Arena di Verona Opera Festival 2019: “Carmina Burana”


97° Verona, Arena Opera Festival 2019
Orchestra e coro dell’Arena di Verona
Coro voci bianche A.Li.Ve. e A.d’A.Mus
Direttore Ezio Bosso
Maestro del Coro Vito Lombardi
Voci bianche dirette da Paolo Facincani, Marco Tonini
Luci Paolo Mazzon
Soprano Ruth Iniesta
Controtenore Raffaele Pè
Baritono  Mario Cassi
Carl Orff: “Carmina Burana” Cantiones profanae dal Monastero Beneditktbeurn per soli, coro e strumenti.

Verona, 11 agosto 2019
Accolto da calorosissimi applausi, il Maestro Ezio Bosso fa il suo debutto in Arena, anche stavolta gremita di spettatori, alla guida di un’immensa compagine per l’esecuzione di uno dei pezzi più pop del repertorio classico: i Carmina Burana di Carl Orff. Grande, grandissima è stata l’aspettativa per questo artista, noto al grande pubblico anche per le sue presenze televisive, che in sede di conferenza stampa aveva ricevuto i più entusiastici apprezzamenti della Sovrintendenza (Gasdia lo ha paragonato nientepopodimeno che al leggendario Kleiber, del quale avrebbe in comune il gesto) e dei solisti (chi più chi meno, tutti si son detti debitori a Bosso di scoperte inedite nella pur consumata partitura orffiana). Apprezzato anche in sede di prove, musicisti e coristi si sono sentiti talmente smossi dalla comfort zone del “già fatto” da andare a ringraziare personalmente il maestro. In effetti, Bosso è un uomo che quando parla lo fa per sovrabbondanza del cuore, e per il quale far musica risponde all’urgente bisogno di dire ciò che si è e di condividerlo assieme a più persone possibili. Entrando nel merito dell’esecuzione, diciamo che fare centro con i Carmina è semplice. Non certo perché il brano sia facile (la facilità è suprema sofisticazione, diceva Leonardo, e la ricerca di Orff di una veste sonora che esaltasse quei testi antichi è materia degna di appassionati studi), ma perché è musica intrinsecamente d’effetto, magniloquente ma mai retorica, antica e moderna assieme, classica e rock, sensuale e quindi avvincente, un pezzo di nudo marmo strappato alla natura in un sol colpo grezzo, maschio e bello. Inoltre, questa cantata scenica ha un che di fatale, nei ritmi e nelle parole, che si sposa perfettamente con la metafisica bellezza dell’anfiteatro scaligero. E al contempo, essa tocca una bella varietà d’affetti, dai tragici clamori iniziali, feroci come bestemmie lanciate alla stupidità del Caso, all’estrema tenerezza dell’incontro amoroso, riscatto d’ogni miseria esistenziale, passando per l’ingenua gioia per il risveglio della primavera e il vernacolo da infima osteria. Insomma, con un menu simile, difficile fare flop. Partiamo dal coro (adulto) preparato dal Maestro Vito Lombardi: in quanto a generosità di suono, si sa, la compagine scaligera non ha da invidiare nessuno. I suoi forti sono un’esibizione muscolare appropriata per i Carmina. A questo merito va aggiunto un bel lavoro di scavo sulla pronuncia: di fronte a testi tanto pregni di rudimentale saggezza, una marcata articolazione, anche esasperata ove necessario, ne ha valorizzato il dramma e aumentato la forza espressiva. Quanto alle sfumature, abbiamo ascoltato dei bei diminuendi e delle terrazze dinamiche abbastanza differenziate. Dall’altra parte, la tendenza a privilegiare lo staccato al legato, come talvolta si fa quando si ha a che fare l’estetica antica (o anticheggiante, nel caso specifico) ha impoverito secondo noi l’esecuzione di una certa eleganza. La performance, insomma, è stata nel complesso corretta e dettagliata, unica pecca certi passaggi, acuti e quasi scoperti, delle voci femminili: lì, il passo dalla Venere di