Madrid, Auditorio Nacional de Música, Temporada 2018-2019
Orquesta y Coro Nacionales de España
Direttore Juanjo Mena
Pianoforte Nikolai Lugansky
Maestro del Coro Miguel Ángel García Cañamero
Sergei Rachmaninov: Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in re minore, op. 30
Maurice Ravel: Daphnis et Chloé
Madrid, 15 settembre 2018
“Paroxismos” è il sottotitolo della nuova stagione di Orquesta y Coro Nacionales de España; bisogna riconoscerlo almeno per il concerto inaugurale: nella continua ricerca di espressioni evocatrici, capaci di impostare la comprensione e il giudizio dell’ascoltatore, questa volta la sintesi è perfetta. Con la loro estenuata sensualità, due pagine come il Terzo concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov e la partitura integrale di Daphnis et Chloé di Ravel possono infatti lasciare perplesso, per ragioni opposte, sia chi le ascolti per la prima volta sia chi è temprato da innumerevoli interpretazioni. Il fascino languoroso di entrambi i lavori ha, nella sua insistenza, qualcosa di parossistico, di “non compiutamente determinato”, forse proprio a causa dell’abbondanza di idee e delle prospettive di sviluppo del discorso. Sarebbe però un errore impostare l’esecuzione sul compiacimento patetico da cui entrambe le opere sono affette, perché questo le renderebbe insopportabili. Nikolai Lugansky non è soltanto uno dei migliori conoscitori e studiosi di tutto il pianismo di Rachmaninov; è soprattutto uno dei pochi pianisti in grado di eseguire il famigerato “Rach3” – come orribilmente si designa per abbreviare il riferimento – senza nessuna svenevolezza da commedia hollywoodiana. Il suono è quasi metallico, corre con ritmo svelto e implacabile, propone tinte crudeli più che sentimentali; giacché Juanjo Mena non si limita affatto ad “accompagnare”, ma fa respirare con forza la sua orchestra, a volte la dialettica tra solista e compagine si fa complicata, specialmente quando entrambi enunciano all’unisono la stessa frase. Le capacità tecniche, però, sono straordinarie: in Lugansky per la perfezione del porgere, nitidissimo e impeccabile anche nei passaggi più convulsi; in Mena per l’abilità di staccare tempi decisamente sostenuti, senza che nulla della complessità di strumentazione vada perduto (al contrario: sin dal mormorio dei violini nell’attacco del I movimento, Allegro ma non tanto, si percepisce uno studio delle dinamiche interne degno di un allievo di Sergiu Celibidache).
Dopo che Lugansky regala al pubblico entusiasta un brano fuori programma (avrebbe potuto essere altro che una delle Études Tableaux? Ritorna un Rachmaninov particolarmente assertivo, con la n. 6 dell’op. 33), diventano protagonisti coro e orchestra, guidati dal Director Asociado del complesso; ora Mena può dedicarsi al senso narrativo della musica di Ravel, andando alla ricerca dei colori, dei timbri associati al ritmo di danza, delle leggerezze di temi e vocalizzi: i nuovi personaggi sono il mare, il rollio della nave, il vento, le frequenti sincopi (corrispondente musicale dei tanti cambi di scena nel romanzo di Longo). Il direttore sfrutta tutte le componenti visuali e cinematografiche del balletto, in un tripudio di sonorità anche esagerato, ma alla fine la storia di rapimenti e patimenti, si racconta assai bene, in un’atmosfera di iniziale nostalgia che poi richiama alla memoria ora Scheherazade ora Ma mère l’Oye. Al Lever du jour (n. 10, nel Tableau III) la celebrazione dell’alba comporta un fortissimo che Mena sostiene a lungo, facendo sì che il timbro delle voci corali si incorpori pienamente all’orchestra, come se fosse uno strumento aggiuntivo e legante; tutto quel che segue, dopo il miracolo del Suono totale, è come una serie di fuochi d’artificio al rallentatore, almeno prima che il baccanale conclusivo si riappropri dei precedenti disegni e li componga definitivamente: il parossismo non è che un mezzo per ritrovare la misura e la condizione della calma. Foto OCNE