Verona, il Settembre dell’Accademia 2019: Christian Zacharias e la English Chamber Orchestra

Verona, Teatro Filarmonico, Accademia Filarmonica di Verona, XXVIII Settembre dell’Accademia
English Chamber Orchestra
Direttore e pianoforte Christian Zacharias
Franz Joseph Haydn: Sinfonia N. 74 in mi bemolle maggiore Hob.I:74
Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in sol maggiore Op. 58
Wolfgang Amadeus Mozart: Sinfonia N. 40 in sol minore K550  Verona, 24 settembre 2019
Christian Zacharias, solista di fama internazionale ed esperto del repertorio classico in senso stretto, conduce con modestia di gesti ma chirurgica precisione la English Chamber Orchestra. Vedendolo all’opera sembra di osservare un orologiaio, che olia con perizia ogni piccolo componente della sua creatura. Ecco, più che dirigere Zacharias vigila, perché la macchina orchestrale segua il cammino prescritto sullo spartito senza intoppi, e la sensazione che se ne ricava all’ascolto è di una lettura molto onesta, un’esecuzione trasparente ed una resa facile, ma poco emozionante.
Il programma vede riuniti i tre esponenti della cosiddetta Scuola di Vienna. La loro musica è classica per definizione: è a suo agio nella forma, amante della simmetria e delle proporzioni, ora in formato giocattolo nel caso di Haydn, ora titaniche per Ludwig, di olimpica grazia quelle mozartiane. La scrittura, con le dovute eccezioni e differenze, è verticale: del contrappunto barocco, predecessore di questo stile, rimane ben poco, se non qualche richiamo (tenero nelle battute finali dell’Adagio di Haydn, più agguerrito nella Sinfonia n. 40), il tratto compositivo dunque si è snellito, le battute sono spoglie di artifici così da poterne ammirare la scultorea nudità. Tutto ciò però, a nostro avviso, non dovrebbe generare il frequente malinteso, che questa musica debba essere suonata senza rischi e senza sentimenti. Non c’è musica senza soggettività e non c’è spartito senza interpretazione, perciò, se non vogliamo che davvero un giorno orchestre di robot prendano il posto di quelle in carne ed ossa, perché infallibili e più intonate di quest’ultime, bisogna tornare ad essere sensuali, con tutti i pruriti filologici che questo può suscitare. In Haydn, come in Mozart, sembra che il direttore si sia voluto mantenere in uno stile di guida sicuro, tendenzialmente lento nei tempi veloci e veloce in quelli lenti. L’orchestra ha risposto con ortodossia ma senza mai dare il massimo, in termine di colore e di energia. Più accattivante è stato il Concerto di Beethoven, pagina tremendamente moderna, dal suo incipit affidato al solo pianoforte, al secondo movimento in forma di dialogo tragico tra solista e orchestra. Il pianismo di Zacharias è intimo, scevro di effetti e tendenzialmente poco sonoro, ma è di indubbia intelligenza. Il grande vantaggio dei direttori-pianisti è che dalle loro esecuzioni si evince una profonda comprensione della composizione, che talvolta sfugge ai pianisti puri e “semplici”, che scadono facilmente nell’autocompiacimento atletico. Anche in questo caso, però, ci è mancato quell’indispensabile ingrediente di spettacolarità che questo capolavoro contiene, con la sua infinita ricchezza di colori, di idee e motivi e di florescenze pianistiche. Spettacolarità che è indispensabile perché insita nel concetto stesso di concerto, lotta tra solista e orchestra. E sebbene il quarto sia il più colloquiale dei concerti per pianoforte di Beethoven, non siamo del tutto d’accordo con questa lettura epurata di qualsiasi conflitto e ridotta nel suo indice di grandiosità. La civilizzazione ha fatto sì che nei tempi moderni preferissimo un concerto sinfonico allo spettacolo cruento dei gladiatori, ma siamo ancora assetati dello stesso sangue! Stesse osservazioni potrebbero farsi per il bis pianistico che ha seguito l’esecuzione del Concerto, il rondò K485 di Mozart, anche quello, suonato dal maestro con eleganza ma senza particolare spirito. Diceva Debussy che il più grande nemico della musica è il dito mignolo destro dei pianisti virtuosi. Questo perché molti di loro avevano, ed hanno, poco riguardo per le sfumature e suonano la melodia (che si fa spesso col mignolo) sempre forte. Questo tipo cantabilità, forzata o per così dire russa, di certo non era nelle corde dell’autore del Claire de lune. Di questo difetto pare che soffrisse il primo violino di questa serata: era lui il dito mignolo della mano destra di questa orchestra, preciso come un soldato ma senza sfumature, e con la costante e fastidiosa tendenza a trattenere per le briglie quei passaggi rapidi che dovrebbero incendiare l’uditorio. La serata comunque sembra essere stata apprezzata dal pubblico e gli applausi hanno richiamato sul palco il maestro Zacharias per due volte, il quale è rimasto nella sua Vienna, corretta ma non entusiasmante, concedendo un paio di bis che non hanno aggiunto molto a quanto già detto. Foto Brenzoni