Verona, Teatro Filarmonico, Il Settembre dell’Accademia 2018: Mikko Franck & Sol Gabetta

Verona, Teatro Filarmonico, XXVII Settembre dell’Accademia 2018
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Mikko Franck
Violoncello Sol Gabetta
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Romeo e Giulietta
Édouard Lalo: Concerto per violoncello in re minore
Jean Sibelius: Sinfonia n. 2 in re maggiore Op. 43
Verona, 22 ottobre 2018
La 28a edizione del prestigioso Settembre dell’Accademia si conclude con il concerto di una grande compagine sinfonica come l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per fortuna ospite frequente del Teatro Filarmonico di Verona (che anche stavolta si è presentato gremito di pubblico entusiasta). Il programma spiegava sin dall’inizio un organico ampio adatto al repertorio geograficamente eterogeneo ma tutto tardo-romantico: sul podio (e un po’ dappertutto intorno ad esso) il finlandese Mikko Franck, da poco direttore ospite principale dell’orchestra romana. Occorre premettere infatti che il concerto è stato funestato da una sensazione (solo visiva) di precarietà dovuta all’eccessiva mobilità del direttore, alloggiato con una sedia sul podio con canonico leggio ma pronto a scenderne di lato e piazzarsi di fronte alle prime parti degli archi, a seconda dell’esigenza, dirigendo svariati passi a memoria salvo poi fiondarsi sulla partitura, a volte tornando sul podio, a volte rimanendo in piedi di lato, sfogliando goffamente le ampie pagine. Insomma, la forma non è tutto ma francamente, ad osservare quello che accadeva davanti a quasi 1200 spettatori, è sembrato di assistere più a una prova aperta che a un concerto, per la disinvolta condotta del maestro (a tratti proprio inguardabile). L’orchestra invece è stata professionalissima e si è ritrovato con piacere quel suono scuro, pastoso e denso che la contraddistingue e la consacra migliore tra le compagini italiane e in lizza tra le eccellenze mondiali, grazie ad un livello storico sempre piuttosto elevato e che, accentuando le caratteristiche sopra elencate, ha beneficiato di un incremento esponenziale nell’ultima decade sotto la bacchetta di Antonio Pappano (purtroppo impegnato in un Ring londinese).
La forma sunnominata, anche a voler chiudere gli occhi, si traduce in contenuto: la disinvoltura di Franck ha “scaldato i motori” con una lettura fonicamente impressionante del poema sinfonico cajkovskiano di Romeo e Giulietta, però altrettanto superficiale, genericamente orbitante intorno al mezzoforte e incline a sfumature diverse solo per vuoti effetti senza causa qua e là. Il successo ottenuto dagli eccellenti professori ceciliani ha spianato la strada alla star internazionale del violoncello Sol Gabetta, splendida argentina impegnata purtroppo in una pagina che, ad esser generosi, offre al solista sfoggio di languidi cliché sentimentalistici più che virtuosistici in una forma talmente libera da rasentare il puro capriccio, mascherato da Concerto in tre tempi (l’autore Lalo assurge all’olimpo dei compositori forse solo con quest’opera). In questa partitura, di venticinque minuti circa, Gabetta ha fraseggiato con il massimo del gusto possibile, coniugando un suono scuro, caldo e una partecipata musicalità ad un volume ovunque sorvegliatissimo, quasi costringendo ad una maggiore intimità la visione un po’ esteriore del direttore. A grande richiesta, applausi ritmati ottengono un bis melanconico, affidato alla solista con l’apporto dell’intera sezione di violoncelli. Dopo l’intervallo Franck ha dato sfoggio di una maggiore sicurezza, nonché idiomaticità, nella Sinfonia 2 in re minore del conterraneo Sibelius: quattro movimenti come da tradizione per una estrema libertà formale e tematica. Premettendo che in Italia, nel XXI secolo, è ancora raro ascoltare le opere del massimo compositore finlandese e che è ancora più raro sentirle eseguite con tale rotondità di suono (mi si passi l’imperdonabile aggettivo “mediterraneo”), l’esecuzione di lunedì 22 è sembrata gettare una luce davvero nuova su questa sinfonia. Franck non trova nuovi orizzonti ma si sforza di imprimere un marchio personale su qualcosa di ancora troppo inusuale nel repertorio da concerto italiano: qua e là vi riesce, piaccia o meno. Valga per tutti l’esempio del finale, staccato con una certa pesantezza e comodità di tempo, senza eccessivi scrupoli analitici ma evidenziando sempre il materiale tematico che ritorna ciclicamente fino ad una chiusura (logicamente) retorica, potentissima, di sicuro effetto. Ma la zampata del maestro, quella che è valsa a Franck la prestigiosa posizione a Roma, la si è vista solo nel bis, giunta ormai insperata e per questo ancor più sorprendente: un Valse triste (sempre di Sibelius) di invidiabile elasticità dinamica e agogica, sempre di impeccabile suono e di tensione crescente, da far trattenere il fiato sino alla fine, quando si estingue l’ultimo accordo dei violini e si accende il boato del pubblico. Un’esperienza da provare almeno una volta nella vita, magari ascoltando l’Orchestra nella sua sede al Parco della Musica di Roma, sperando che lì il maestro Franck abbia finalmente trovato il suo posto: non importa se sopra il podio o sotto, a destra, a sinistra, con o senza leggio… purché trovi pace, a noi andrà bene. Foto Brenzoni

Lascia un commento