Matera, Teatro Comunale “Gerardo Guerrieri”
“LE RETOUR AU VILLAGE”
Opéra-comique pantomime et ballet in tre atti libretto di Jean-Philippe Favart
Musica di Egidio Romualdo Duni
Ninette VALERIA LA GROTTA
Colas LUCA SIMONETTI
Le Prince ANGELICA DISANTO
Dorine FRANCESCA AMOROSO
Orchestra barocca del Festival Duni
Coro del Festival Duni
Direttore al cembalo Sabino Manzo
Regia, scene e costumi Ulderico Pesce
Disegno luci, realizzazione, montaggio video e immagini Eduardo Festa, Nunzia Gargano, Mirko Macina
Coreografie Loredana Calabrese
Matera, 19 ottobre 2019
Il Festival Duni di Matera dal 1985 si adopera per riscoprire la figura artistica del massimo compositore locale Egidio Romualdo Duni, che oggi viene ricordato per aver ibridato a metà Settecento gli stili compositivi di Italia e Francia nel creare il genere dell’opéra-comique. Dopo aver riproposto in tempi recenti tre opere serie – Catone in Utica (2005), Nerone (2008), Didone abbandonata (2018) – il titolo dell’edizione 2019, che coincide con l’anno di Matera Capitale della Cultura Europea, ha voluto privilegiare proprio l’inizio di questa “creazione”: a Colorno nell’ottobre 1756 infatti, nel teatrino della filofrancese corte parmense andò in scena Le retour au village, una riduzione della commedia di Favart, Ninette à la Cour, che deliziò l’anno prima il pubblico di Parigi diventando poi un soggetto fortunatissimo fino ad Ottocento inoltrato. Coraggiosa la scelta di proporre un’opera in francese, dalla drammaturgia mista tra opera cantata, parlata e danzata, e trasmessa da un’unica fonte a stampa molto ambigua sul piano musicale. L’esito è stato dei più felici sia per l’entusiasmo col quale il cast vocale ha risposto alla sfida, sia per l’anticonvenzionalismo della regia di Ulderico Pesce, attore e uomo di teatro impegnato su fronti diametralmente opposti allo spirito primigenio di questa operina galante, degna delle pitture di Watteau.L’esile trama – la contadina Ninette fa innamorare un principe che la vuole a corte; la ragazza, promessa sposa di Colas, per mettere alla prova il fidanzato accetta di vivere questa sorta di addio al nubilato ma la noia dell’etichetta di corte presto la soffoca, inducendola a tornare alla più sana vita campestre e a unirsi definitivamente con il suo amato – se interpretata alla lettera, avrebbe comportato un ritmo teatrale allentato e una certa frammentarietà (considerata anche la natura della musica, tutta fatta di continue ariette e melodie di corto respiro). Per fortuna Ulderico Pesce vi ha immesso il suo teatro fatto di carne e sangue, di gesti forti e di provocazioni, aiutato dallo straordinario fascino dei danzatori del Balletto Lucano, qui coordinati da Loredana Calabrese cui si aggiungevano due acrobati.
Ad arricchire l’impatto visivo vi sono state poi le suggestive videoproiezioni curate da Eduardo Festa che, frammentate su diversi pannelli, alludevano agli ambienti indicati dal libretto: la campagna con un castello sullo sfondo (che in questo caso era il castello di Matera, città omaggiata anche da frammenti di documentari che ne riprendevano i Sassi quando ancora possedevano la desolazione che affascinò Pasolini), la corte, il villaggio. Netti i simboli scelti da Pesce: per la resa del colpo di fulmine del principe è bastato che Ninette gli presentasse, novella Eva, non una mela ma un fico (frutto effigiato nella chiesa rupestre materana della Madonna del fico).
La corruzione della corte, che mercifica l’uomo, è stata invece tratteggiata con chiare allusioni all’immaginario pornografico e stilizzata da un carrello di supermarket e dal colore rosso, tipico del peccato (in opposizione col candido bianco degli abiti dei paesani nel primo atto). Il disincanto finale di Ninette, la doverosa rinuncia del principe e l’amara delusione di Colas, nel terzo atto, sono state mirabilmente unite da un unico simbolo mortifero: una bara di cristallo dove Ninette, a mo’ di Biancaneve, si distendeva aspettando di essere baciata da un principe che però non avrebbe mai potuto amarla. In quella stessa teca, divenuta tino per fare il mosto, due danzatori, alter ego dei protagonisti, venivano irrorati di vino dal coro e dai ballerini segnando una sorta di rito arcaico purificatorio e liberatorio, trasbordante corporeità e sensualità, tutto in contrasto con la graziosa coppietta di Ninette e Colas che pareva ripetere le pose delle coeve figure in porcellana di Capodimonte. Giovane ma preparatissimo il cast vocale. Ninette, protagonista assoluta con una ventina di pezzi tra air, ariettes, récit, è stata magistralmente interpretata da Valeria La Grotta, ottima nella dizione in lingua, finissima nel restituire gli abbellimenti dello stile francese di medio Settecento e nel proporre fraseggi di inusitata eleganza.
Se sul piano vocale la parte di Ninette era complessa poiché copriva due intere ottave, sul piano attoriale era ancor più insidiosa, muovendosi tra vari registri espressivi (il lieto, il malinconico, il seducente, il comico) tutti resi con grande sapienza attoriale. Nel Colas di Luca Simonetti, qui alle prese con una tessitura da baritenore retta benissimo da una voce potente e calda, ha invece prevalso l’irresistibile comicità del personaggio e la verve mimica del cantante ha divertito il pubblico. Molto buona la prova di Angelica Disanto nella parte en travesti del principe, non facile specialmente per gli attacchi sulla zona acuta; brava anche Francesca Amoroso, nella parte secondaria ma gustosa, della confidente Dorine. Ottime le cinque voci (tre soprani e due baritoni) che hanno realizzato i quattro episodi corali. Ottima la concertazione al cembalo di Sabino Manzo che ha dimostrato sensibilità nel seguire la tortuosità agogica della partitura e nel dosare i delicati impasti timbrici di una partitura deliziosa, specchio di un repertorio galante francese ancora troppo poco eseguito. Foto Giovanni Marino