“La Cenerentola” di Rossini a duecento anni dalla prima

Prima rappresentazione: Roma, Teatro Valle 25 gennaio 1817
“Malgrado la bravura degli interpreti e l’entusiasmo del pubblico, condizioni essenziali al piacere musicale, la Cenerentola non mi ha dato alcun piacere. Il primo giorno credetti di essere malato, ma fui costretto a riconoscere, nel corso delle successive interpretazioni che mi lasciavano sempre freddo e indifferente in mezzo ad un pubblico in delirio, che il mio malessere era un fatto del tutto personale. La musica della Cenerentola mi sembra mancare del bello ideale[1]”.
Nonostante le riserve di Stendhal, la Cenerentola non solo fu apprezzata in Francia, ma godette e gode ancora oggi di un successo tale che le ha permesso di rivaleggiare per molto tempo con il Barbiere di Siviglia. Scegliere il soggetto della Cenerentola non fu tuttavia semplice; nel 1816 era stata commissionata a Rossini una nuova opera che doveva essere eseguita nella stagione del carnevale del 1817, ma il soggetto proposto dal compositore e dal librettista Jacopo Ferretti, Ninetta alla corte, era stato respinto dalla cesura papalina perché ritenuto immorale. Il 23 dicembre del 1816 Rossini e Ferretti non avevano ancora scelto il soggetto, quando il librettista, dopo una lunga discussione durata fino a tarda notte, suggerì quello della Cenerentola, come ricordato dallo stesso Ferretti nelle sue Memorie:
“Stanco dal proporre e mezzo cascante dal sonno, sibilai in mezzo a uno sbadiglio:  ‘Cendrillon ’. Rossini che, per esser meglio concentrato, si era posto a letto, rizzatosi su come il Farinata dell’Alighieri: ‘Avresti tu core scrivermi Cendrillon ?’, mi disse: ed io a lui di rimando: ‘E tu di metterla in musica?’, ed egli: ‘Quando il programma?’, ed io ‘…a dispetto del sonno, domani mattina’, e Rossini: ‘Buona notte!’”[2]

Il soggetto, tratto da Cendrillon ou La petite pantoufle di Perrault e da due libretti d’opera Cendrillon scritto da Charles Guillaume Étienne per Nicolas Isouard (1810) e Agatina, o la virtù presunta scritto nel 1814 da Francesco Fiorini per Stefano Pavesi, fu accettato dalla censura anche perché sfrondato dell’elemento meraviglioso poco amato dal pubblico romano e l’opera, composta con la solita straordinaria rapidità, andò in scena circa un mese dopo al Teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817 durante la stagione del carnevale ottenendo uno strepitoso successo e una grande popolarità non solo in Italia.
La trama
Nel decadente castello di Don Magnifico, dove vivono Clorinda, Tisbe e Angelina, rispettivamente figlie e figliastra del castellano, giunge, mascherato da mendicante, Alidoro, precettore del principe Ramiro, con il compito di spiare le tre ragazze dal momento che il principe ha deciso di prendere moglie. Clorinda e Tisbe lo insultano mentre Angelina di nascosto gli offre del caffè. Poco dopo alcuni cavalieri annunciano l’arrivo del principe e Don Magnifico raccomanda alle due figlie di vestirsi e di comportarsi bene. Anche Don Ramiro si presenta sotto il falso aspetto del suo paggio Dandini e, vedendo Angelina, prova una forte emozione. Intanto Dandini, mascherato da principe, corteggia le tre sorellastre ma ad Angelina viene negato da Don Magnifico il permesso di andare alla festa alla quale tutti avrebbero partecipato. Alidoro decide allora di aiutarla fornendole uno splendido vestito in modo da poter intervenire al ballo con il viso velato; Don Magnifico nella misteriosa giovane velata riconosce Angelina ma non si preoccupa, sicuro che il principe sceglierà una delle sue figlie alle quali, nel frattempo, svela di aver sperperato la ricchezza della figliastra per permettere loro di vivere nel lusso. Intanto Cenerentola, infastidita dal finto servo Dandini, rivela di essere innamorata del finto paggio Ramiro al quale consegna un braccialetto dicendogli che, se vuole amarla, dovrà cercarla e riconsegnarle il dono e poi fugge; poco dopo rincasano Don Magnifico e le figlie molto adirati perché venuti a conoscenza dello scambio fatto tra Ramiro e Dandini. Durante un forte temporale la carrozza del principe si guasta davanti alla casa di Don Magnifico che, nonostante l’ira, li ospita volentieri nella speranza che il principe possa sposare una sua figlia, ma, nel momento in cui Angelina sta dando la sedia regale al principe, i due si riconoscono suscitando le ire di Don Magnifico e delle figlie che si scagliano minacciosi contro la giovane subito difesa da Dandini e da Ramiro. Alla fine Angelina e Ramiro si sposano e perdonano Don Magnifico e le figlie che, commossi, l’abbracciano affermando che nessun trono è degno di lei.

La musica

Aperta dalla celeberrima Sinfonia, che, composta un anno prima per un’altra opera, la Gazzetta, presenta la classica struttura  con un’introduzione lenta di carattere marziale (Maestoso) a cui segue un brillante Allegro in forma-sonata nel quale si insinuano toni malinconici, l’opera abbandona completamente l’elemento fiabesco; la protagonista è, infatti, un’umile fanciulla invaghita di un re leggendario conteso da altre donne, che trova un po’ di conforto cantandone la storia in una cantilena mesta in 6/8 in re minore, Una volta c’era un re (Es. 1).
Questa mestizia avvolge la figura di Cenerentola anche quando dà sfoggio di grandi fioriture vocali perché il suo volto, da cui traspare l’incanto dell’innocenza, è sempre presente nello svolgimento della vicenda; anche quando la giovane è assente e in scena vi sono le due sorellastre a cui Rossini ha tolto ogni elemento umano riducendole a semplici voci staccate sia dal caldo registro di Cenerentola sia dalla rude caricatura di Don Magnifico sia dall’ambiguità comica del cameriere Dandini. Fa eccezione soltanto Don Ramiro il cui trepido canto è simile a quello della canzone di Cenerentola. Il duetto Un soave non so che, cantato da Cenerentola e dal principe Don Ramiro, che, travestito da scudiero, si era introdotto nella casa di Don Magnifico per conoscere liberamente le figlie, è una pagina di straordinaria grazia in cui i due giovani si scoprono innamorati l’uno dell’altra. La scelta del 6/8 sembra marcare una certa continuità tra i sogni di Cenerentola e la loro possibile realizzazione con l’incontro con Don Ramiro, al quale risponde con la stessa melodia trasportata alla dominante. Tra le altre arie importanti dell’opera vanno segnalate Sì, ritrovarla io giuro, tratta dal secondo atto, nel quale Don Ramiro, dopo aver deciso di smettere i panni dello scudiero, promette di ritrovare la sua amata Cenerentola e la grande aria Nacqui all’affanno, al pianto, tratta dal Finale dell’atto secondo, nella quale Cenerentola manifesta tutta la sua gioia per la sorte toccatale. Quest’ultima aria, giudicata giustamente da Stendhal qualcosa di più di un pezzo di straordinaria bravura, è in realtà un brano in cui domina il sentimento in una scrittura certamente ornata, ma di grande espressività.

[1]Standhal, Vita di Rossini, a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini, Torino, EDT, 1992, p. 148
[2] L. Rognoni, Gioacchino Rossini, Torino, Eri, p. 273