Napoli, Teatro di San Carlo: “Die Walküre”

Napoli,  Teatro di San Carlo di Napoli, Stagione lirica  2018/2019
DIE WALKÜRE”
Prima giornata dell’Anello del Nibelungo in tre atti.
Libretto e musica di Richard Wagner
Siegmund MAGNUS VIGILIUS
Hunding RUNI BRATTABERG
Wotan TOMAS TOMASSON
Sieglinde BARBARA HAVEMAN
Brünnhilde LISE LINDSTROM
Fricka EKATERINA GUBANOVA
Gerhild RAFFAELA LINTL
Helmvige ROBYN ALLEGRA PARTON
Ortlinde PIA-MARIE NILSSON
Waltraute URSULA HESSE VON DEN STEINEN
Rossweisse ALEXANDRA IONIS
Seigrune IVONNE FUCHS
Grimgerde NIINA KEITEL
Schwertleite JULIA GERTSEVA
Orchestra del Teatro di San Carlo
Direttore Juraj Valčuha
Regia Federico Tiezzi
Scene Giulio Paolini
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Gianni Pollini
Produzione del Teatro di San Carlo
Napoli, 12 maggio 2019
Torna, al Teatro di San Carlo di Napoli, dopo tredici anni dall’ultima rappresentazione, Die Walküre, prima giornata in tre atti del Ring des Nibelungen di Richard Wagner, un ciclo di quattro drammi musicali, rappresentato per la prima volta al Festspielhaus di Bayreuth dal 13 al 17 agosto 1876. La prima giornata è preceduta da un prologo, Das Rheingold, ed è seguita da altre due giornate, Siegfried e Götterdämmerung. Questo importante ritorno vede sul podio il direttore musicale del Massimo Napoletano, Juraj Valčuha. Egli tratta con assennatezza la forma musicale wagneriana, curandone attentamente quella transizione sottile da una miniatura ad un’altra e che, osservate da lontano, danno forma all’affresco teatrale. Sorprende la ricchezza dei colori che compartecipano all’evento musicale divenendo azione.  L’atteso numero dell’Atto III, la celebre Cavalcata delle Valchirie, resta integrato nella totalità del continuum sonoro. Fondamentale appare l’impasto denso dei legni, inframezzato dalla cruda materialità dei fiati e dalla resa plastica del suono strumentale puro, come il respiro o il lamento d’un corno.Un’interpretazione che ben si sposa con la regia curata da Federico Tiezzi, con scene progettate da Giulio Paolini, costumi ideati da Giovanna Buzzi e luci create da Gianni Pollini. Il regista traduce Wagner nella sfera reale, moderna; una operazione peraltro che già Nietzsche provocatoriamente proponeva d’effettuare, magari passando cinicamente dalla mitologia alla sfera borghese, privata. Quello che è accaduto al San Carlo: la vicenda della divinità Wotan trasformata nelle vicissitudini d’un padre, carnefice involontario della lenta decadenza dei valori morali e del rovinoso declino della sua famiglia, sconvolta dal tabù dell’incesto. L’operazione funziona: peraltro, anche a Wagner, come borghese, accadde di non poter più soddisfare le esigenze del decoro borghese. E chi altri è Wotan se non Wagner stesso. In questa messinscena, l’impostazione spaziale dei personaggi si basa su movimenti creati attraverso una severa e speculare schematizzazione, svoltisi in un impianto scenografico trasparente, vuoto. Il silenzio avvolge e travolge la fissità d’un teatro misurato, astratto, appesantito però dal lento scorrere del tempo, che fatalmente travolge i personaggi della vicenda, avvolti in abiti dal gusto ottocentesco, pittoresco, pur conservando elementi legati alla mitologia. Luci taglienti, accecanti, espressioniste aggrediscono una scarna struttura tubolare, lastre frantumate, porzioni di manichini in gesso classicheggianti, metafisici. Un mondo nebuloso e severo, che deve necessariamente autodistruggersi se vuole ottenere la redenzione. Esito felicissimo per l’esperta compagnia canora. Magnus Vigilius (Siegmund) possiede la pienezza vocale che si domanda ad un buon Heldentenor. Timbro segnatamente scuro, presta al Velsungo un temperamento spontaneo ed una proiezione corposa e compatta, nelle invocazioni a suo padre Wälse (“Ein Schwert”, Atto I), per garantire altresì al superbo eroe una emissione potentemente declamatoria ed un eccellente legato nel “Winterstürme” (Atto I). Il basso Runi Brattaberg (Hunding) mostra tutta la brutalità e tutta la compostezza essenziali per la parte che teatralmente risolve con un volume vocale possente, sonante, con del diabolico. Robusta, ma così ricca di nuance, è l’interpretazione del basso Tomas Tomasson nel ruolo della divinità Wotan, ora postulante di pietà, ora despota perfetto. Con paterno sentimentalismo ed una sadica propensione all’annientamento di sé, dà forma ad un ruolo tanto complesso, ma che riesce a risolvere con tonante voce d’avvincente bellezza ed una notevole facilità d’emissione nella zona grave. Il soprano Barbara Haveman (Sieglinde) signoreggia un canto sempre omogeneo e un solido uso del declamato dall’intenso colore sonoro. Di notevole impatto l’interpretazione del soprano Lise Lindstrom. Nel ruolo di Brünnhilde, vanta una vocalità che transita dal lucente all’ovattato, dal metallico allo stentoreo; intensa, drammatica e con una buona tenuta nel grave. Il mezzosoprano Ekaterina Gubanova, nel ruolo della consorte Fricka, da vero capofamiglia e, pertanto, con temperamento saldo ed autorevole, tiene sorprendentemente testa a Wotan, con una intensa e profonda incisività vocale. Completano la compagnia di canto le otto valchirie, valide sia sul piano scenico che sul piano vocale: Raffaela Lintl (Gerhild), Robyn Allegra Parton (Helmvige), Pia-Marie Nilsson (Ortlinde), Ursula Hesse Von Den Steinen (Waltraute), Alexandra Ionis (Rossweisse), Ivonne Fuchs (Seigrune), Niina Keitel (Grimgerde), Julia Gertseva (Schwertleite). Alla fine, lunghi applausi e standing ovation hanno suggellato il successo del wagneriano ritorno. Foto Luciano Romano