Botticelli a quella di Botero è stato breve. Quanto alla vocalità in generale, non ci si può aspettare che il coro dell’Arena imiti quella tipica dei cori nordeuropei, talvolta così omogenei da risultare anonimi. Tuttavia ci auguriamo che possa attingere qualcosa anche da quelli, e di progredire ancora nella ricerca di panorami sonori inediti, di una sonorità all’occorrenza meno sanguigna e più scultorea. Certe pagine dei Carmina, e non solo, ne acquisterebbero sicuramente. Anche i due cori dei bambini impegnati nell’esecuzione, A.d’A.Mus e A.LI.VE., seppur penalizzati da un’amplificazione non perfettamente bilanciata, hanno affrontato con merito le pagine loro affidate, per l’onore dei rispettivi maestri, Marco Tonini e Paolo Facincani. I solisti si sono distinti per timbri belli e per una profonda ricerca espressiva, aderente ai significati del testo. Il baritono Mario Cassi, esperto interprete dei Carmina, ha cantato con emissione sensuale, mai forzata e con ottimo fraseggio. Buone le agilità di stampo monteverediano, risolti bene anche se non in maniera avvincente i passaggi di falsetto. L’amplificazione ha giocato qualche strano gioco anche a lui: in alcuni passaggi gravi non lo abbiamo sentito, colpa anche di un’orchestra sopra le righe.  Il controtenore Raffaele Pe (la cui presenza in partitura testimonia di nuovo la ricerca filologica e l’amore per l’antico di Orff) dalla voce limpida e potente, ha interpretato squisitamente, senza eccessi e con nobiltà lagrimevole la pagina metaforica del cigno che, messo ad arrostire, si lagna della sua sorte (magnifica parodia del canto del cigno, topos già immortalato nel repertorio madrigalistico). Il soprano Ruth Iniesta, dalla vocalità lucente e fresca, ci ha incantati nelle pagine d’indole amorosa, conducendoci delicatamente nei recessi più intimi di quest’opera, tra sonorità fragranti e soffuse. Gli acuti sono stati corretti e intonati, seppur caratterizzati da una certa tensione. Il Maestro Bosso ha tenuto le fila dell’orchestra con indubitabile verve ed enfasi. Spesso gli attacchi più energici, compreso il primo, sono stati anticipati da un verso ben udibile: qualcosa a metà tra il gemito del discobolo e quello della partoriente. Il gesto è espressivo, sì, urgente e plateale come la genuina personalità del suo autore, ma non pittoricamente dettagliato come quello di quel gigante citato dalla Gasdia. Molte le chiusure improvvise e brutali, di sicuro effetto, ma talvolta così repentine da non dare il tempo alle voci di mettere in buca il suono, come uno che strappi il foglio dalla mano di chi sta mettendo il punto. Abbiamo apprezzato molto il riguardo della bacchetta di Bosso per le voci e la scelta dei tempi complessivamente centrata. L’orchestra salda, lucida e spigliata, ha risposto abbastanza bene alle richieste di questo esuberante direttore, che salito sul podio si sbraccia come a voler salutare ogni musicista e abbraccia la spalla, e al termine del concerto impugna il microfono per dire che quella fortuna, tanto esecrata nei Carmina, volge per lui dalla parte giusta, tanto da confermarlo ospite del prossimo festival per l’esecuzione della Sinfonia corale di Beethoven. Applausi scroscianti e standing ovation, per lo meno in platea, per l’esecuzione, resa ancora più grandiosa dal disegno luci (firmato da Paolo Mazzon) e dalle immense torce accese a tempo di musica nel coro finale. Ed ovviamente per il direttore, che è testimone vivente di come nemmeno le condizioni più proibitive possono fermare l’energia irriducibile e creativa della musica e della vita, che scorre nelle vene di un uomo. Foto Ennevi per Fondazione Arena