Teatro Regio di Parma, Stagione lirica 2019
Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti, Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Carlo Montanaro
Maestro del coro Martino Faggiani
Soprano Jessica Pratt
Contralto Veta Pilipenko
Tenore Luciano Ganci
basso Michele Pertusi
Wolfgang Amadeus Mozart: “Ave Verum” KV618, “Requiem” KV626
Parma, 5 maggio 2019
Si chiude la stagione lirica invernale-primaverile del Teatro Regio di Parma dopo tre titoli operistici con un concerto lirico-sinfonico. È chiaro come gli sforzi produttivi siano concentrati sul prossimo Festival Verdi, vetrina nazionale ed internazionale che vedrà sui palcoscenici parmensi ben quattro titoli in un mese: nuove produzioni de I due Foscari, Nabucco e Luisa Miller insieme alla ripresa di Aida a Busseto. L’appuntamento al Regio non era privo di elementi di interesse, almeno sulla carta, per quanto sin troppo breve anche nel programma (non sarebbe stato male pensare di sfruttare il soprano, specie questo soprano, per un’abbinata con i non impossibili Vesperae solemnes, tanto per fare un esempio). Nelle terre di Verdi non è infatti troppo comune ascoltare l’altro grande Requiem oltre a quello del cigno di Busseto: Mozart non vi viene eseguito con troppa frequenza. Di conseguenza, anche i volenterosi complessi impegnati nell’esecuzione sembrano scontare a tratti un po’ di allenamento, se non di dimestichezza, con le pagine in oggetto. L’amato e premiato coro di casa, diretto da Martino Faggiani (applauditissimo alla fine, tanto quanto i solisti) è compatto e impeccabile nell’offrire una voce ed un’esecuzione intensa, partecipata e “drammatica” (romantica?) ad un repertorio che, nelle grandi occasioni, è sempre più appannaggio esclusivo della prassi filologica. Rispetto a tali gruppi e interpretazioni, oltre alla bellezza e alla ricchezza di suono, va rilevata però anche una non ottimale flessibilità agli stimoli del podio, quando vi sono, ed una certa sovraesposizione delle voci femminili (almeno dal lato destro della platea). Simile discorso andrebbe fatto per l’Orchestra Filarmonica dell’Opera italiana, che abbiamo sentito più a proprio agio (e non è un caso che ciò sia enunciato già nel nome) in altre occasioni teatral-musicali e qui invece schierata sul palcoscenico esponendosi per necessità alla vulnerabilità di repertorio e forma. Gli orchestrali infatti non sempre hanno risposto con l’ampiezza dinamica suggerita o richiesta dal maestro Carlo Montanaro, che è stato prodigo di indicazioni ma che forse non ha goduto di un numero sufficiente di prove o, alla terza replica in programma, di un’intesa non eccellente con strumenti e coro: così l’iniziale mottetto Ave verum corpus KV618 per coro, archi e organo, dopo un attacco un po’ sfasato tra voci e strumenti, scorre via in una correttezza generica e un po’ freddina, che non decolla oltre alla propria funzione effettiva di rodaggio dei motori. Le cose vanno un po’ meglio per il leggendario Requiem in re minore per soli, coro e orchestra (nel tradizionale completamento di Sussmayr con le orchestrazioni degli allievi Freystaedtler e Eybler, tutti allievi di Mozart). Il direttore, conscio di disporre di organici tardo-romantici e moderni ma non ignaro delle necessità esecutive di una pagina di fine Settecento, opta generalmente per tempi mossi ma sensati e mai frenetici, e per un contenimento del vibrato negli archi (trenta in totale, più i fiati a due). Il risultato anche in questo caso è una lettura onesta ed equilibrata ma non memorabile se non per i passi rischiarati qua e là dall’apporto personale dei solisti, voci di primo livello nel panorama lirico ed eccezionalmente impiegate in questo Mozart sacro. È il caso di Michele Pertusi, basso adorato da platee di tutto il mondo, che fraseggia con sensibilità, eleganza e gusto indiscutibili, mentre il tenore Luciano Ganci, finalmente in forma splendida, è qui un po’ meno sfumato del collega ma solido e sicuro nella resa vocale di una tessitura non semplice né suo pane quotidiano. Più appannata nel quartetto degli illustri colleghi è il contralto Veta Pilipenko, corretta ma anche un po’ generica né solidissima d’emissione. Jessica Pratt, ovunque sensibile e misurata, svetta all’inizio e alla fine del Requiem dove è lasciata sola ad invocare pace: lontana dagli sforzi virtuosistici del Belcanto, trova accenti toccanti nell’intimo della preghiera che ne confermano la statura di grande artista. Guardando attentamente i quattro soli, si può infine notare quell’ingrediente segreto, quell’apporto di passione che non si può insegnare: infatti anche quando non sono chiamati alle proprie pagine solistiche, a fior di labbra seguono e cantano tra sé le linee di canto del coro. Sembrerà un particolare non rilevante ma non è cosa non scontata fare musica assieme, in questa ed altre occasioni. Al termine successo caloroso per tutti, con punte di grato entusiasmo per soli e coro. Le repliche di questa monografica mozartiana sono state dedicate al maestro Peter Maag nel centenario della nascita.
