Richard Strauss (1864 – 1949): “Intermezzo” (1924)

Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
Intermezzo op. 72, opera in due atti su libretto proprio.
Prima rappresentazione: Statsoper di Dresda, il 4 novembre 1924 “Quanto a una nuova opera, ho in mente le due cose seguenti: o una commedia perfettamente moderna, tutta realistica, di caratteri e di psicologie nervose, del tipo a cui Le ho già accennato quando Ella mi ha indirizzato a Bahr – oppure un grazioso lavoro d’amore e d’intrigo, più o meno a metà strada tra la Liebelei di Schnitzler, che naturalmente è troppo stucchevole e insulsa – e Geheimer Agent di Hackländer o Le Verre d’eau di Scribe, un genere di commedia a intrigo di cui ho sempre avuto una speciale predilezione” (Hugo von Hofmannsthal-Richard Strauss, Epistolario, Adelphi, Milano, 1953, p. 358).
Questo accenno alla composizione di una nuova opera, contenuto nella lettera del 25 maggio 1916 indirizzata ad Hofmannsthal, costituisce una testimonianza del particolare fervore creativo che stava vivendo Strauss in quel periodo funestato dalla guerra. Non particolarmente pronto, tuttavia, ad impegnarsi in una nuova avventura soprattutto in un genere nel quale si sentiva meno versato, era sicuramente Hofmannsthal che, già in precedenza, aveva suggerito, come si evince dalla lettera precedente, il nome di Hermann Bahr, critico, autore teatrale e romanziere di spicco nel panorama letterario austriaco del tempo. Strauss, che stava lavorando alacremente al prologo della seconda versione dell’Ariadne auf Naxos, avrebbe voluto che fosse Hofmannsthal a scrivere il libretto di questa sua nuova opera e il 5 giugno del 1916 scrisse al suo poeta:
“Rida, rida: ma io so bene quello che voglio. Quando avrà ascoltato il nuovo prologo [dell’Ariadne auf Naxos], che sarà finito in partitura verso il 20 giugno (dunque La aspetto senz’altro verso il 10 luglio qui a Garmisch, una stanza degli ospiti è a Sua disposizione, e spero che rimarrà da noi almeno un paio di giorni) – mi capirà e si accorgerà che ho un grande talento per l’operetta – anche perché il mio lato tragico è un po’ spompato, e dopo questa guerra la tragedia in teatro mi sembra per ora alquanto fiacca e infantile, e il mio incoercibile talento (in fin dei conti sono l’unico compositore oggi che abbia veramente umorismo, arguzia e uno spiccato talento per la parodia) lo vorrei mettere alla prova. Sì, mi sento addirittura chiamato a diventare l’Offenbach del 20° secolo, ed Ella sarà, deve essere, il mio poeta. La Hélène e l’Orphée di Offenbach hanno portato ad absurdum le ridicolaggini del «grand-opéra». Ciò a cui miro con le provocazioni che mi passano per la mente, e di cui Lei si irrita tanto, sarebbe una parodia politico-satirica di stile il più tagliente possibile. Perché lei non dovrebbe riuscirci? In genere Lei scrive troppo poco: dia energicamente di sprone al suo Pegaso, una buona volta. Allora sì che la bestiaccia corre. La nostra strada parte dal Rosenkavalier”. (Ivi, pp. 360-361).
In realtà Hofmannsthal non diede energicamente di sprone al suo Pegaso e Strauss cominciò a collaborare con Bahr dando corso a tentativi che si rivelarono del tutto inutili, tanto che il nostro compositore decise di scrivere il libretto da sé. Così lo stesso Strauss avrebbe ricordato in seguito la composizione di Intermezzo:
“Il tuffo nella fiaba romantica e la forte tensione fantastica prodotta dal difficile soggetto della Donna senz’ombra fecero rinascere in me il desiderio di un’opera moderna, realistica, che nutrivo da tempo: otto giorni di soggiorno nel sanatorio del dottor Krekke mi permisero di buttar giù il testo di Intermezzo. Già in precedenza avevo esposto l’argomento a Bahr pregandolo di cavarne un libretto d’opera. Bahr stese una traccia, ma infine mi disse: «Nessuno può farlo, se non lei». E così fu. La piccola, innocua vicenda mi valse questa lode di Max Reinhardt: il testo di Intermezzo gli pareva così ben fatto che non avrebbe esitato un istante a rappresentarlo anche come commedia in prosa” (R. Strauss, Note di passaggio, Riflessioni e ricordi, a cura di S. Sablich, EDT, Torino 1991, p. 144).
