Fondazione Arena di Verona, Stagione Sinfonica 2019
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Francesco Ommassini
Pianoforte Roman Lopatynskyi
Violoncello Edgar Moreau
Ludwig van Beethoven: Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in mib maggiore op. 73 “Imperatore”
Carl Maria von Weber: Der Freischutz, Ouverture
Edward Elgar: Concerto per violoncello e orchestra in mi minore op. 85
Verona, Teatro Filarmonico, 1 marzo 2019
This will be our reply […]: to make music more intensely, more beautifully, more devotedly than ever before” (Leonard Bernstein). Fa veramente piacere sentire l’Orchestra dell’Arena di Verona nuovamente in forma in questi giorni di carnevale, tanto nel Don Pasquale quanto nel terzo concerto della breve stagione sinfonica. Il colore caldo degli archi, la cura delle dinamiche e i fiati impeccabili hanno contraddistinto un programma insolitamente bicefalo per i due importanti concerti per solista e orchestra previsti in locandina. A farne un po’ le spese è il brano in apertura della seconda parte, l’Ouverture dal Franco Cacciatore di Weber: una certa squadrata lentezza prediletta dalla bacchetta di Francesco Ommassini sembra appesantirne la resa complessiva, nonostante la nitida scansione di ogni passaggio, in particolare degli archi, tanto che il maestro veneziano, altrove tutt’altro che scomposto, pare impiegare davvero troppe forze a “far ripartire la macchina” laddove il fraseggio rischia di “sedersi” un po’. Gli ottoni garantiscono una conclusione in gloria per un brano che sicuramente già alla replica odierna sarà meglio oliato. I pezzi forti del programma, si diceva, sono i due concerti: la prima parte è infatti dominata dal celebre quinto concerto “Imperatore” per pianoforte e orchestra, frutto più compiuto del breve ma straordinario excursus beethoveniano nel genere. Qui il maestro Ommassini sceglie un’agogica moderatamente spedita, con ottimo esito per togliere ogni possibile svenevolezza Biedermeier o iper-romantica che in due secoli di interpretazione un po’ si sono appiccicati al capolavoro in questione. Al conseguimento di un risultato elevatissimo concorre ovviamente il solista, il ventiseienne Roman Lopatynskyi, seppur con una lettura non sempre
concorde alle scelte direttoriali: se infatti il delicato e variopinto manto orchestrale trova un compromesso efficace tra l’esecuzione su strumenti moderni ed il suono più “asciutto” applicato ai Classici (in un Allegro che trovo personalmente giustissimo), dall’altra tali spunti sono colti solo in parte dal pianista russo, inconfondibilmente “slavo” tanto nell’eccellenza virtuosistica quanto in una sorta di enfasi anti-retorica un po’ pesante applicata ai passaggi del secondo gruppo tematico del primo movimento, o in tutto il secondo movimento, che risulta infatti un po’ prosaico e squadrato laddove, in assenza di dolcezza, poteva almeno essere suggerita un po’ di leggerezza. Spettacolare girandola invece nell’ultimo movimento, il trascinante Rondò, dove Lopatynskyi macina scale e arpeggi a velocità da capogiro con nettezza e potenza di suono stupefacenti. Grande
successo per tutti già al primo tempo, con concessione di bis: il preludio bachiano in si minore trascritto da Siloti eseguito sommessamente con un pedale mistico tale da farlo sembrare pagina del Novecento russo-francese… e questo dice già molto dell’interprete. A completare la locandina l’ultima mezzora debutta come altro solista di pregio il francese Edgar Moreau, neanche venticinquenne ma già autentico fuoriclasse. La pagina, di non comune esecuzione a Verona, è il Concerto per violoncello e orchestra di sir Edward Elgar, che per il protagonismo dello strumento dedicatario è un’autentica dichiarazione d’amore al violoncello. Moreau attraversa i quattro tempi del concerto con intensità d’espressione, anche giustamente “rumorosa”, e facilità tecnica straordinarie e già “mature” nel cercare la pienezza di suono senza sbrodolare mai in effettismi sornioni. Anche qui l’attenta bacchetta di Ommassini, con gesto tondo e ampio ma composto, asseconda soprattutto nel trovare un dialogo fitto e sensibile con l’orchestra in piani e pianissimi memorabili. La tensione narrativa si perde un po’ nel sinfonismo denso dell’ultimo tempo, inficiato qua e là da quella pesantezza un po’ cauta e squadrata riscontrata nel Freischutz, anche questa superabilissima in replica. Teatro (con buona affluenza di pubblico) letteralmente in visibilio per il solista, che concede altro bis bachiano, e prolungati applausi per direttore e orchestra. Si replica oggi pomeriggio: da non perdere. Foto Ennevi per Fondazione Arena
