Firenze, Belcanto Festival: Michael Spyres,”Omaggio a Andrea Nozzari”

Opera di Firenze – Stagione 2016/17
“Belcanto Festival Concerto”
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Tenore Michael Spyres
Direttore David Parry
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Gioacchino Rossini: Otello, “Ah sì, per voi già sento”; Zelmira, “Mentre quale fiera ingorda… Ah dopo tanti palpiti”; Ermione, Sinfonia.
Giovanni Pacini: Alessandro nell’Indie, “Oggetto sì adorabile… Perché tra tanti affetti”.
Gioacchino Rossini: Ermione “Balena in man del figlio”; La donna del lago, “Eccomi a voi, miei prodi”; Elisabetta regina d’Inghilterra “Della cieca fortuna”.
Giovanni Simone Mayr: Medea in Corinto, Sinfonia, “Amor per te penai”.
Gioacchino Rossini: Ricciardo e Zoraide, “Minacci pur: disprezzo”.
Firenze, 11 ottobre 2016
Prosegue il Belcanto Festival, inserito nella corrente stagione invernale del Teatro dell’Opera di Firenze, con il concerto di Michael Spyres dedicato ai ruoli che furono scritti per la voce del mitico tenore bergamasco Andrea Nozzari (1776-1832). Il giovane Spyres si esibisce il giorno successivo al veterano Chris Merritt, del quale rappresenta, in un certo repertorio, una sorta di filiazione artistica e proprio Nozzari, la sua vocalità e i suoi ruoli sono il fil rouge che li unisce e che conferisce ad entrambi un crisma di eccezionalità, la fama di artisti dalle caratteristiche rare e preziose, pur nelle ovvie differenze di personalità e di timbro. Andrea Nozzari, all’apice della carriera, tra gli anni ’10 e ’20 dell’Ottocento fu dedicatario di una ventina di ruoli, dei quali si ricordano in particolare quelli cuciti sulla sua taglia ‘fuori misura’ da Rossini per le scene napoletane, nei quali ebbero modo di brillare le sue facoltà fuori dall’ordinario.
Proprio dalla somma delle sue caratteristiche, che sinteticamente consistevano nel racchiudere in una voce sola un bass-bariton e un tenore spericolato nel registro acuto e sopracuto, capace inoltre di cantare d’agilità, in particolare di sbalzo, e di fraseggiare con grande virilità e incisività nei cantabili di tessitura centrale, nacque una nuova tipologia vocale e drammaturgica: il secondo tenore, precisamente il baritenore, destinato a importanti ruoli di antagonista, come Rodrigo nella Donna del lago o Antenore nella Zelmira tra i tanti, di personaggi che racchiudono in sé l’innamorato e l’uomo superbo e violento, come Otello; un tipo di vocalità nettamente diversa da quella del tenore amoroso, più agile, più chiaro e soprattutto esentato dalle paurose discese nelle regioni del pentagramma normalmente frequentate dai bassi. Di questi ruoli, la maggior parte dei quali era stata accantonata o riproposta in versioni rimaneggiate per ovvi motivi, Chris Merritt è stato il principale interprete moderno filologicamente attendibile, in tempi in cui la Rossini Renaissance riesumava o ‘restaurava’ capolavori; oggi, in tempi in cui il corpus rossiniano è rientrato in repertorio ed è stato riconsegnato più o meno integralmente, in edizione critica, al godimento del pubblico mondiale, Michael Spyres sta meritatamente guadagnando la fama di miglior interprete di quegli stessi ruoli di grande incisività drammatica e difficoltà vocale.
Spyres è tuttavia un tenore che non ha in repertorio soltanto i ruoli da baritenore rossiniano e dintorni; canta abitualmente Mozart e spazia fino alle opere del secondo Ottocento; nel corso dell’ultimo Rossini Opera Festival ha tenuto un applauditissimo concerto dedicato ad Adolphe Nourrit, altro mitico tenore ottocentesco, della generazione successiva a quella di Nozzari, dalla vocalità nettamente diversa, ovvero da tenore contraltino francese, dando con questo prova di grande versatilità e completezza.
Ma venendo a parlare del concerto fiorentino è proprio nella vocalità baritenorile più estrema e virtuosistica che dobbiamo immergerci, per riconoscere al giovane tenore americano, anche solo dando un’occhiata al programma, un coraggio e una resistenza fisica non comuni per aver interpretato in una sera otto brani, uno più pauroso dell’altro, senza pezzi ‘scaldavoce’ con i quali prendere confidenza col palco e con il pubblico e senza pezzi intermedi più ‘tranquilli’ nei quali riposarsi un po’, com’è di consuetudine nei recital vocali.
Ma Spyres, nonostante la giovane età, è un cantante che conosce ed esercita con grande sapienza l’arte di sapersi amministrare, il che non vuol dire che si risparmia, ma che è consapevole dei suoi mezzi e sa come usarli ottenendo il massimo in termini di proiezione e volume senza mai forzare, cosa che gli permette di affrontare un cimento che spaventerebbe i più, conservando fino in fondo una invidiabile freschezza.
