Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, Stagione d’Opera 2019/2020
“TOSCA”
Opera in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal dramma La Tosca di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca AINHOA ARTETA
Mario Cavaradossi LUCIANO GANCI
Il Barone Scarpia DARIO SOLARI
Cesare Angelotti GIOVANI BATTISTA PARODI
il Sagrestano VALENTINO SALVINI
Spoletta RAFFAELE FEO
Sciarrone STEFANO MARCHESINI
Un Carceriere SIMONE TANSINI
Un pastore – ragazzo ISABELLA GILLI
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro Lirico di Modena
Voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena in collaborazione con scuola La Carovana
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del Coro Stefano Colò
Maestro delle Voci bianche Paolo Gattolin
Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini
Scene e Costumi William Orlandi
Luci Roberto Venturi riprese da Caroline Vandamme
Allestimento della Fondazione Teatro Regio di Parma in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione Teatri di Piacenza.
Modena, 25 ottobre 2019
Dopo l’inaugurazione con La Bohème (che ha dato il via alle iniziative di “Modena città del Belcanto” e alla produzione di nuovi allestimenti nell’ordine in cui vi debuttò Luciano Pavarotti), il Teatro Comunale di Modena propone un secondo titolo pucciniano a distanza di sole due settimane: si tratta dell’ormai nota Tosca coprodotta con Parma, che in un decennio ha già visto numerose repliche emiliane e non. L’allestimento di William Orlandi (che cura anche i costumi altrettanto semplici ma azzeccatissimi) è leggero e funzionale, in equilibrio tra un’eleganza essenziale (la grande scalinata di fondo, la parete a specchio laterale, il quadro col martirio di Pietro) e un didascalico low cost (le statue, pur ben riprodotte, su tele, la tradizionalissima tavola imbandita di Scarpia), un bianco e nero eccellentemente reso vivo e tridimensionale dalle luci di Roberto Venturi riprese da Caroline Vandamme. L’idea di Alberto Fassini realizzata dall’allievo Joseph Franconi Lee è quindi di impostazione asciutta ma pur sempre nazional-popolare, fatta per essere apprezzata dal grande pubblico ed esportata con facilità. Lo squarcio che trasforma l’abside nella processione del Te Deum è forse l’immagine più celebre (si badi che questa prospettiva esagerata è un’invenzione di Svoboda saccheggiata in una Tosca su tre) ma forse sono i tagli di luce ad essere memorabili. Come la sua regia sia mutata attraverso innumerevoli cast è possibile intuirlo, date le diverse personalità in ogni diverso palcoscenico e la certezza che ogni interprete, bene o male, faccia un po’ come gli pare appena può decidere da solo in scena.
La prima modenese vantava una locandina interessante anche se l’esito è stato lievemente inferiore alle aspettative e insomma, senza offendere nessuno, data l’alta densità di Tosche in giro (anche troppo elevata), per farne una indimenticabile ci vuole ben altro. La direzione di Matteo Beltrami pareva allinearsi sull’immediata leggibilità della messinscena, senza porsi troppi rovelli espressivi né raffinatezze timbriche, quanto piuttosto una solida guida volta a non disturbare gli interpreti e tenere insieme l’Orchestra Filarmonica Italiana, con l’effetto di un’esecuzione anch’essa in bianco e nero, le cui improvvise accensioni melodiche costituivano l’eccezione a conferma della regola. Un plauso all’unisono dei corni in apertura di terzo atto, che per compattezza e dinamica ha ricordato per un attimo l’esito del Sinopoli newyorkese.
Molto buona anche la prova dei Cori: sia il Lirico modenese diretto da Stefano Colò che le voci bianche dirette da Paolo Gattolin vantavano un maggiore agio e una migliore resa che nel precedente titolo pucciniano. Quest’aurea medietas ha riguardato più o meno tutti i solisti: corretta la prova del “pastorello” Isabella Gilli, del carceriere Simone Tansini e del sonoro Sciarrone di Stefano Marchisio. Solidissimo l’Angelotti di Giovanni Battista Parodi mentre molto riusciti come personaggi ma vocalmente un po’ meno rifiniti, rispettivamente per volume esiguo ed emissione perfettibile, il Sagrestano di Valentino Salvini e lo Spoletta di Raffaele Feo. Lo Scarpia di Dario Solari non è forse di personalità debordante ma di rado lo si è sentito cantato tanto precisamente senza ricorrere a versacci e birignai veristi: è pur sempre un nobiluomo, che si esprime con suono ben appoggiato, mai forzato, anche al culmine del dramma. Dopo una sfortunata recita del “potere del fato” di qualche mese fa, è bello ritrovare Luciano Ganci in forma sul palcoscenico modenese: certo, la tecnica è personalissima e qualche volta fa temere per la di lui integrità vocale, ma ne esce benissimo grazie all’intelligenza interpretativa e ad una naturale estroversione sempre al servizio del personaggio (si intuisce però che sarebbe meglio impiegato, e forse con maggiore soddisfazione personale, al cimento con qualche ruolo un po’ più psicologicamente ricco di Cavaradossi).
Dulcis in fundo una vera primadonna si cala nei panni di Tosca: celebre ovunque, Ainhoa Arteta porta la sua cantante romana a Modena, con mezzo opulento, dizione perfetta, controllo del fiato e qualche lieve asperità in acuto che completano un quadro riuscito perfettamente padroneggiato. Gli applausi, non infuocati lungo tutta la recita, sono al termine calorosi per tutti e per gli interpreti principali in particolare (qualche isolato dissenso per Beltrami, che non ci si sente di condividere) ma il vero trionfo della serata è proprio per Arteta: alla fine di Vissi d’arte, davvero intenso per densità di suono e concentrazione, senza sbavature né eccessi, esplode un’ovazione, meritatissima. Si replica domenica e martedì. Foto Rolando Paolo Guerzoni
