Padova, Teatro Verdi, Stagione lirica del Teatro Stabile del Veneto 2019
“TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri, Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
Musica di Giacomo Puccini
Turandot REBECCA NASH
l’imperatore Altoum ANTONELLO CERON
Timur ABRAMO ROSALEN
Calaf GASTON RIVERO
Liù ERIKA GRIMALDI
Ping LEONARDO GALEAZZI
Pang EMANUELE GIANNINO
Pong CARLOS NATALE
Mandarino CRISTIAN SAITTA
il principe di Persia TIBERIU MARTA
Orchestra Coro e Ballo del Teatro Nazionale di Maribor
Direttore Alvise Casellati
Regia, scene e luci Filippo Tonon
Costumi Cristina Aceti
Allestimento del Teatro Nazionale di Maribor, Teatro Verdi di Padova e Teatro Sociale di Rovigo
Padova, 27 ottobre 2019
Dopo il successo riscosso da Nabucco nel 2018 con un allestimento elegante e funzionale ed un cast eccellente, il Teatro comunale Giuseppe Verdi di Padova prosegue la collaborazione con il teatro sloveno di Maribor e l’autore dello spettacolo: squadra che vince non si cambia, insomma, se non fosse che per l’inaugurazione della stagione lirica 2019 è stato importato interamente il “prodotto” opera proprio da Maribor, presente non solo con il proprio allestimento ma con tutte le proprie forze artistiche, orchestra, coro e corpo di ballo. Non è questo il luogo per fare polemica, anche perché gli sforzi del teatro sloveno sono encomiabili, ma piuttosto per riflettere in generale sullo stato dell’arte in Italia (senza scomodare l’attualissimo casus belli(ni) del Massimo catanese che, sì, andrebbe tenuto aperto ma magari anche amministrato a dovere): le tournée sono sacrosante, per carità, ma possibile che in Italia non riusciamo a radicarci nel territorio con una concezione “stabile” di cultura? Con le orchestre che già ci sono e le numerosissime schiere di giovani musicisti, in attesa di fare pratica e tristemente in coda per cattedre cui non sono vocati? Davvero non esiste una via di mezzo tra gli organici delle fondazioni lirico-sinfoniche e le raccogliticce spedizioni punitive da piazza estiva? Un teatro come quello padovano meriterebbe alcune puntate stabili obbligatorie per l’Orchestra locale (e del Veneto). Ben vengano poi le tournée e, perché no, le coproduzioni con meritevoli istituzioni ospiti come quella di Turandot. E poi, sinceramente, anche il pubblico meriterebbe ogni tanto di conoscere qualcosa di diverso dall’ennesima proposta di Tosche, Traviate, Turandotte e Barbieri.
Il teatro comunque gremito ha tributato un caloroso successo ad uno spettacolo scorrevole e leggibile da tutti (peraltro non nuovo e già visto anche in Italia, al Filarmonico veronese pochi anni fa): il pubblico dell’occasione è di quelli non troppo avvezzi all’opera, e allora ben venga un po’ di sano godimento unito alla divulgazione. Lo si evinceva dalle anziane signore che commentavano la trama in presa diretta (sigh) e dall’applausometro sia dei singoli numeri che della ribalta finale, con soddisfazione per tutti, dettato un po’ dall’apprezzamento per la performance e un po’ per la simpatia nei confronti dei “buoni” della vicenda. Come già accaduto per le precedenti produzioni, il cast vocale è stato di assoluto rilievo: accanto al veterano Antonello Ceron, ottimi il mandarino di Cristian Saitta e le tre festeggiatissime maschere Ping, Pang e Pong (rispettivamente Leonardo Galeazzi, Emanuele Giannino e Carlos Natale), assortite ed equilibrate, mai leziose né scaccolanti (eccetto le risatazze prolungate a chiusura del primo atto). È tonante e umano per doti timbriche di natura il Timur di Abramo Rosalen, cui ben si associa il calore di Erika Grimaldi, Liù più ricca e scura del solito, di timbro ancora immacolato, nonostante l’ampio repertorio, e di pienezza di suono (acclamata vetta di tutto il cast).
Il Calaf di Gaston Rivero e la principessa di gelo di Rebecca Nash condividono la potenza d’emissione e di volume e la fierezza in acuto, senza cedimenti e con ottima dizione, ma anche senza timbri baciati dalle muse né particolare profondità di interpretazione. Ovviamente il “Nessun dorma”, concluso con acuto solido e sicuro, ha fatto scatenare il teatro. Di certo nell’approfondimento dei personaggi nessuno è stato aiutato dalla direzione del maestro Alvise Casellati, che ha concertato più che correttamente ben seguito dai complessi di Maribor (per forza di cose, ridotti alle necessità di un teatro al chiuso, senza banda né organo, con qualche scricchiolio nelle trombe) senza svenevolezze o slentamenti, anzi con un ritmo serrato abbastanza inedito per l’estrema opera pucciniana, ma purtroppo con una rigidità eccessiva nella scansione ritmica e un’uniforme colore “mezzoforte-forte” che ha penalizzato, se non inaridito, la ricchezza timbrica e agogica di un’oriente immaginifico, qui purtroppo né fiabesco né barbarico. Un peccato, perché la regia sensata, le scene asciutte e le luci notturne (rischiarate dall’abbagliante trono di Altoum) di Filippo Tonon raccontano una storia cinese sì ma fuori dal tempo per chiarezza e validità, i cui oggetti e momenti salienti sono racchiusi in funzionali scatole nere che scorrono sul palcoscenico, in un silenzio prodigioso, con lievi modifiche a seconda della scena (peccato per i problemi tecnici con i led del cielo stellato nell’atto terzo).
La recitazione dei solisti è misurata e credibile, la movimentazione delle masse come al solito eccellente, cui si aggiungono i movimenti coreografati per il corpo di Ballo, portatore di ritualità fantastiche (e anche della maggiore concentrazione di paillettes, unico tocco un po’ kitsch nei costumi sobri e azzeccatissimi di Cristina Aceti). Ma siamo all’Opera e qualche deriva kitsch ci sta tutta, se motivata come in questo caso dal rispetto della drammaturgia e dall’amore per la musica: basti come esempio la pioggia di “coriandoli” dal cielo, il bianco che materializza i raggi lunari nell’invocazione del primo atto ed il rosso per la morte di Liù. Decontestualizzata parrebbe solo un espediente trito e ritrito; domenica è stata invece un colpo efficace, ottenuto con mezzi semplici ma frutto di sicuro senso del teatro. Dopo le due produzioni estive en plen air, la stagione lirica si concluderà in dicembre con un nuovo Don Giovanni mozartiano. Foto Francesco Pertini