Per quanto riguarda il soggetto Strauss s’ispirò ad un fatto, apparentemente inverosimile, ma assolutamente vero, di cui fu direttamente protagonista; si tratta di un presunto suo tradimento perpetrato ai danni della moglie Pauline quando, nel 1903, ricopriva a Berlino l’incarico di Hofkapellmeister. In quell’occasione una giovane donna scambiò il compositore tedesco per un tale di nome Stanky che era il direttore di una compagnia italiana di passaggio nella città tedesca. Lo scambio di persona, che non era stato originato solo da una forma di assonanza dei due cognomi, ma anche dal fatto che Strauss era stato visto dalla donna conversare amabilmente in italiano con alcuni suoi amici, avrebbe potuto condurre a delle conseguenze più serie; la giovane donna indirizzò, infatti, a Strauss una lettera il cui contenuto non lasciava adito ad equivoci sulla natura amorosa dei loro rapporti. Caduta nelle mani della moglie Pauline che, in assenza del marito impegnato in tournée, l’aveva aperta, la lettera ne provocò la gelosia e la rabbia tanto da indurla a rivolgersi immediatamente al suo avvocato per chiedere il divorzio oltre ad una parte del patrimonio e l’affidamento del figlio. Al ritorno di Strauss i due coniugi si chiarirono e l’episodio increscioso non ebbe conseguenze, ma il compositore ricordò questo episodio che, insieme ad alcuni modelli letterari tra cui la novella Doppio sogno di Arthur Schnitzler, della quale sono protagonisti due coniugi che si confessano un mancato tradimento, costituisce la fonte d’ispirazione del libretto di quest’opera in cui non manca una certa autoironia come è dimostrato dalla scelta di modificare il suo cognome, Strauss,  struzzo in tedesco , con Storch che, invece, significa cicogna.
Completata il 21 agosto 1923 a Buenos Aires, dove Strauss si trovava per una tournée con i Wiener, l’opera fu rappresentata per la prima volta alla Statsoper di Dresda il 4 novembre 1924 sotto la direzione di Fritz Busch con Lotte Lehmann (Christine Storch), Joseph Correck (Robert Storch), Theo Strack (il barone Lammer) ed Elfriede Haberkorn (sua moglie). Per questa prima lo stesso Strauss curò la scelta del cast e soprattutto impose il nome della Lehmann, già la Tintora nella Donna senz’ombra, per il ruolo di Christine Storch, trasposizione teatrale della moglie Pauline. Questa scelta suscitò qualche perplessità a causa di alcune imperfezioni musicali di questo soprano che facevano spazientire anche il direttore Busch, il quale, durante le prove, non mancava di manifestare il suo disappunto lanciando delle occhiate a Strauss, proprio mentre la Lehmann cantava. Il compositore, per nulla infastidito, affermava: Vedo bene che la signorina Lehmann galleggia, ma preferisco il suo galleggiare al canto delle altre cantanti. In effetti Strauss aveva scelto la Lehmann perché convinto non solo del fatto che il pubblico di Dresda, dove vi lavorava stabilmente un cast che metteva in scena le sue opere, avrebbe gradito poco la presenza di una diva di Vienna, ma anche perché il soprano tedesco aveva avuto modo di conoscere gli atteggiamenti della moglie in occasione di un suo soggiorno a Garmisch nel 1919.

