Venezia, Teatro La Fenice: concerto diretto da Jėrėmie Rhorer con Roberto Baraldi e Alfredo Zamarra

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2018-2019
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Jérémie Rhorer
Violino Roberto Baraldi
Viola Alfredo Zamarra
Gianni Bozzola: “Giorni di Giona”
Wolfgang Amadeus Mozart:Sinfonia concertante per violino e viola in mi bemolle maggiore kv 364/320d
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 5 in do minore op. 67    <
Venezia, 11 gennaio 2019
Un “insieme di solisti”: così è stata definita l’orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, che da anni si confronta validamente con un repertorio vastissimo, spaziando dal classicismo al post-moderno, dalla musica sinfonica a quella operistica. A questa formazione era, in qualche modo, dedicato il quinto concerto della corrente stagione, il primo del nuovo anno, con un programma, comprendente tre titoli, volto a mettere in evidenza la coesione dell’insieme come il “virtuosismo” delle singole parti: in apertura di serata, la prima esecuzione assoluta dell’ouverture sinfonica Giorni di Gionauna commissione al compositore Gianni Bozzola nell’ambito di “Nuova musica alla Fenice”, progetto realizzato con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice e con lo speciale contributo di Béatrice Rosenberg –; a seguire, la Sinfonia concertante per violino e viola in mi bemolle maggiore kv 364/320d di Wolfgang Amadeus Mozart – che vedeva impegnati, come solisti, Roberto Baraldi e Alfredo Zamarra, rispettivamente primo violino e prima viola dell’orchestra del teatro veneziano –; per finire, nella seconda parte della serata, la Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 di Ludwig van Beethoven. Sul podio, il giovane maestro Jérémie Rhorer, che ha ormai raggiunto una rinomanza internazionale, esplorando da anni il repertorio del diciottesimo e diciannovesimo secolo con un approccio originale e innovativo.
Ispirata a una leggenda narrata nel Midrash – dove si racconta che il profeta Giona, dopo essere stato inghiottito dal grande pesce, viene da questo portato negli abissi fino alla dimora del Leviatano – la composizione di Bozzola rappresenta un tentativo di rivivere questo viaggio sottomarino, attraverso lo strumento orchestrale. Impeccabile l’Orchestra della Fenice nel rendere questo continuum sonoro, continuamente cangiante dal punto di vista timbrico e, a tratti, fortemente scandito ritmicamente dalle percussioni, che procede come un lento climax, le cui sonorità gradatamente si rafforzano, a misura che ci si addentra nell’abisso, fino al poderoso colpo di timpano finale. Un pezzo alquanto apprezzato dal pubblico.
Una sincera “corrispondenza d’amorosi sensi” si è instaurata – com’era prevedibile – tra i solisti e l’orchestra in quella, che può essere considerata una delle pagine più intensamente espressive di tutta la produzione mozartiana, composta nell’estate del 1779, uno degli ultimi anni di servizio presso la corte del Principe Vescovo, in una Salisburgo, che Mozart considerava sempre più provinciale: anni inquieti, in cui il sommo compositore rivisitava alcuni generi tradizionali, sottoponendoli a un processo di sperimentazione, che avrebbe poi reso possibili i capolavori viennesi. Indimenticabile è risultato, per l’affettuosa espressività e l’assoluta intonazione – alla Heifetz, per intendersi –, il dialogo fra i due solisti e fra questi e l’orchestra, nel corso di una lettura quanto mai convincente di questa splendida partitura, la cui tonalità d’impianto, mi bemolle maggiore, corrisponde – come spesso in Mozart a una condizione di serenità, pur velata da ampi squarci patetici. Questo si è colto nell’Allegro maestoso iniziale, il cui tema principale, esposto per primo nell’introduzione orchestrale, è prevalentemente improntato a una concezione vitale e positiva, al pari del tema immediatamente successivo, disseminato di trilli, che con un crescendo prepara l’entrata dei due solisti; dopodiché modulazioni a tonalità minori velano, nello sviluppo, questa atmosfera luminosa, culminando in un nuovo tema ricco di pathos, in sol minore, introdotto dal violino. Di estrema musicalità e sensibilità, a rendere – senza mai contravvenire alla leggerezza e all’equilibrio stilistico – questa alternanza degli affetti, la prestazione dei due solisti, che hanno brillato, poi, in particolar modo, nella cadenza, scritta da Mozart di suo pugno, sfruttando principalmente il gioco timbrico tra violino e viola. Struggente il dialogo serrato tra i due strumenti nell’Andante, un canto emozionante e patetico nella cupa tonalità di do minore, con la sola eccezione della parte centrale, che torna al rasserenante mi bemolle maggiore. Traboccante d’allegria il Presto conclusivo, un Rondò ricco di sorprese nei colori strumentali come nell’articolazione del discorso musicale. Festeggiatissimi, Baraldi e Zamarra hanno concesso un pregevole fuoriprogramma – il terzo dei Tre madrigali per violino e viola di Bohuslav Martinů –, eseguito con una prestanza mozzafiato. Nella seconda parte del concerto, Jérémie Rhorer si è imposto con tutta la sua autorevolezza nell’arduo compito di riproporre – imprimendo una sua cifra interpretativa, senza scadere nella routine o nella retorica – uno dei pezzi da concerto più celebri e diffusamente eseguiti, qual è la Quinta di Beethoven, su cui si sono scritte innumerevoli pagine critiche. Sorretto da un’orchestra in piena forma, il giovane direttore francese si è segnalato per sobrietà e capacità di sintesi, pur senza mai perdere di vista la doverosa pregnanza a livello espressivo – pericolo sempre incombente nell’affrontare una partitura, che ammalia per l’assoluta coerenza strutturale, per la pura organicità nello sviluppo del materiale tematico. Ne è risultata un’esecuzione particolarmente snella – grazie anche a una scelta di tempi adeguatamente misurata –, che riconduceva i contrasti dinamici e timbrici – questi ultimi talora accentuati fino all’estremo come si è sentito in corrispondenza di qualche intervento dei corni –, a una concezione sublimata e spirituale – che forse sarebbe piaciuta a E. Th. A. Hoffmann –, in base alla quale il titanismo beethoveniano si stemperava in un’aura olimpicamente serena ed armoniosa. Grande successo anche per questa esecuzione, e segnalazione, da parte del direttore, degli orchestrali più meritevoli.