Martina Franca, 45a edizione del Festival della Valle d’Itria 2019: “L’ammalato immaginario” & “La vedova ingegnosa”

Martina Franca, 45a edizione del Festival della Valle d’Itria 2019, Opere in Masseria, Masseria Palesi
L’AMMALATO IMMAGINARIO”
Intermezzi per musica, libretto di Antonio Salvi

Musica Leonardo Vinci
Edizione critica a cura di Gaetano Pitarresi (Edizioni ETS)

LA VEDOVA INGEGNOSA”
Intermezzi per musica, libretto di Tommaso Mariani

Musica Giuseppe Sellitti
Edizione critica a cura di Marilena Laterza (Edizioni ETS)
Errighetta/Drusilla LAVINIA BINI

Don Chilone/Strabone BRUNO TADDIA
Cappella Musicale Santa Teresa dei Maschi
Direttore e cembalo Sabino Manzo
Regia Davide Gasparro
Scene e costumi Maria Paola Di Francesco
Light designer Manuel Frenda 
Martina Franca, 25 luglio 2019
Tra le più recenti novità del Festival della Valle d’Itria si staglia “Opera in masseria”, un progetto mirato a decentrare il festival disseminandolo nelle masserie storiche del territorio circostante e dei comuni limitrofi. Per la 45a edizione, le masserie interessate sono diventate ben cinque e, nonostante il disagio di suonare all’aperto in contesti ambientali e acustici diversi ogni sera, il nuovo format è molto piaciuto al pubblico che ha avuto modo di conoscere paesaggi e architetture di raro fascino. Dopo lo Scarlatti del Trionfo dell’onore allestito nella scorsa edizione, quest’anno la proposta del titolo ha privilegiato il mondo dell’intermezzo comico, in linea con il concept del festival che si concentra sul rapporto tra Napoli e l’Europa nel secolo d’oro dell’operismo italiano: il Settecento. I titoli originali degli intermezzi all’epoca erano composti dai nomi dei due cantanti coinvolti; Erighetta e Don Chilone nel caso degli intermezzi all’opera seria L’Erenelinda di Leonardo Vinci (Napoli, Teatro di S.Bartolomeo, 4 novembre 1726), e Drusilla e Strabone che Giuseppe Sellitti compose per il Demofoonte di Leonardo Leo (teatro di S.Bartolomeo 20 gennaio 1735). Più accattivanti i titoli scelti per queste riprese (Il malato immaginario, La vedova ingegnosa)che ammiccano al teatro di Moliére, fonte di ispirazione e base di partenza per i librettisti italiani di primo Settecento. L’idea vincente è stata quella di fondere insieme i due intermezzi, tra loro connessi dal tema della malattia immaginaria, per dar vita a una sorta di opera buffa costruita per moduli doubleface, attraverso situazioni doppie in cui il soprano e il basso giocano a scambiarsi le parti. Nel primo intermezzo Errighetta riesce a farsi sposare da don Chilone che però alla fine dell’operina vien fatto morire sulla scena; ecco allora che Errgihetta diventa vedova (sostituendo così la parte primigenia di Drusilla nella Vedova ingegnosa) alle prese con la ricerca di un nuovo marito. Il giovanissimo regista Davide Gasparro ha saputo gestire queste combinazioni multiple di situazioni comiche senza eccedere nelle spinte centrifughe e dispersive che avrebbero potuto creare le gag delle controscene. La compattezza e l’unitarietà drammaturgica sono state, infatti, le parole chiave di uno spettacolo pulito e al tempo stesso spassosissimo. La scelta, ben chiarita nelle ottime note di regia, di rifarsi al mondo circense esplicita il senso del grande letto a baldacchino che troneggia sul lato destro dello spazio scenico: lo spazio dell’intimità, ma anche dell’abbandono ipocondriaco, diventa il carrozzone d’un circo itinerante (come itinerante per davvero è stata questa produzione ospitata in cinque masserie) e ben si presta con rapidi tocchi a diventare anche un ring per la sfida tra i due personaggi della Vedova ingegnosa immersi in un vortice di travestimenti. Pochi gli oggetti allusivi al tema centrale delle due operine, la malattia, presenti nelle scene di Maria Paola di Francesco: il simbolo della croce rossa illuminato da led, sulla sinistra, e un cuscino-gorgiera che sembra attanagliare il nuovo Arpagon nel suo delirio ipocondriaco. I costumi, sempre ideati dalla di Francesco, richiamavano i clown di Aspettando Godot e invitavano l’uditorio a connettere le dinamiche degli intermezzi settecenteschi allo straniamento del teatro dell’assurdo.La comicità garbata eletta dal regista a cifra distintiva dello spettacolo ha contrassegnato anche la prova dei due cantanti. Il soprano Lavinia Bini e il baritono Bruno Taddia, hanno saputo riattivare l’arte comica dei primi interpreti degli intermezzi napoletani: Laura Monti e Celeste Resse, le due prime buffe che facevano coppia con Gioacchino Corrado, eccezionale mattatore della scena partenopea. Perfetta la dizione dei recitativi, divertente ma mai caricata la gestualità. Vocalmente la Bini sfoggia ricchezza di armonici, rotondità di suono e uniformità di registro. Taddia padroneggia sia i segmenti a canto spiegato, sia i rapidi scioglilingua in sillabato previsti dalla sua parte; declama il testo con chiarezza esemplare esibendo doti attoriali straordinarie.Squisita la performance dell’ensemble barocco Cappella Musicale Santa Teresa dei Maschi diretta al cembalo da Sabino Manzo, una delle realtà più importanti nel panorama pugliese della musica barocca. Ricchissima la realizzazione del continuo, implementata dalla tiorba e dalla chitarra battente di Luca Tarantino, e punteggiata da gustosi ammiccamenti (il più spassoso quello che citava l’inizio dell’aria di Serpina Stizzoso mio stizzoso prendendo spunto da uno stralcio del libretto identico al testo della Serva padrona «qui vi cadde l’asino»). Perfetti gli stacchi di tempo, il fraseggio e gli attacchi ai cantanti (non facilitati dalla posizione laterale dell’orchestra, ubicata a sinistra del cortile). Ottima l’accoglienza di un pubblico numerosissimo e divertito. Si replica il 27 luglio e il 1 agosto. Foto Clarissa Lapolla