Parma, Festival Verdi 2019: “Aida”

Busseto, Teatro Giuseppe Verdi, Festival Verdi 2019
AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida BURCIN SAVIGNE
Radames DENYS PIVNITSKYI
Amonasro KRASSEN KARAGIOZOV
Amneris MARIA ERMOLAEVA
Ramfis ANDREA PELLEGRINI
Il Re RENZO RAN
Un messaggero MANUEL RODRIGUEZ
una sacerdotessa LUANA GRIECO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Michelangelo Mazza
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Franco Zeffirelli ripresa da Stefano Trespidi
Scene Franco Zeffirelli
Costumi Anna Anni ripresi da Lorena Marin
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografie Luc Bouy
Allestimento originale della Fondazione Arturo Toscanini; coproduzione del Teatro Regio di Parma con Teatro Comunale di Bologna in collaborazione con Concorso internazionale voci verdiane città di Busseto, Accademia Verdiana, OperaLombardia
Busseto, 13 ottobre 2019
Un capolavoro dura sempre nuovo e sempre attuale nel tempo: così è Aida, che a distanza di quasi centocinquant’anni dalla prima non cessa di parlare agli spettatori con la sua immensa ricchezza di colori, di immaginazione, di umane passioni, di complessità sì ma anche di estrema leggibilità. In Aida c’è effettivamente tutto: gloria, luce, trionfo, sospetto, amore sacro, profano, di patria, gelosia, vendetta, onore, giustizia, orgoglio, ineluttabilità… si potrebbe andare avanti ancora a lungo ma sarebbe un encomio futile. Questa Aida in particolare, definita Aidina dal suo stesso creatore Franco Zeffirelli che l’aveva particolarmente a cuore, riesce perfettamente a bilanciare la dimensione pubblica e chiassosa dei primi due atti con l’intimismo e il dramma dei restanti due: vederla riprendere (per le cure di Stefano Trespidi) al Festival Verdi 2019 è una gioia, soprattutto nel teatrino di Busseto dove nacque nel 2001 come esperimento internazionale (riuscitissimo). Ora come allora, il cast è affidato a giovani emergenti da tutto il mondo e ad una forma visiva opulenta eppure diretta ed essenziale, un equilibrio che Zeffirelli stesso non sarebbe riuscito a trovare nella mastodontica e dorata produzione all’Arena di Verona (dal 2002 ripresa più volte) né nella sua caricatura ancora più kitsch per l’inaugurazione della Scala nel 2007. Quasi dieci minuti della partitura di Verdi vengono sacrificati ma è un equo prezzo da pagare per uno spettacolo unico e indimenticabile, da vedere almeno una volta nella vita (perdiamo una ripetizione di Amneris e la relativa danza degli schiavetti nel primo quadro del second’atto, ed il balletto con trionfo di Radamés nel quadro successivo): in uno spazio così piccolo e vincolante ne beneficia tutto il resto, a cominciare dall’ottima recitazione degli interpreti, costretti a “fare teatro” in musica con sguardi, piccoli gesti, partecipazione fisica ed emotiva, una mimica facciale sotto gli occhi di un pubblico ogni sera diverso ma vicinissimo (trecento persone circa a recita). È un Egitto iper-classico ma efficace, con statue di Anubi, bassorilievi, tele dipinte con palmizi o piramidi, eppure immediatamente credibile tanto quanto l’esotismo musicale inventato da Verdi: ottimi a tal proposito i costumi disegnati da Anna Anni e ripresi con perizia di colori, trasparenze e lucentezza da Lorena Marin, così come le luci calibratissime di Fiammetta Baldiserri. Le coreografie di Luc Bouy sono funzionali ai riti ma a tratti paiono una ridondanza di lusso zeffirelliano in un meccanismo già di per sé perfettamente oliato. Nel golfo (golfino, visto l’abbassamento del termostato ad ogni apertura di sipario) mistico sedevano quaranta eccellenti membri dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretti da Michelangelo Mazza, maestro che ben conosce l’opera dalla posizione di primo violino al Regio parmense tenuta per quindici anni. E come nel 2001, il lavoro essenziale, pur con organico ridotto, riesce benissimo, per ricchezza e finezza di sfumature e giustezza dei tempi, mai estenuati né parossistici ma gradualmente sciolti, quasi rassegnati, in linea con la vicenda, man mano che si arriva alla fine. Molto corretti i colleghi del Coro diretto da Alberto Malazzi, quasi sempre compatti e sonori (in particolare le sezioni maschili, sugli scudi) ma tutti ottimi nel gran concertato dell’atto secondo. Domenica 13 ottobre è andato in scena il cast alternativo, che metteva insieme giovani di sette nazionalità diverse nel segno del cigno di Busseto: Luana Grieco si salva per un soffio nella breve ma insidiosissima parte della Sacerdotessa, Manuel Rodrìguez dà vita ad un messaggero giustamente trafelato eppure di bel timbro, Renzo Ran e Andrea Pellegrini fanno a gara per limpidezza e ampiezza di cavata nei due ieratici ruoli da basso dell’opera. Krassen Karagiozov ha buoni intenti espressivi e materiali vocali ma, forse anche per la pronuncia un po’ arruffata qua e là, al confine con qualche eccesso veristico. Bella voce e figura ha l’Amneris di Maria Ermolaeva, attrice molto buona che dovrebbe solo evitare un frequente ingolamento nel registro grave e controllare un po’ di più acuti potenti ma allo sbaraglio. Alla fine i migliori in campo sono Aida e Radamés: con mezzi diversi riescono a creare dei protagonisti perfettamente a fuoco, a tutto tondo ed interpretativamente indimenticabili. Il tenore ucraino Denys Pivinitskyi presta figura giovanile ideale e accento baldanzoso al generale egizio: c’è tanta voce e, pur in uno spazio decisamente ridotto, si sente ma quello che conta di più è l’incredibile capacità di assottigliare il suono e trovare pianissimi e mezzevoci che regalano finalmente al pubblico l’altra metà di Radames, quella introspettiva, in grado di flirtare con la principessa e amare appassionatamente Aida. La quale è il soprano turco Burcin Savigne, ugola di metallo, capace di fiati lunghissimi e legati rari, anch’essa unita ad una comprensione e padronanza della parola scenica e una ricercatezza di addolcimento e sfumature ovunque serva. Con due interpreti sensibili particolarmente in serata, insomma, il finale dell’opera è stato eccellentemente realizzato e commovente, ben supportato dalla profonda cantabilità del maestro Mazza: dopo aver visto ed ascoltato centinaia di Aide, è stato disarmante trovarsi a singhiozzare al lento spegnersi della luce sugli sventurati amanti, con quell’istante di magico silenzio in cui si ode solo il frusciare del sipario che si chiude. Folto pubblico internazionale, applausi molto calorosi per tutti. Foto Roberto Ricci

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