Verona, Teatro Filarmonico: “Adriana Lecouvreur”

Fondazione Arena di Verona, Stagione Lirica 2018-2019
ARIANA LECOUVREUR”
Opera in quattro atti. Libretto da Arturo Colautti dal dramma di Eugène Scribe e Ernest-Wilfrid Legouvé
Musica di Francesco Cilea
Adriana Lecouvreur HUI HE
Maurizio FABIO ARMILIATO
il Principe di Bouillon ALESSANDRO ABIS
la Principessa di Bouillon CARMEN TOPCIU
Michonnet ALBERTO MASTROMARINO
L’Abale di Chazeuil ROBERTO COVATTA
Poisson KLODJAN KACANI
Quinault MASSIMILIANO CATELLANI
Mad.lla Jouvenot CRISTIN ARSENOVA
Mad.lla Dangeville LORRIE GARCIA
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Massimiliano Stefanelli
Maestro del coro Vito Lombardi
Regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
Lighting Design Paolo Mazzon
Movimenti mimici Michele Cosentino
Allestimento del Teatro Sociale di Como – As.Li.Co.
Verona, 31 marzo 2019
La diva immortalata nel melodramma di Cilea è passata da Verona solo due volte, esattamente trenta e quaranta anni fa, cavallo di battaglia di Raina Kabaiwanska. Da allora se ne erano perse le tracce fino allo scorso 31 marzo, quando Fondazione Arena ha recuperato l’allestimento creato pochi anni fa per il Circuito Lirico Lombardo da Ivan Stefanutti, che firma regia, scene e scelte di costume (dal celebre atelier Nicolao di Venezia). Quando si apre il sipario lo spettatore viene portato in un mondo visivo liberty, da primo Novecento, collocando la protagonista dal Settecento teatrale originario al cinema muto del secolo scorso (rifacendosi dichiaratamente alla figura di Lyda Borelli). La trovata tutto sommato funziona rendendo ancora credibile l’esile trama di declino e morte della protagonista per scambi di biglietti e fiori avvelenati, con il rischio tuttavia di immergere questi snodi drammaturgici nell’atmosfera storica e visuale dell’operetta coeva, schivata appena dalla seriosa scelta cromatica del bianco e nero onnipresenti in scene, arredamento e costumi (ben illuminati da Paolo Mazzon, che scalda appena la cornice dello specchio del backstage e poi ne moltiplica l’effetto nell’enorme cornice dell’atto terzo). L’impianto scenico, a parte trovare forme e silhouette liberty, tiene il coro perlopiù stipato in secondo piano, lasciando i protagonisti agire in proscenio tra divani, poltrone, armadi e separé: non è una scelta particolarmente avvincente ma lo spettacolo che nel suo complesso funziona, grazie ad un cast non perfetto ma molto interessante.
I comprimari, dopo essere stati leggermente sommersi per decibel dal golfo mistico nei primi minuti, rivelano vocalità fresca, sufficiente affiatamento, correttezza musicale: Lorrie Garcia, Cristin Arsenova, Klodjan Kacani ed in particolar modo i bassi Massimiliano Catellani e Alessandro Abis. La recitazione di tutto il cast pare a tratti un po’ convenzionale e lasciata all’iniziativa personale di ognuno, con esiti alterni per inventiva, indole e forma fisica. Roberto Covatta, nonostante libretto e regia facciano di tutto per trasformare l’Abate in un untuoso lacché, evita le caccole in cui incorrono i tenori di carattere, recita con disinvoltura e canta con timbro gradevole e salda emissione. Fabio Armiliato vanta più esperienza e carisma scenico di tutti i colleghi in questa produzione e il suo Maurizio riesce affascinante e credibile, nonostante una tecnica personale non ortodossa, con apertura di vocali ed emissione di forza, che non inficiano la resa finale ma fanno temere per la salute del tenore. Altro esperto leone del palcoscenico è Alberto Mastromarino, qui un po’ troppo compassato Michonnet, molto applaudito nonostante una forma vocale tutt’altro che ottimale. Carmen Topciu del cast è invece la più rifinita musicalmente: corretta tecnicamente, vocalmente  ha ottimo timbro e gusto, caratteristiche non comuni che, unite a un volume notevole, sono ideali per la Principessa. Essendo il “villain” della storia, forse non le sarebbe guastato giusto un “pizzico di pepe” in più per renderla personaggio completo degno di reggere il confronto con la protagonista. Hui He, veronese d’adozione, trova il suo pubblico (che la saluta con affetto sin dalla prima aria) in un ruolo impegnativo tanto vocalmente quanto attorialmente: la prova viene portata a casa con buon successo, anche se la recitazione sembra a tratti trascurata in favore dell’esecuzione musicale, corretta ma non trascinante, con un timbro privilegiato ma un’emissione indurita ed una gamma espressiva non troppo ampia. In forma di concerto, sarebbe stato bastevole alla resa di un personaggio dolente, perfezionista, tenue ed infelice, destinato alla morte sin dall’esordio; ma la sua lettura stride un po’ con la tradizione del soprano drammatico (che in effetti non è) ed anche con l’intenzione registica di reinterpretarla come diva del muto. La zampata della primadonna arriva nel finale dell’atto terzo, dove Hui He recitando Fedra con intenzioni e dizione notevoli trova uno sfogo vocale ferino e immacolato nei centri e in acuto: un vero e proprio momento da brividi per lo spettatore, che conferma l’efficacia dell’opera di Cilea anche in tempi di (difficoltosa) rivalutazione del melodramma verista. L’ampia pantomima coreografata da Michele Cosentino mette in un luce una volta di più l’orchestrazione densa ma raffinatissima del compositore calabrese, nonché il lavoro certosino del direttore Massimiliano Stefanelli, esperto conoscitore del teatro lirico assente dal podio veronese da quasi vent’anni e qui impegnato (con successo e senza bacchetta) ad ottenere trasparenza e bel suono in impasti e colori quasi inediti dal’Orchestra dell’Arena di Verona, evitando l’enfasi retorica senza perdere la tensione narrativa, sempre con attenzione e rispetto per le voci in palcoscenico. Molto buona anche la prova del Coro, preparato da Vito Lombardi. Applausi convinti anche a scena aperta e al termine calorosi per tutti, prossime all’ovazione per i ruoli principali e la protagonista. Pubblico davvero folto, per un titolo non frequente, ma anche terribilmente maleducato: davvero non capisco come nel 2019 ancora non si riesca a spegnere il cellulare in sala o, per l’amor del cielo, almeno a togliere la suoneria. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona

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