Bayreuther Festspiele 2019: “Tristan und Isolde”

Katharina Wagner accetta la sfida registica. I protagonisti segnati dal destino devono errare nell’oscurità tra scale labirintiche e spazi privi d’ossigeno
Bayreuther Festspiele 2019
TRISTAN UN ISOLDE”
Dramma in tre atti, libretto e musica di Richard Wagner
Tristan STEFAN VINKE
Re Marke GEORG ZEPPENFELD
Isolde PETRA LANG
Kurnewal GREER GRIMSLEY
Melot RAIMUND NOLTE
Brangäne CHRISTA MAYER
Un pastore TANSEL AKZEYBEK
Un timoniere KAY STIEFERMANN
Un giovane marinaio TANSEL AKZEYBEK
Orchestra e Coro del Bayreuther Festspiele
Direttore Christian Thielemann
Maestro del Coro Eberhard Friedrich
Regia Katharina Wagner
Scenografia Frank Philipp Schlößmann, Matthias Lippert
Costumi Thomas Kaiser
Drammaturgia Daniel Weber
Luci Reinhard Traub
Bayreuth, 16 agosto 2019
Oh scendi quaggiù, notte dell’amore! Dona l’oblio, sì ch’io viva; accoglimi nel tuo grembo, liberami dal mondo! Così, nella versificazione italiana di Olimpio Cescatti, inizia uno dei più famosi duetti d’amore d’opera di tutti i tempi: il canto che sembra non finire mai tra Tristan e Isolde. La coppia per antonomasia (non funziona altrettanto bene se diciamo Mario e Tosca o Radamès e Aida) sono intrisi di amore proibito e basta questo a muovere la vicenda perché l’azione – la sottomissione dell’ Irlanda, l’omicidio di Morold – è già, di fatto, avvenuta. E’ questa un’opera intrisa di veleno, dove il filtro d’amore non è che tra i più leggeri: Wagner stesso si compiaceva di sperare in esecuzioni mediocri del suo titolo ( Richard und Mathilde Wesendonk, chissà, è assai probabile) perché le buone esecuzioni avrebbero potuto far impazzire la gente. Così scriveva, così credeva. Così crediamo ancora, ogni volta che si alza il sipario sulla musica, l’ accordo, appunto del Tristano.Wahnsinn, pazzia, Liebe, amore, Tod, morte. Sono le parole chiave che aprono le porte del mistero, della suggestione e ce ne rendono partecipi, ne alimentano il soffio vitale: “la totalità del respiro in movimento del mondo”. Ma è desiderio inappagato, i flutti dell’eros si confondono con i flutti del mare e soffocano dei flutti di sangue che sgorgano da una ferita inguaribile. E’ Katharina Wagner, con un cognome così la responsabilità è sempre quadrupla, che accetta la sfida registica, proponendo una lettura asciutta, a tratti dissociata, per non dire ischemica, che si affida all’oscurità: il potere dello sguardo è potere della mente. Al buio gli occhi non vedono se non ciò che sanno riconoscere. I personaggi sono intrappolati ai loro destini e percorrono asfitticamente – senza ossigeno- quel labirinto di scale che ricorda le immagini di Escher e i ponti metallici sospesi – la serie dei sedici pannelli delle Carceri di Invenzione del Piranesi, ne è direttissima ispirazione – che gli scenografi Frank Philipp Schlößmann e Matthias Lippert costruiscono. Tre Wunderkammern spoglie, una per ogni atto, sono le plumbee prigioni con tanto di portabiciclette, artigli metallici retratti, proiettori sbilenchi che sottolineano la negazione del tempo (anche drammaturgico) e lo squadernamento dello spazio: è inganno prospettico, le esatte proporzioni solo alterate dalla lente del deforme. I costumi di Thomas Kaiser assecondano questa impostazione disforica, non particolarmente coinvolgente sul piano dell’abbandono emotivo, lavorando per cromotipia prevedibile: Tristano e Isolde indossano il blu, del mare, che li descrive come esseri intenti ad attraversare, odissiacamente, i confini proibiti. Brangäne e Kurwenal sono vestiti di verde, facilmente riconoscibili come figure terrene. Marke – che non ha mai nulla di compassionevole in questa regìa, anzi – e Melot appaiono in giallo-beige, acidi, a sottolinearne il carattere invidioso e sgradevole. La forza della produzione, piace dirlo, è venuta dal versante prettamente musicale. A cominciare dall’Orchestra davvero magnifica del Festspielhaus, e dal Direttore, un Christian Thielemann in stato di grazia. Siamo davvero di fronte ad un musicista completo, che ha negli anni affinato l’intuito e la capacità artigianale di fare musica e di incarnare pienamente l’ intuizione wagneriana di suono e parola: per meglio dire, parola sul suono e suono sulla parola, in un abbraccio espressivo unico, mistico, invincibile. La compagnia di canto rispondeva a questa perfezione non in maniera del tutto uniforme.  Il tenore Stefan Vinke , Tristan, ha offerto una prova superlativa, dimostrando di essere un meraviglioso Helden-tenor. Vinke padroneggia perfettamente il ruolo e, dettaglio per nulla trascurabile, vive nota per nota la parte. Il fraseggio è pressoché perfetto e non lascia insoddisfatto alcun desiderio, la presenza scenica ragguardevole: gli slanci, le effusioni, i deliri, la passione di vita, gli stralci di una umanità dolente e contorta sono perfettamente a fuoco e arricchiscono, nel terzo atto, il personaggio di Tristan di una luce cristologica, salvifica. E’ sacrificio di amore il suo, che implica una redenzione per chi muore (Isolde, Melot) e chi resta (Kurwenal,Brangana, Marke).Se il Tristan di Vinke ha entusiasmato, la Isolde di Petra Lang delude pienamente: a fronte di una vocalità interessante, si è assistito ad un progressivo annacquamento del mezzo vocale, un inarrestabile indebolirsi di forza e nitore vocale. Fiati corti, troppe le note fisse, stanche. Sopravvive il fraseggio, ma boccheggia il suono. Inesorabilmente la Lang manca l’appuntamento cruciale del “Liebestod”. Assai bene Georg Zeppenfeld, possente Re Marke che emana forza (anche vocale) e carisma scenico straordinari e Christa Mayer nei panni della confidente Brangäne: timbro scuro, tecnica saldissima ed eccellente fraseggio. Bravissimo scenicamente, ma assai più vocalmente, il baritono Greer Grimsley nel ruolo Kurwenal. Vitale e possente è Grimsley un baritono wagneriano di razza. Raimund Nolte è riuscito a creare bene l’immagine dell’intrigante Melot, forse un poco sovradimensionandolo, a causa di un timbro baritonale veramente tanto scuro. Bene nelle parti scoperte (e insidiosissime) del marinaio e del pastore rispettivamente i tenori Tansel Akzeybek e Kay Stiefermann. Foto Enrico Nawrath