowski. I volumi sono ben calibrati e creano il basamento ideale per l’espressione canora. La Tosca di Amarilli Nizza sotto il profilo interpretativo, l’aspetto prevalente è quello più marcatamente drammatico, convince meno nei momenti più marcatamente sentimentali. Il fraseggio non è curatissimo ma la tecnica e l’esperienza le permettono di gestire bene il personaggio. Buona anche l’intesa teatrale con Francesco Meli cantante dalle risapute qualità vocali e timbriche. Anche qui ha offerto un Cavaradossi dalla voce dolce, brillante unita a un fraseggio spontaneo e vibrante. Successo personale con tanto di “bis” della celebre aria del terzo atto. Angelo Veccia è uno Scarpia dalla resa alterna, tendenzialmente un po’ impersonale, ma non privo di buoni sprazzi. In ogni caso canta con sensibilità e sicurezza vocale. Matteo Peirone purtroppo ha ceduto a facili effetti mcchiettistici. Buone le prove di Giovanni Battista Parodi (Angelotti) e di Enrico Salsi (Spoletta). Foto Marcello Orselli
