Como, Teatro Sociale: “Tosca”

Como, Teatro Sociale, Stagione d’Opera 2018-2019
TOSCA
Dramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou. Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca VIRGINIA TOLA
Mario Cavaradossi LUCIANO GANCI
Il barone Scarpia ANGELO VECCIA
Cesare Angelotti LUCA GALLO
Il sagrestano NICOLÒ CERIANI
Spoletta NICOLA PAMIO
Sciarrone STEFANO CIANCI
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro OperaLombardia
Coro di Voci Bianche “I Piccoli Musici”
Direttore 
 Valerio Galli
Maestro del Coro Diego Maccagnola
Regia Andrea Cigni
Scene Dario Gessati
Costumi Lorenzo Cutuli
Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento in coproduzione dei Teatri di OperaLombardia e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Como, 12 ottobre 2018
Già in altra sede si è parlato della difficoltà in cui necessariamente si incorre quando si voglia curare la regia di una “Tosca”, e non ci torneremo. Questa volta – e l’occasione ce la dà la “Tosca” in scena al Teatro Sociale di Como – parleremo del bisogno di mettere in scena certi titoli, bisogno principalmente del botteghino, cioè del pubblico: questi ama spesso compiacersi dei grandi titoli dell’opera, piuttosto che di opere cosiddette minori, per una sorta di sindrome di inferiorità, per tema di non essere all’altezza di certe storiche produzioni del passato, prossimo o remoto che sia. Tuttavia, le opere appartenenti al “grande repertorio” (tra le quali “Tosca” senza dubbio rientra), necessitano di grandi professionisti, sul palco, sul podio e dietro le quinte: dispiace, allora, constatare che questo assunto (per chi scrive, lapalissiano) non sia ben chiaro ai teatri, grandi o piccoli, che spesso ci offrono versioni drammaticamente inadeguate di questi capolavori. A Parma la scorsa primavera avevamo visto una “Tosca” ben sorretta dai due protagonisti, ma manchevole di un progetto scenico interessante e di qualità; oggi, a Como abbiamo un risultato più omogeneo nella sua debolezza, ma comunque deludente: la regia di Andrea Cigni sposta l’azione al tempo del compositore, stratagemma fuori luogo nel caso di un libretto tanto particolareggiato e inquadrato storicamente, quale quello di Giacosa e Illica; inoltre sembra prendersi “licenze” troppo frequenti per poter soddisfare coloro che abbiano una minima conoscenza dell’opera. Le scenografie, certamente di impatto, ricordano molto da vicino quelle che William Orlandi approntò per la “Tosca“ di Fassini: gigantesca Madonna in cartongesso nel primo atto (barocca quella di Orlandi, tardo medievale questa di Dario Gessati, ispirata chiaramente al Compianto di Niccolò dell’Arca), un tavolone imbandito di candelabri e insegne religiose ospita la cena di Scarpia del secondo atto, una scalinata, crescente verso destra, di materiale riflettente domina l’ambientazione dell’ultimo atto; qui si sceglie di usare anche qualche proiezione didascalica, francamente di dubbia utilità e altrettanto dubbio gusto, su un tulle che apre primo e terzo atto, e una suggestiva cancellata barocca a dominare la scena in Sant’Andrea – anch’essa puramente ornamentale e non funzionale alla narrazione. Molto riuscite sono apparse invece le luci curate da Fiammetta Baldiserri, con inquietanti giochi d’ombra, degni delle produzioni di Val Lewton, nel secondo atto; i costumi di Lorenzo Cutuli, per quanto di arbitraria foggia belle époque, comunque ben figurano in scena. Qualora lo spettatore volesse trovare in questo guazzabuglio teatrale una consolazione musicale, comunque resterebbe insoddisfatto: Virginia Tola, una ben accreditata Floria Tosca in molti teatri, probabilmente non in serata, ha fornito una interpretazione coinvolta emotivamente, ma vocalmente lacunosa, affrontando l’arduo personaggio con centri deboli,  e un registro acuto squillante ma non sempre ben controllato. Angelo Veccia, che ha fatto di Scarpia uno dei suoi cavalli di battaglia, è scenicamente estroverso, dovrebbe esserlo un po’ meno vocalmente: esagera d’istrionismo tralasciando la precisione vocale; comunque riscuote molto successo tra il pubblico, che si conquista grazie alle qualità timbriche e alle sue doti attoriali. Piacevolissima conferma, invece, è Luciano Ganci nel ruolo di Cavaradossi: il tenore romano (che avevamo già apprezzato nella “Francesca da Rimini” scaligera, la scorsa stagione) è contraddistinto da un fraseggio preciso, sostenuto da una bella vocalità tonda e da una spiccata espressività. Sia “Recondita armonia” che “E lucevan le stelle” vengono ben eseguite, con trasporto, ma senza eccessi. Tra i ruoli secondari spicca lo Spoletta di Nicola Pamio, vocalmente valido e preciso;  Nicolò Ceriani nella parte del Sacrestano, cade purtroppo nel macchiettistico, prestando meno attenzione al canto di un ruolo che, se ben eseguito, può conquistare la simpatia del pubblico. Buona prova invece per il basso Luca Gallo, un Angelotti forse un po’ troppo “emotivo”, ma comunque ben cantato. Notevole (per quanto breve) prova anche per il Coro di OperaLombardia, diretto dal Maestro Diego Maccagnola, e per il Coro delle voci bianche “I Piccoli Musici”, con un chiaro apice sullo straordinario “Te Deum”. La direzione, affidata al giovane Maestro Valerio Galli, è convincente, energica senza essere frettolosa, rispettosa (almeno lei) dei colori della partitura e abile a gestire i cantanti in scena (soprattutto la Tola nel “Vissi d’arte”, che parte un po’ troppo larga, ma viene ricondotta bene e presto al tempo orchestrale). La sensazione di insieme è di incompiutezza, nonostante le buone prove di Ganci e Galli: viene da domandarsi se operazioni del genere siano necessarie, o se forse sarebbe ormai tempo di scendere a patti col pubblico, e quindi anche che esso scenda a patti con una ricerca di qualità; a volte questo riesce (a Como, ad esempio, col recente “Viaggio a Reims”), altre, come quella qui presa in questione, purtroppo no. Foto Favretto