Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, Stagione d’Opera 2019/2020
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa tratta dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henry Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Mimì MARIA TERESA LEVA
Musetta LUCREZIA DREI
Rodolfo, poeta MATTEO DESOLE
Marcello, pittore CARLO SEO
Schaunard, musicista FELLIPE OLIVEIRA
Colline, filosofo MAHARRAM HUSEYNOV
Parpignol ROBERTO CARLI
Benoît / Alcindoro GIANLUCA LENTINI
Sergente dei doganieri PAOLO MARCHINI
Doganiere STEFANO CESCATTI
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro Lirico di Modena
Voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena incollaborazione con scuola La Carovana
Direttore Aldo Sisillo
Maestro del Coro Stefano Colò
Maestro delle Voci bianche Paolo Gattolin
Regia Leo Nucci
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Artemio Cabassi
Luci Claudio Schmid
Maestro del Coro Stefano Colò
Maestro delle Voci bianche Paolo Gattolin
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena in coproduzione con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Pergolesi Spontini, Opéra de Marseille
Modena, 11 ottobre 2019
Inaugurazione “col botto” per il Teatro Comunale di Modena: il capolavoro di Puccini garantisce il pienone di pubblico trasversale, dagli appassionati ai curiosi, dai giovanissimi locali ai melomani veterani. Tuttavia, come si avrà modo di vedere nei mesi successivi, il cartellone lirico 2019-2020 di Modena è come sempre ricchissimo e vario, mescolando titoli popolari con altre rarità e raffinatezze coprodotte, persino (era ora, visto l’andazzo generale in Italia) due puntate sull’opera contemporanea. La Bohème inaugurale è la prima di due nuove produzioni dedicate al santo patrono del Comunale e di Modena tutta, ossia Luciano Pavarotti, il tenore degli ultimi quarantanni del XX secolo, che qui fece il suo secondo Rodolfo in assoluto, neanche 28enne, ruolo che pareva cucito addosso alle sue straordinarie qualità vocali. L’operazione vedeva un nuovo allestimento di impianto iper-tradizionale e una compagnia di cantanti giovani o giovanissimi che tornerà a Piacenza e altrove. La scommessa è moderata, giacché il baritonissimo Leo Nucci (a poche ore di distanza dal trionfo parmigiano) firma la sua sesta regia d’opera con la collaborazione di Salvo Piro rispettando tutte le ragioni del canto e del libretto, stimolando il cast ad un complice divertimento e approfondimento della parola scenica, sempre però nei binari di una narrazione chiara e fedele. Il rischio è quello di vedere una Bohème simile se non identica ad altre decine, con la firma in qualche tocco originale e personale.
Per esempio, il secondo quadro si apre sul quartier latino immobile come in un’istantanea, attorno ad un albero di Natale forse un po’ anacronistico ma immediatamente d’atmosfera, mentre un’artista di strada accenna con la fisarmonica il valzer di Musetta: una scelta apparentemente peregrina che però servirà a costruire il personaggio (per inciso Lucrezia Drei, bella, brava, bel canto e gusto impeccabile) che canta a tutti il suo “Quando me n’ vo” proprio accompagnata dalla fisarmonica che diventa orchestra, con efficace effetto diegetico; del resto è il canto la virtù della mondana Musetta e lei lo insegna ai passeggeri del quadro terzo. Ma la recitazione in generale, i piccoli gesti, le reazioni, sono molto ben curate, e sotto questo aspetto l’ultimo quadro è di toccante e sincero realismo. Come lo è l’impianto scenico dell’esperto Carlo Centolavigna, con una soffitta funzionale abbellita dallo scorcio laterale del pianerottolo e da un’abbinata finestra-lucernario stupendamente realizzata (grazie anche alle ottime luci di Claudio Schmid).
Qualche particolare un po’ più ingenuo (i tetti della quinta sinistra o la prospettiva della barriera d’Enfer) sono perdonabili di fronte all’alto magistero tecnico nella realizzazione di paesaggi e luci difficili da scordare (stupenda la nevicata e la foschia in lontananza sempre alla barriera… del resto non si è stati collaboratori di Zeffirelli per nulla). Vestiti dagli efficaci e appropriati costumi di Artemio Cabassi, gli squattrinati ragazzi dell’opera, età dell’innocenza che fiorisce e svanisce, si distinguono per simpatia, spontaneità d’espressione e generale buon livello di canto: molto buoni i comprimari come Roberto Carli, Paolo Marchini, Stefano Cescatti, divertente ma misurato (cosa rara) nel doppio ruolo di Benoit e Alcindoro il basso , molto corretto e dal bel timbro il giovanissimo Colline di Maharram Huseynov accanto al disinvolto Schaunard del più esperto Fellipe Oliveira, la cui emissione e dizione, va detto, è suonata meno idiomatica del resto del cast, per esempio anche del collega Carlo Seo, festeggiatissimo come gli altri tre interpreti principali, che ad onta del nome è in realtà coreano e in Italia da soli due anni ed italianissimo sembra per ottima timbratura e pronuncia, rifinitura tecnica e proprietà di stile, insomma n ottimo Marcello.
La coppia di protagonisti era formata da Matteo Desole e Maria Teresa Leva, entrambi già lanciati da qualche anno su palcoscenici internazionali e in ruoli onerosi: di lui, dal bellissimo timbro, si rileva la cautela in pochi e celeberrimi acuti (del resto, cantare questa parte in questo luogo dovrebbe far tremare le vene ai polsi a qualsiasi tenore anche più navigato) che sono però anche un segnale per tenersi saldo in futuro al repertorio strettamente lirico; di lei si nota la maturità interpretativa e soprattutto vocale di chi è già proiettato su ruoli molto diversi dalla Mimì “delle piccole cose”; entrambi recitano molto credibilmente e conquistano i consensi del pubblico. Pur alle prese con una parte non facile, il Coro Lirico di Modena ha dimostrato di poter fare molto meglio solo pochi mesi fa (qui ha beneficiato di movimenti scenici piuttosto parchi, a scapito della vitalità del secondo quadro, generalmente statico);
vi si è aggiunto il Coro di voci bianche della Fondazione che è stato professionale quanto la controparte adulta, con una spassosa nota di merito per il piccolissimo solista che vuole “la tromba e il cavallin”. Indiscutibilmente molto buona invece la prova dell’Orchestra Filarmonica Italiana (compresa la banda di scena, che marcia in costume e a tempo) guidata con mano sicura da Aldo Sisillo, maestro che almeno a Modena non ha sbagliato un colpo e che meriterebbe maggiore considerazione dalle grandi fondazioni nazionali: la sua direzione è stata ancora una volta esemplare per la scelta dei tempi, la cura dei colori, la tenuta dell’insieme e la sensibilità con cui segue il canto. Al termine grande successo e calorosi applausi per tutti, comprese le maestranze tecniche. Foto Rolando Paolo Guerzoni
