Birgit Nilsson, pseudonimo di Birgit Märta Svensson (Västra Karup, 17 maggio 1918 – Bjärlöv, 25 dicembre 2005)
“Accanto a Rossi Lemeni, a Taddei, alla Carteri agiva quella sera al Comunale di Firenze, nel ruolo di Donna Anna nel Don Giovanni, un soprano il cui nome era sconosciuto in Italia. Bastò la prima scena per farci allibire: quella colonna di metallo purissimo, inattaccabile, possente destò un’enorme impressione. E il nome della Flagstad corse sulle labbra di tutti: ecco la sua erede, nordica anch’essa.
Così ho conosciuto Birgit Nilsson, cioè la più grande wagneriana dei nostri tempi e una delle vocalità più mastodontiche e resistenti ch si siano udite, almeno negli ultimi cinquant’anni. Abbiamo poi saputo che l’artista aveva in repertorio opere di Verdi (Macbeth, Aida), di Puccini (Tosca) e, naturalmente, di Wagner (Sigfrido, Vascello fantasma). Dopo sono venute il Tristano, la Valchiria, il Crepuscolo degli dei e quella Turandot che la portò alle vetted della classifica. Erede della Flagstad si è detto e, in certo senso, è esatto, ma un’erede a suo modo. Se la voce della Nilsson cedeva di fronte all’altra nelle zone centro-basse, certamente il metallo era più squillante e saldo nel registro acuto; e poi più cupa, misteriosa la voce della Flagstad, più lucente la sua. E tutta la ieratica immobilità del soprano svedese acquistava una vibrazione più psicologica e anche più dolce in lei. E la sua Isotta e la sua Brunilde si distanziano appunto da quelle dell’altra, come dal patologico delirio di una Moëdl, per una nuova dimensione umana che il nostro soprano intese sempre dare alle pur monumentali (anche per lei) figure wagneriane.
In questa linea si inseriscono anche Salome e, mutato ciò che c’è da mutare, la Turandot, Tosca, La fanciulla del West; allo stesso modo poi Aida, Macbeth, Un ballo in maschera, La forza del destino, se sono distanti da certe algide proposte della tradizioni tedesca, non lo sono di meno dall’accezione passionale della linea italiana. Eppure, contrariamente a ciò che generalmente si afferma, la ricerca stilistica della Nilsson è sempre stata indirizzata nella via giusta: contegnosamente emotiva in Puccini, attenta alle esigenze melodrammatiche in Verdi, sollecita a certi valori psicologici, finora sottaciuti o addirittura rinnegati, in Wagner. E sempre entro una cornice di una stilizzazione attenta e rispondente ai più vari richiami in ogni sua interpretazione. Insomma la Nilsson è una grande lezione di canto moderno, soprattutto nell’area musicale tedesca.”
(estratto da “Le stirpi canore” di Angelo Sguerzi – 1978)