“Soirée Roland Petit”: un classico del Novecento al Teatro dell’Opera di Roma

Roma, Teatro dell’Opera di Roma, stagione di balletto del Teatro dell’Opera di Roma 2016-2017
“SOIRÉE ROLAND PETIT”
Balletti di Roland Petit ripresi da Luigi Bonino
LuciJean-Michel Désiré
“L’Arlésienne”
Musica Georges Bizet
Scene René Allio
Costumi Christine Laurent
Frederi ALESSIO REZZA
Vivette REBECCA BIANCHI
“Le Jeunehomme et la mort”
Musica Johann Sebastian Bach
Scene Georges Wakhévitch
Costumi Jean Cocteau e Christian Bérard
La Mort ELEONORA ABBAGNATO
Le Jeune homme STÉPHANE BULLION
“Carmen”
Musica Georges Bizet
Scene e costumi Antoni Clavé
Carmen NATASHA KUSCH
Don José MICHELE SATRIANO
Torero CLAUDIO COCINO
La capo bandita SUSANNA SALVI
Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Musiche su base registrata dall’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 8 settembre 2017

Riapre la stagione 2016-17 del Teatro dell’Opera di Roma con due serate da non perdere, Soirée Roland Petit, dall’8 al 14 settembre, e Giselle, dal 20 al 24 settembre. Un ritorno, dopo Caracalla, all’insegna della danza che preannuncia il posto d’eccezione di Tersicore nel nuovo cartellone del Costanzi, da inaugurarsi il prossimo 15 novembre con un altro balletto, Don Chisciotte, evento speciale nella storia del Teatro, a cui segue una programmazione ricca di omaggi alla tradizione ottocentesca nonché agli ormai classici novecenteschi Lifar, MacMillan, Forsythe, Petit…
Il primo appuntamento di questo mese è proprio consacrato al coreografo francese Roland Petit (1924-2011), creatura dell’Opéra di Parigi e geniale fondatore di diverse compagnie a partire dagli anni quaranta; uomo dalla spiccata curiosità, che lo ha portato a sperimentare la contaminazione con stili e generi di spettacolo diversi da quello accademico e con il mezzo cinematografico, Petit è decisamente fra i protagonisti del rinnovamento delballetto novecentesco.
Questa intensa serata, che si avvale della preziosa collaborazione di Luigi Bonino, oggi direttore artistico dei Balletti di Roland Petit, ha inizio con L’Arlésienne (1974), balletto in un atto su musiche di Bizet ispirato a una novella (1869), poi divenuta anche un dramma, di Alphonse Daudet. Durante una festa di paese, coppie di giovani intrecciano danze gioiose, mentre i promessi sposi Frédéri (Alessio Rezza) e Vivette (Rebecca Bianchi) vivono la crisi del loro rapporto a causa dell’Arlesiana, la donna a cui si riferisce il titolo del balletto e mai presente in scena, di cui il ragazzo è innamorato a tal punto da uccidersi. Il tema dell’impossibilità dell’amore, non solo quello di Frédéri per la ragazza di Arles, ma anche quello non corrisposto di Vivette per Frédéri, è trattato con assoluta delicatezza dal coreografo e interpretato dal corpo di ballo del teatro in modo “poetico”, qualità che lo rende certamente il balletto più riuscito della serata. Alessio Rezza riesce a conservare anche nei soli di disperazione quel tocco di eleganza e di finezza che lo contraddistingue, ed è proprio la sua consueta leggerezza a rendere “poetico” il suo tuffo nel buio oltre la finestra. Prima dell’estremo gesto Frédéri danza con Vivette sforzandosi di amarla, ma a vincere nel finale struggente è l’incapacità di accettare il passato poco dignitoso dell’Arlesiana. Cogliendo il punto saliente del dramma, Concetta Lo Iacono scrive nel programma di sala che «ciò che attrae Federico sono gli stessi difetti che depreca, quella libertà e creatività della donna che nega a se stesso. Se accogliesse in sé quelle aspirazioni libertarie si sentirebbe degradato moralmente e socialmente: non accetta il confronto diretto con l’Arlesiana e rivolge i suoi gesti di ribellione contro tutti gli ipotetici rivali e infine contro se stesso; non lotta per un nuovo assetto interiore, non cerca un’armonia tra istanze istintuali e