Torino, Teatro Regio: “Macbeth” (cast alternativo)

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2016/2017
MACBETH
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei dall’omonima tragedia di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth GABRIELE VIVIANI
Lady Macbeth OKSANA DYKA
Banco MARKO MIMICA
Macduff GIUSEPPE GIPALI
La dama di Lady Macbeth ALEXANDRA ZABALA
Malcolm CULLEN GANDY
Il medico NICOLÒ CERIANI
Un domestico di Macbeth e l’araldo DESARET LIKA
Il sicario DAVIDE MOTTA FRÉ
Prima apparizione RICCARDO MATTIOTTO
Seconda apparizione ELETTRA PISTOLETTO
Terza apparizione FILIPPO CHIAPPERO
Duncano FRANCESCO CUSUMANO
Fleanzio NUNZIA LO PRESTI
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Attori della Compagnia di Emma Dante e allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo
Direttore Giulio Laguzzi
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Coreografia Manuela Lo Sicco
Luci Cristian Zucaro
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino, in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo Macerata Opera Festival
Torino, 29 giugno 2017
Sul nuovo allestimento di Macbeth proposto dal Teatro Regio, in coproduzione con Palermo e Macerata, si è già diffusamente espresso Giordano Cavagnino recensendo il cast principale. Personalmente, pur condividendo diverse perplessità rilevate dal collega, non sono portato ad esprimere un giudizio altrettanto drastico sull’effetto complessivo della componente visiva dello spettacolo. Infatti le indubbie violazioni drammaturgiche (la lettura della lettera trasformata in dialogo non previsto tra Macbeth e la moglie), le cadute di stile (l’insistenza sull’elemento sessuale-riproduttivo), i gratuiti riferimenti all’ambiente siciliano e all’iconografia cattolica (i fichi d’india, le processioni e la “deposizione” con cui viene identificata la morte di Duncano nel finale I) non hanno impedito all’opera, in fin dei conti, di giungere in porto trasmettendo il proprio potente monito sui nefasti effetti di un’incontrollata smania di potere. E non si può negare che alcune scene siano anche state positivamente risolte in sé stesse: il quadro dell’assassinio di Banco e quello che apre l’ultimo atto, dove, in assenza di scenografie, il movimento delle masse e dei pochi solisti è risultato calibrato, misterioso e affascinante; o il colpo d’occhio finale, quando la luce inquadra plasticamente la morte disperata del protagonista sovrastato dalle spade dei rivoltosi. Alla regista Emma Dante bisognerebbe forse consigliare di cimentarsi in allestimenti più scarni, nei quali far risaltare la pura regia in una scena vuota, evitando un accumulo elementi visivi che sa tanto di horror vacui.
Una forte sciatalgia ha improvvisamente colpito Gianandrea Noseda, costringendolo a rinunciare alla seconda settimana di recite dell’opera. In sua sostituzione è salito sul podio Giulio Laguzzi, che svolgeva in precedenza il ruolo di Maestro rammentatore. A detta di chi ha ascoltato entrambe le direzioni, Laguzzi ha lasciato ai solisti tempi un po’ più comodi. Sicuramente, il confronto tra due recite dirette da Laguzzi (il 28 e il 29) ha evidenziato una progressiva acquisizione di controllo nei momenti di concertazione più delicata quali i finali dei primi due atti. Resta comunque difficile, in questi casi, distinguere gli effetti della preparazione svolta dal Maestro titolare dall’apporto personale del sostituto, e nel complesso la partitura è stata curata con attenzione, come emerso in particolare nel coro «Patria oppressa», ottima prova del Coro del Regio, e momento nel quale la voce del personaggio-popolo e la sapiente orchestrazione del Verdi maturo si sono sposate con finezza e pathos. Questo coro è stato infatti proposto nella versione 1865, che è stata alla base delle scelte esecutive, facendo eccezione per il finale ultimo (dove si è recuperato l’assolo di Macbeth del 1847) e per i ballabili, che sono stati espunti. Decisioni lecite, sia chiaro, e non prive di senso, ma – personalmente convinto della maggiore efficacia della prima versione – avrei preferito, anche per ragioni filologiche, o la partitura originaria in toto, o la seconda versione completa di balletti, nei quali ballerini e coreografa avrebbero potuto applicarsi con arte, invece di inserire coreografie in momenti in cui non sono richieste. Diametralmente opposte le caratteristiche vocali dei due protagonisti. Il soprano Oksana Dyka, infatti, è una Lady dalla fortissima personalità e dal temperamento marcato; sono tanto pronunciati i tratti malvagi e la deformità interiore del personaggio – attraverso il timbro acido, l’emissione lancinante, l’intonazione imperfetta, il ricorso al parlato – che l’interpretazione metti i brividi all’ascolto, ma riesce difficile immaginare l’interprete in un ruolo diverso da questo, ove non provveda a domare lo strumento robusto e generoso con le severe redini della tecnica. Viceversa, il Macbeth del baritono Gabriele Viviani è correttamente professionale ma un po’ scialbo, gli mancano quei tratti, quelle sfumature di colore o di fraseggio che definiscano una personalità singolare. E quelle stesse sfumature, quando sono ricercate con più forza, rischiano di divenire caricaturali, come accade nel dialogo tra marito e moglie che apre il II atto. Scialbo, nella scena iniziale, è parso anche il Banco del basso Marko Mimica, per l’approccio decisamente scolastico alla partitura, che ne ha fatto un personaggio impacciato. Nella sua aria, invece, si è avuto modo di apprezzarne la voce di bella pasta, dai gravi pieni e intonati, e i colori caldi e variegati. Qualche inflessione baritonale è presente nello strumento del tenore Giuseppe Gipali (Macduff), al quale manca nitore nello squillo; si registra un buon impegno nella «paterna mano», ma negli ensemble il personaggio è risultato piuttosto soffocato. Tra le seconde parti, meritano menzione il soprano Alexandra Zabala (Dama di Lady Macbeth) e il baritono Nicolò Ceriani (Medico), che hanno coronato la scena del sonnambulismo con interventi puntuali ed espressivi. Debole, invece, il tenore , inadatto a un ruolo come quello di Malcom che non si può definire di puro comprimariato. Un grande successo, tributato da un teatro non stracolmo, è in ogni caso arriso a tutti i protagonisti della serata.