Bayreuther Festspiele 2019: “Tannhäuser”

Questo è lo slogan di Tobias Kratzer “Frei im Wollen, frei im Thun, frei im Genießen” leitmotiv della sua regia
Bayreuther Festspiele 2019
“TANNHÄUSER”
Opera romantica in tre atti, musica e libretto di Richard Wagner 
Landgraf Hermann STEPHEN MILLIG
Tannhäuser STEPHEN GOULD
Wolfram von Eschennach MARKUS EICHE
Walther der Vogelweide DANIEL BEHLE
Biterolf KAY STIEFERMANN
Heinrich der Schreiber JORGE RODRÍGUEZ-NORTON
Reimar von Zweiter WILHELM SCHWINGHAMMER
Elisabeth LISE DAVIDSEN
Venus ELENA ZHIDKOVA
Ein jungerHirt KATHARINA KONRADI
Le Gateau Chocolat LE GATEAU CHOCOLAT
Oskar MANNI LAUDENBACH
Orchestra e Coro del Bayreuther Festspiele
Direttore Valery Gergiev
Maestro del Coro Eberhard Friedrich
Regia Tobias Kratzer
Scene e Costumi Rainer Sellmeier
Luci Reinhard Traub
Video Manuel Braun
Drammaturgia Konrad Kuhn
Nuova produzione
Bayreuth 17, agosto 2019
Il Festival di quest’anno ha aperto con una nuova produzione di Tannhäuser (secondo la Ur-version, quella di Dresda) affidata al giovane regista tedesco Tobias Kratzer, che debutta a Bayreuth, dopo una sola esperienza con Tannhäuser nel 2011. Ragazzo provocatorio e irriverente, per molti aspetti anche nei confronti dello stesso Wagner e nei confronti di quello che questo nome implica, come egli stesso ha dichiarato nella conferenza stampa, accoglie il pubblico della prémiére con uno striscione appeso fuori della Festspielehaus che riporta come uno slogan la frase “Frei im Wollen, frei im Thun, frei im Genießen” “Liberi di volere, liberi di fare, liberi di gustare”. Sembra un manifesto alla sua stessa poetica registica ma in realtà è un motto dello stesso Wagner, tratto da “Arte e Rivoluzione”, un saggio scritto nel 1849, in pieno periodo anarchico. La frase ritorna, come un monito, anche in palcoscenico, sui volantini dei circensi sgangherati di Brema (noi con Pagliacci ci saremmo accontentati di un generico “Un grande spettacolo a ventitré ore…!”):  Venus/Tannhäuser come Nedda/Canio: biondissima lei, pagliaccio/clown lui. Mi è venuta in mente in alcuni momenti la compagnia di zingari della Carmen di Beito, per quanto la storia inizi (decisivo il supporto delle videoproiezioni di Manuel Braun) con una veduta aerea del castello di Wartburg: un volo di un drone sui boschi della Turingia. Appare il vecchio furgoncino Citroën, circo ambulante in tour è un gruppo piuttosto variopinto e stravagante di disgraziati. Accanto ai due protagonisti troviamo a bordo due personaggi aggiunti per questa nuova edizione del 2019 e la drag queen anglo-nigeriana La Gateau Chocolat e Oskar un tipo basso con tamburo interpretato da Manni Laudenbach. Sono i disadattati di Almodovar, creativi, ma se capita anche criminali e violenti: quando il furto di Venere viene scoperto al Burger King, lei investe nella fuga un poliziotto che intralcia la strada, uccidendolo. In verità Tannhäuser non vuole più questa vita. Dopo tutto, era stato un artista serio, persino un tenore wagneriano. Abbandona Venere e il gruppo. Il coro entra in scena come se fosse il pubblico che si incammina verso il Festspielhaus, nel fondo vediamo l’esatta copia del teatro, le persone che lo precedono lo condurranno sul Grünen Hügel. Tannhäuser incontra i suoi colleghi cantanti che lo convincono di tornare alla cultura ‘alta’. Colpo di scena: un secondo atto che è una citazione del Tannhäuser classico di di Wolfgang Wagner, grazie a Rainer Sellmaier, che cura scene e costumi. Con tanto di backstage: è lì che Venere con il suo strano entourage cerca Tannhäuser. È questa una virtuosa auto-parodia? Il terzo atto, senza video, mostra il lato peggiore del fallimento: il nano Oskar che evacua, Wolfram ed Elisabeth aspettano nella discarica popolata dai perdenti della nostra società. La figura di Elisabetta, delusa dalla sua speranza per Tannhäuser, si getta prima tra le braccia di Wolfram e consuma un amplesso e poi si taglia i polsi. Il direttore d’orchestra Valery Gergiev, anche lui al suo debutto a Bayreuth, è stato sopraffatto dalla particolare e difficile acustica del Festspielhaus e si mantiene più che prudente. Dopo una ouverture apprezzabile, le idee musicali sono passate in seconda linea, in ragione delle esigenze pratiche di insieme nel peculiarissimo rapporto buca/palcoscenico. Non funzionano molti momenti con il coro, il suono dell’orchestra spesso arriva in differita rispetto al canto dei solisti. Si sa: non è un palcoscenico facile, dove anche l‘anticipo del gesto può creare problemi assai vistosi. Troppo poco tempo per le prove, troppo poco feeling con la compagine orchestrale. Il pubblico fischia ed anche sonoramente. Forse ci si aspettava di più. Speriamo in una occasione migliore, anche se il versante musicale è di gran lunga vincente rispetto a quello registico. A cominciare da Stephen Gould che è un solido Tannhäuser dalle corde vocali indistruttibili sostenute naturalmente da una tecnica eccellente. Ma non è una sorpresa questa. Certamente Gould non si lascia prendere dal gioco registico di Kratzer, e si vede, piuttosto sembra subirlo. Lise Davidsen è salutata come una nuova stella del canto wagneriano: ha senza dubbio un grandissimo talento e una voce che sa usare alla perfezione ma non è Elizabeth, è lontana, quasi assente Forse anche lei paga un prezzotroppo alto alla regia di Kratzer. Come sostituta della Gubanova infortunata, ha colpito Elena Zhidkova nella parte di Venere, una grande voce: diverte l’ eccesso e la provocazione ma manca quasi del tutto la sensualità comunque implicita al personaggio. Il baritono Markus Eiche ha cantato un Wolfram nobile nel fraseggio trattenuto nel sentimento. È piaciuto Daniel Behle, che offre un Walther von der Vogelweide giovane e in parte spensierato: il pensiero va al compianto Botha. Bravo anche il Landgraf del basso danese Stephen Milling, dai mezzi vocali davvero imponenti, che avevo ascoltato nell’ ultimo Tristan diretto da Mehta al San Carlo. Piace citare il pastore di Katharina Konradi, il cui canto a voce sola ci ha colpiti perintonazione e nitore. Foto Enrico Nawrath