Pesaro, Rossini Opera Festival 2019: “L’equivoco stravagante”

Pesaro, Vitrifrigo Arena, Rossini Opera Festival 2019, XL Edizione
“L’EQUIVOCO STRAVAGANTE”
Dramma giocoso in due atti di Gaetano Gasbarri
Musica Gioachino Rossini
Edizione critica Fondazione Rossini/Casa Ricordi a cura di Marco Beghelli e Stefano Piana
Ernestina TERESA IERVOLINO
Gamberotto PAOLO BORDOGNA
Buralicchio DAVIDE LUCIANO
Ermanno PAVEL KOLGATIN
Rosalia CLAUDIA MUSCHIO
Frontino MANUEL AMATI
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso
Direttore Carlo Rizzi
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Moshe Leiser, Patrice Caurier
Scene Christian Fenouillat
Costumi Agostino Cavalca
Luci Christophe Forey
Nuova produzione ROF
Pesaro, 22 agosto 2019
Il trittico operistico del ROF 2019 si completa con L’equivoco stravagante, un dramma giocoso rappresentato al Teatro del Corso di Bologna il 26 ottobre 1811. Tanti particolari sono necessari a comprendere la vicenda – davvero equivoca – di quest’opera di un Rossini diciannovenne, ritenuta all’epoca così scandalosa nella trama e scurrile nel libretto di Gaetano Gasbarri da essere proibita dalla censura dopo le prime tre recite. Poco più di un anno separa la composizione di Demetrio e Polibio da quella dell’Equivoco, ma a chi ascolta la concertazione di Carlo Rizzi sembrano addirittura trascorsi lustri, tanto ricca è la gamma di colori, ritmi frenetici, melodie irresistibili che la partitura rivela: merito del direttore che deriva dalla sua annosa esperienza con Rossini, al ROF e in tutto il mondo, e che sa trasmettere all’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, per il terzo anno consecutivo principale compagine del ROF (e ogni volta più duttile nel plasmare il suono rossiniano). Nell’opera comica è determinante quello che un tempo si definiva “temperamento” degli interpreti. Teresa Iervolino, nel ruolo protagonistico di Ernestina, riassume tutta la verve, lo spirito e la malizia richiesti dalla fanciulla «che affetta letteratura», giusta la didascalia di Gasbarri. La sua tessitura, per di più, è caratterizzata da grande estensione, giacché rispecchia le eccezionali doti della primadonna per cui fu scritta, Marietta Marcolini, mentre la recitazione richiede una posa “filosofica”. La Iervolino può tutto, e al meglio: affascina con un timbro caldo e avvolgente; delizia per i modi pretenziosi con cui articola i recitativi eruditi («Son letterata seria, e tanto basta», II ix); elettrizza addirittura il pubblico con il rondò del II atto «Se per te lieta ritorno», trasfigurandolo quasi nel finale di Cenerentola. In più, il mezzosoprano appoggia le note basse su di un’emissione al tempo stesso ferma e ricca di armonici, che conferisce alla sua voce ulteriore elemento di originalità. Il tenore russo Pavel Kolgatin, debuttante al ROF, è un Ermanno dal timbro chiaro e delicato, come si addice all’amoroso di un’opera comica, con buona tecnica (a parte qualche piccola acerbità o sospensione dell’intonazione), ma forse non ancora abbastanza espressivo nelle arie di disperazione (come «Sento da mille furie» del II atto); più convincente nel lirismo dell’aria finale «D’un tenero ardore», anche se si percepisce una certa stanchezza nel dosaggio dei fiati. Paolo Bordogna si conferma basso-baritono buffo adattissimo per un ruolo come quello di Gamberotto, l’impacciato padre di Ernestina: nel corso degli anni ha molto affinato la sua linea di canto (è al ROF dal 2005), raggiungendo un’emissione omogenea dotata di un timbro inconfondibile; quale attore, poi, è divertente e sapido, senza mai esagerare. L’altro carattere comico è quello di Buralicchio, interpretato molto bene dal baritono Davide Luciano (che fu Figaro nel Barbiere della edizione 2018), convincente sia nell’approccio vocale sia nell’interazione attoriale con gli altri personaggi. Fresca e spontanea la Rosalia di Claudia Muschio, e corretto, anche se a volte la voce si smarrisce nell’enorme spazio della Vitrifrigo Arena, il Frontino di Manuel Amati: entrambi allievi dell’Accademia Rossiniana. I numeri d’insieme, anche grazie alla serrata concertazione di Rizzi, sono particolarmente godibili, come il quartetto del I atto o il quintetto del II, al pari dei momenti in cui interviene il Coro del Teatro Ventidio Basso, istruito da Giovanni Farina. Anche nell’Equivoco – come si è già osservato per Semiramide – si fa strada il gusto del travestimento; non solo verbale, giacché alla fine del libretto Ernestina si traveste effettivamente da soldato per fuggire dal carcere. Se si tiene conto che la prima interprete era celebre anche perché amava molto figurare en travesti, occorre osservare che la regia di Moshe Leiser e Patrice Caurier ha perduto un’occasione di aderenza storica che sarebbe stata sicuramente felice; i costumi e le posture pensati per Ernestina risultano invece del tutto prevedibili. Del resto, fino all’esagitato concertato che chiude il I atto, la regia è inesistente: la scena unica rappresenta l’interno della casa di Gamberotto, tutta rivestita di carta da parati e con una finestra aperta sulla campagna e i suoi animali. Nel II atto la sequenza dei movimenti obbliga a un po’ d’inventiva in più, anche se i registi, anziché lavorare sui singoli caratteri, prediligono la preparazione di tableaux in cui personaggi e coro si concentrino in blocchi spassosi, pronti per uno scatto fotografico (in effetti, sono molto curate le luci, calde e avvolgenti, di Christophe Forey). E la grassoccia comicità dei continui doppi sensi del libretto? I nasi posticci, le maschere e i baffoni voluti dai due registi valgono quanto un innocuo balbettio … L’esito autentico è affidato ai cantanti e alla loro immedesimazione; e a giudicare dal gran divertimento del pubblico, che non trattiene risate e non lesina applausi, non c’è bisogno di altro perché la parola comica produca il suo dirompente effetto.   Foto ROF © Studio Amati Bacciardi