Per fare questo scende ai gravi estremi sfruttando l’estensione naturale della sua voce verso il basso senza mai spingere, canta con morbidezza, ore rotundo, nei centri dove ha le sue note più facili e potenti, salda a questa organizzazione vocale da tenore centrale un registro acuto basato su suoni misti – sul falsettone, per usare una terminologia più esplicita ma non del tutto pacifica – ai quali sa di non poter conferire la stessa potenza del medium e quindi si limita saggiamente a renderli limpidi e chiari, sufficientemente penetranti e quindi ben udibili, benché sempre più sottili nell’appressarsi al do naturale e oltre. Personalmente non ritengo che tra le sue armi vincenti ci sia il timbro, per via di una certa sfericità del suono che toglie qualcosa alla ‘punta’ e per un vibrato che talvolta affligge la zona centrale e i primi acuti, tuttavia ho sentito diversi vicini di posto, durante il concerto, lodare proprio la bellezza della voce, il timbro magnifico; questo conferma che il giudizio sui timbri è in gran parte questione di gusti e che quando si canta molto bene si riesce a dare l’illusione che qualunque voce sia bellissima, o quasi.
Vediamo adesso all’opera il nostro tenore, analizzando qualche aspetto saliente del concerto che molti a ragione hanno definito storico, per l’interesse della riproposizione di brani certo non di frequente ascolto, per l’impegno vocale, per l’altezza dell’esito artistico cui contribuisce la direzione di David Parry, a capo di un’orchestra di livello magnifico. Dopo una cavatina di Otello in cui emerge l’ampiezza del registro centrale di Michael Spyres e la facilità della discesa ai suoni più gravi su un accompagnamento limpido e trasparente impostato su tempi non rapidissimi, nella scena con recitativo e aria dalla Zelmira veniamo subito ad una prova di difficoltà maiuscola in cui Spyres ha modo di dispiegare tutti gli aspetti più notevoli della sua arte di vocalista e di interprete: l’escursione spaziale con salti discendenti anche di due ottave, le agilità rapidissime, l’autorità dell’accento unita all’ampiezza dei registri centrale e grave, l’efficacia della proiezione anche nel piano, l’impeto spericolato nel lanciare la voce verso l’alto fino al re naturale sopracuto: è un’esecuzione di grande impatto al termine della quale il pubblico subito si infiamma e prorompe in ovazioni.
Segue la visionaria, eretica Sinfonia dell’Ermione in una lettura piena di energia e di luce, di grande pulizia e bellezza sonora, in cui si segnala la bravura del primo violino dell’Orchestra del Maggio Ladislao Horvath; David Parry ha un modo di stringere i tempi in maniera mai sguaiata, sempre con grande eleganza e di far lievitare il tessuto sonoro fino a fortissimi turgidi ma levigati attraverso infinite gradazioni dinamiche. Ottimo è il coro maschile diretto da Lorenzo Fratini.
Nella successiva scena da Alessandro nell’Indie di Pacini, Spyres ha modo di affrontare un cantabile legato, con agilità moderate, in cui esibisce un mezzoforte soffice, affettuoso; nella cabaletta, più mossa e virtuosistica, con da capo variato in acuto, ha agilità di sbalzo, ancora con salti fino a due ottave affrontate in maniera imperturbabile. Tra un brano e l’altro è sorridente, sereno, fa divertire il pubblico con piccole gag gestuali, qualche passo di danza; ha grande attitudine alla scena ed è dotato anche di notevole simpatia naturale; il suo apparente non prendere troppo sul serio la scalata himalayana che sta compiendo, conquista l’uditorio.
Nella successiva scena dall’Ermione si conferma la padronanza delle agilità, la capacità di eseguire lunghe volate con un fiato solo, l’ottima saldatura tra i suoni centrali di petto e i suoni in misto.
Rodrigo di Dhu, da La donna del lago, è un grande personaggio di Spyres, affrontato più volte, anche quest’estate al ROF, in cui l’interprete ha modo di coniugare l’impeto selvaggio, la natura violenta e superba, con la tenerezza dell’innamorato. Un acuto isolato non proprio felice non inficia una prestazione notevole anche nei piani e pianissimi. Nella successiva scena dall’Elisabetta, regina d’Inghilterra Spyres è amoroso e appassionato, esibisce una perfetta messa di voce, affronta con l’abituale baldanza salti discendenti impegnativi; bellissima è l’esecuzione orchestrale del sonno di Leicester. Da Rossini si passa a Mayr e alla sua Medea in Corinto: il personaggio di Giasone calza benissimo alle possibilità vocali ed espressive di Spyres suadente e morbido nel canto spianato, eroico nelle agilità di forza. Per chiudere si torna a Rossini con il Ricciardo e Zoraide.
Abbiamo nella scena di Agorante un compendio della vocalità baritenorile rossiniana con salite, discese e agilità di sbalzo; la tenuta è ottima ed il pubblico, entusiasta per tutta la durata del concerto, ormai esplode e festeggia con grandissimo calore direttore, orchestra, coro e naturalmente indirizza ovazioni interminabili al tenore. Spyres decide di eseguire nuovamente la cabaletta di Rodrigo da La donna del lago “Se ai miei voti amor sorride”, con esito immancabilmente trionfale. Evito di infierire nuovamente sulla pigrizia del pubblico fiorentino e dico soltanto che il Teatro era pieno per metà; chi non c’era ha perso un grande concerto.