razionali». Significativa quindi è l’assenza della donna di Arles dalla scena, non è lei ma ciò che rappresenta ad assumere un valore all’interno della drammaturgia del balletto. Il conflitto è tutto interno al personaggio di Frédérie si esprime nel suo modo di danzare e di interagire con Vivette e con gli altri. L’elemento corale, costituito di otto donne e otto uomini, è infatti determinante per lo sviluppo dell’azione. La danza felice del gruppo, precisa e omogenea negli incroci e nel tremolio delle mani, nelle composizioni costruttiviste che talvolta ricordano Les Noces di Nijinska, contrasta con il corpo scisso del protagonista e con quello “sofferente” di Vivette. Un ruolo non facile quest’ultimo – sottolineala direttrice del corpo di ballo Eleonora Abbagnato, fine conoscitrice di molti ruoli di Petit – affidato per questa sera alla prima ballerina Rebecca Bianchi, anche lei all’altezza del suo personaggio, delicata nel dolore del rifiuto e piena di grazia nei tentativi falliti di trovare un’intesa con Frédéri.
La morte è certo più spettacolare nel secondo titolo della Soirée, il celeberrimo Le Jeune homme et la mort (1946), su libretto di Jean Cocteau, balletto “esistenzialista” interpretato all’epoca da un sensuale Jean Babilée in salopette, difficile da eguagliare. Comunque buona l’interpretazione dell’étoile ospite Stéphane Bullion del giovane pittore imprigionato in una cupa soffitta, stremato dall’angoscia di vivere e dalla solitudine da cui tenta di difendersi entrando in contatto con i pochi oggetti presenti in scena. Di forte impatto drammatico è il movimento rotatorio di una sedia che Bullion compie in un gesto disperato ma per pochi attimi liberatorio. L’arrivo della femme fatale acuisce questo rapporto frenetico e viscerale con gli oggetti, ostacoli insormontabili per il giovane innamorato, che tenta invano di conquistare l’amata donna fredda e insensibile, interpretata acutamente da Eleonora Abbagnato. Il senso della fine è lì presente sin dall’apertura del sipario, e non lascia adito alla speranza. Più che sentirlo attraverso la musica di Bach (la passacaglia in do minore, orchestrata da Ottorino Respighi), che Petit scelse solo in procinto della prima del balletto, lo vediamo impresso sulle scene di Georges Wakhévitch, di una bellezza disarmante specialmente nel finale quando «la stanza sfuma», le pareti si alzano, così svelando il paesaggio notturno visto dai tetti parigini con tanto di Tour Eiffel fregiata dell’insegna luminosa della Citroën. Il giovane uomo si è impiccato davanti ai nostri occhi e ora si appresta a essere accompagnato da una donna in maschera e coturni che lo porta via verso le tenebre. Scoperto il volto, la donna non è altri che la sua amata, ora vestita degli abiti della Morte.
Si chiude con Carmen (1949), balletto altrettanto famoso, ispirato al libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy per l’opera di Bizet del 1875, da cui il coreografo decide di selezionare alcuni brani orchestrali; purtroppo il meno riuscito della serata. Difficile non pensare alla creatrice del ruolo principale, la seduttiva Zizi Jeanmaire, quando vediamo danzare la femme fatale qui interpretata dall’ospite ucraina Natasha Kusch, indubbiamente brava ma un po’ algida; il solista Michele Satriano, invece, pur non sempre impeccabile nel ruolo principale di Don José, è una macchina di passionalità. La connessione fra i due protagonisti non trova però una piena realizzazione se non nella quinta scena del duello fra i due amanti che, come si sa, si conclude con la tragica morte di Carmen per mano di José. Sempre belle le scene e i costumi di Antoni Clavé; del tutto convincenti Claudio Cocino (da poco nominato “primo ballerino”) come Torero, Susanna Salvi come La capo bandita e l’esecuzione particolarmente sentita del Corpo di ballo.

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