Arena di Verona Opera Festival 2018: “Turandot”

Verona. Fondazione Arena di Verona. 96^ Opera Festival 2018.
“TURANDOT”
Drama Lirico in 3 atti e 5 quadri, Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
Musica di Giacomo Puccini
Turandot REBECCA LOKAR
Imperatore Altoum ANTONELLO CERON
Timur GIORGIO GIUSEPPINI
Calaf  MURAT KARAHAN
Liù RUTH INIESTA
Ping FEDERICO LONGHI
Pong FRANCESCO PITTARI
Pang MARCELLO NARDIS
Mandarino GIANLUCA BREDA
Il Principe di Persia UGO TARQUINI
Orchestra, Corpo e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Coro di Voci bianche A.d’A.MUS diretto da Marco Tonini
Direttore d’orchestra Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Vito Lombardo
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Lighting design Paolo Mazzon
Verona, 5 luglio, 2018.
Su questo allestimento di Franco Zeffirelli  è già stato scritto abbondantemente in passato,  visto che è la sua quarta ripresa dopo il debutto nel 2010. Praticamente tutta l’opera si svolge schiacciata al proscenio davanti ad una  enorme parete-muro dietro la quale  si intravede l’imponente sagoma  del palazzo imperiale che si disvelerà, accompagnato sempre da scroscianti applausi di meraviglia dal pubblico,  nella grande scena degli enigmi. Due mondi suddivisi nettamente: Il muro grigio, che avvolge il brulicante e altrettanto cupo popolo che anima il primo atto (e qui si ripropone il “solito” sovraffollamento zeffirelliano dal quale lo spettatore fatica a ad individuare facilmente i protagonisti) e il fasto dorato della corte imperiale. Tra pregi e limiti questa Turandot mantiene un notevole impatto sul pubblico areniano. Tutti gli interpreti hanno dato bella prova di sé. Rebeka Lokar nel ruolo di Turandot con voce ferma, potente ed estesa, ha incarnato una principessa altera e “fredda” al punto giusto. Registro acuto solido, ben emesso e sostenuto senza apparente sforzo. A questa qualità la Lokar ha saputo unire fluidità e morbidezza che le ha permesso di modellare la voce per fare emergere  il lato più fragile della protagonista. Queste qualità le ritroviamo anche nel Calaf del tenore Murat Karahan. Il tenore, già beniamino del pubblico dell’Arena dopo il suo Manrico del 2016, unisce un timbro scuro e rotondo a un luminoso registro acuto. Karahan si dimostra anche un fraseggiatore sensibile e un interprete in grado di costruire un personaggio: rende in modo credibile il suo stupore davanti al sacrificio di Liù e  il suo essere impietrito tradisce un suo senso di colpa. Dopo la morte di Liù anche il suo Calaf  si trasorma da giovane passionale, irruento a uomo adulto determinato, consapevole e coraggioso. Ruth Iniesta, soprano di tecnica solida e affidabile e di timbro soave, è una Liù convincente. Dà il meglio di sé nell’ultimo atto nella dolcezza delle sue mezzevoci di “Tanto amore segreto” e in un commovente “Tu che di gel sei cinta”. La scena di Zeffirelli (intendiamo il muro in proscenio) ha svolto un’ottima funzione acustica nella prima scena tra Ping, Pong e Pang, costruita in scambi di frasi che in uno spazio come quello dell’arena risulta sovente dispersiva e difficile da cogliere nell’insieme. In questo caso la scena  raccoglie e proietta le voci, compattandole. Si sono ancor più apprezzati i tre bravi interpreti Federico Longo (Ping), Francesco Pittari (Pong) e Marcello Nardis (Pang), che hanno creato  un terzetto omogeneo e complementare dando uno spessore vocale e drammaturgico a ruoli che spesso vengono comicamente sovraccaricati. In questo caso nei tre ministri  emergono varie sfaccettature umane: debolezza, paura, nostalgia, ma non cattiveria. I tre cantanti hanno poi saputo rendere con grande suggestione e lirismo nostalgico “Ho una casa nell’Honan”. Giorgio Giuseppini con voce autorevole ha reso bene la dignità e saggezza di un Timur stanco e disorientato. Completavano il cast il mandarino di Gianluca Breda forte e squillante araldo, l’imperatore Altoum Antonello Ceron, evocativa presenza vocale dall’alto e il principe di Persia coinvolgente di Ugo Tarquini. Ancora una volta in questa stagione l’orchestra e coro hanno dimostrato la loro completa confidenza musicale con le opere in cartellone rispondendo in modo compatto e espressivo alla tersa ed elegante direzione di Francesco Ivan Ciampa. Il coro, preparato da Vito Lombardi, ha cantato con grande partecipazione e precisione, muovendosi con naturalezza sulla scena. L’unico neo è stato la tendenza dei soprani a calare negli acuti a voce piena. Voci limpide e interventi precisi per le voci bianche A.d’A.MUS dirette da Marco Tonini. Foto Ennevi per Fondazione Arena