Verona, Teatro Filarmonico, il Settembre dell’Accademia 2018: Myung-Whun Chung e la Filarmonica della Scala

Verona, Teatro Filarmonico, XXVII Settembre dell’Accademia
Orchestra Filarmonica della Scala
Direttore Myung-Whun Chung
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 6 in fa maggiore Op. 68;  Sinfonia n. 7 in la maggiore Op. 92
Verona, 17 settembre 2018
C’è chi, come il venerabile Gianandrea Gavazzeni, si tiene alla larga dalla pubblica esecuzione di Beethoven e chi, come molti altri direttori che maturando restringono il proprio repertorio, lo pone al centro delle proprie pagine scelte. Sembra appartenere alla seconda categoria il sudcoreano Myung-Whun Chung, allievo tra gli altri di Carlo Maria Giulini, che col suo maestro condivide un approccio “sacerdotale” all’orchestra e un repertorio piuttosto contenuto, dopo le ampie esplorazioni giovanili fino al contemporaneo, ormai ridotto al Romanticismo più o meno tardo del sinfonismo germanico e del teatro musicale italiano (Verdi, da Rigoletto in poi). La sacralità del rito esecutivo per Chung è emanata già dal suo presentarsi sul podio: arriva un po’ dimesso, senza retorica, quasi gli applausi fossero un passaggio necessario da evitare sbrigativamente, si concentra quasi escludendo il pubblico, quindi dirige a memoria, senza spartito, con un gesto contenuto, sobrio ed elegante, a tratti lasciando andare l’orchestra da sé ma senza mai perderne le redini: non gli sfugge un accento e un attacco. Sacro, romantico, iper-selettivo è in realtà il programma apparentemente mainstream proposto con la Filarmonica della Scala, compagine frequentata da Chung da ormai trent’anni, e anche questa scelta lo assimila un po’ a quel Giulini citato poc’anzi.
Una certa fiducia c’è tra podio e massa, e il maestro sembra spesso affidare alla buona volontà del dialogo tra le sezioni la Sinfonia 6 “Pastorale”, anche a rischio di qualche lieve sbavatura e di un’impressione di lentezza ben gestita ma a tratti poco ispirata: i tempi comodi infatti investono i primi meravigliosi movimenti di una imprevista solennità, caratteristica che si ritrova nella danza e nel temporale con scansione ritmica granitica e infine approda ad un finale davvero commovente, che pare l’obiettivo finale nonché la chiave di volta per l’intera interpretazione. Più che altrove, Chung fraseggia con ampi respiri, ricorrendo ad allargando rubati che potenziano, senza ombra di esteriorità, la luce che risplende nel finale. L’orchestra ha un colore più scuro rispetto a quello di molti altri colleghi italiani: qui si notano, oltre al rilievo dei fiati, quasi sempre impeccabili, il legato degli archi, anche nei momenti di maggiore trasporto fisico (letteralmente da balzi sulla sedia). L’intervallo giunge fastidiosamente dopo la rivelazione del finale della Pastorale, momento di luce e di preghiera di ringraziamento (sic in Ludovico van).
La seconda parte invece presenta la Sinfonia 7, considerata ancora “apoteosi della danza” per varietà di ritmi e felicità di invenzione e sviluppo melodico. Dopo un approccio così “religioso” e “atemporale” (per non dire anacronistico, visto che siamo all’opposto della filologia imperante dai tempi vorticosi e senza vibrato), ci si aspettava una Settima monumentale. E anche in questo caso, siamo stati fortunatamente sorpresi e smentiti: l’incipit e il successivo Allegro seguono tempi comodi e piuttosto standard ma si nota sin da subito una certa “urgenza” che qua e là porta l’orchestra a stringere in perfetta simbiosi. L’allegretto, piccola marcia funebre, attaccato subito dopo il primo movimento dà l’impressione di un mondo altro, allucinato e allucinante: non vi sono effettacci di sorta nemmeno qui, il tutto è ottenuto semplicemente col fraseggio e con la scelta dei tempi. Terzo e quarto movimento regalano la svolta improvvisa: tutti scatenati, ottoni in rilievo, Chung che porta il rubato a un progressivo stringendo, con una cavalcata finale da mozzare il fiato. Il pubblico, che gremiva il Teatro come nelle grandi occasioni, esplode in un applauso liberatorio ed entusiasta. Il maestro, visibilmente divertito ma sempre schivo, viene spinto sul podio dagli orchestrali, grati e acclamanti come l’uditorio, in un bis opportuno quanto mai per la serata e per il 2018 denso di anniversari: finale dell’Ouverture di Guillaume Tell di Gioachino Rossini, rapidissima, felicemente sovraccarica e travolgente. Ne vorremmo ancora, ma Chung si trascina via per mano il primo violino… Foto Brenzoni

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