L’opera – Atto Primo
Definita da Strauss una commedia borghese con interludi musicali, l’opera si apre con un vero e proprio quadretto borghese il cui teatro è la casa di Grundlsee dell’Hofkapellmeister Robert Storch. Questi è in procinto di partire per Vienna per ragioni di lavoro, mentre sua moglie Christine, particolarmente ansiosa, si lamenta della servitù e rimprovera il marito di essere spesso distratto. Questi, conoscendo bene gli sbalzi di umore della donna, resta imperturbabile e si appresta a fare colazione mentre la moglie gli rimprovera le sue origini. In questa scena iniziale, come avviene di solito nelle partiture operistiche di Strauss, nella prima battuta, appare anche il Leitmotiv principale, qui costituito dal cromatismo discendente a cui segue il salto di nona che ricorre spesso all’interno dell’opera per rappresentare l’unità familiare messa in discussione dall’equivoco, mentre la scrittura vocale tende verso un’imitazione del parlato in quanto non si libra quasi mai in aperture liriche già sin dalla prima battuta nella quale Christine chiama la serva Anna con un salto di settima. Nel prosieguo della scena e molto spesso all’interno dell’opera la scrittura vocale dei due personaggi è resa anche con disegni rapidi tesi ad imitare la fluidità del parlato, mentre l’orchestra, il cui organico è sensibilmente ridotto, sottolinea, intervenendo di volta in volta, il dialogo dei due coniugi. L’esposizione, da parte dell’orchestra, di un tema estremamente rapido, marcato in partitura con l’andamento Presto, che sembra rappresentare l’affaccendarsi delle donne nello svolgere i mestieri di casa, introduce una nuova situazione scenica in cui si assiste a un dialogo tra la serva e la donna colpita dalla solita profonda tristezza causata dalla partenza del marito il quale, ritornato, prende congedo dalla moglie che non gli lesina consigli accompagnati da una musica particolarmente gaia e leggera quasi di sapore settecentesco.
Dopo un breve intermezzo orchestrale nel quale ritornano rielaborati i temi precedentemente esposti dall’orchestra, Christine, rimasta sola con la sua serva Anna, su un accompagnamento orchestrale leggerissimo nel quale emerge il delicato suono dell’arpa, si fa bella (Nun wollen wir friesieren!). Triste perché il marito è partito, Christine avrebbe voluto accompagnarlo, ma è trattenuta da numerose incombenze, tra cui la cura del figlioletto, gli ordini da dare alla sua cuoca, che spedisce rapidamente in cucina, o fare delle telefonate. In questa scena, nella quale parti parlate si alternano ad altre cantate, l’ironia di Strauss si esercita anche attraverso una scrittura orchestrale in cui non mancano toni patetici. Sempre su una scrittura patetica che fa largo uso del motivo iniziale, la donna si lamenta del marito con la serva che prende violentemente le difese del suo padrone. Le due donne sono interrotte dallo squillo del telefono, intervallato da un brevissimo motivo del fagotto; all’altro capo c’è un’amica che, come si apprende dalle parole recitate dalla donna su un leggerissimo accompagnamento degli archi, del flauto e del clarinetto, invita Christine ad un appuntamento.
Un breve interludio orchestrale, costituito principalmente sul tema cromatico discendente che ha caratterizzato il dialogo delle due donne qui alternato con altri elementi tematici già utilizzati da Strauss, accompagna il cambio di scena. Christine si trova nella pista di toboga, una particolare slitta il cui scivolare sul ghiaccio è reso attraverso delle rapide scale discendenti che partono da vitrei suoni acuti tenuti. La donna, imbattutasi per caso nel barone Lummer che, involontariamente, fa cadere e scopre essere il figlio di un suo amico, lo invita a casa sua dando vita a una brevissima scena tratteggiata con rara finezza soprattutto nell’orchestrazione particolarmente leggera.
Un altro interludio orchestrale, che questa volta prende le movenze di un elegante valzer viennese già nel tema principale esposto dal pianoforte, accompagna il nuovo cambiamento di scena aperta da squilli di tromba che ironicamente sembrano evocare, per il loro carattere falsamente solenne, un ambiente aristocratico settecentesco. Qui Christine, sempre al ritmo di un elegante valzer viennese, balla con il Barone che si mostra premuroso nei suoi confronti. Molto bella è l’impostazione quasi cinematografica della scena con il dialogo dei due personaggi (Ich kann nicht mehr / Non ne posso più) in primo piano e il valzer intonato da una piccola ensemble di fiati sullo sfondo.
Un altro interludio orchestrale, sempre su un ritmo di valzer, conduce alla scena successiva costituita da una camera ammobiliata, ubicata nella casa di un notaio, che Christine sta affittando per il Barone, come si apprende nel dialogo tra questa e la moglie del notaio. La scena, inizialmente simile al recitativo accompagnato che viene rielaborato in una forma estremamente moderna, ha un carattere discorsivo con una scrittura vocale costituita da ribattuti che imitano il parlato.
Un nuovo interludio orchestrale, questa volta costituito su un elegante tema in 2/4, accompagna l’ennesimo cambio di scena. La donna adesso si trova nel suo appartamento dove sta ascrivendo una lettera al marito per informarlo della sua nuova amicizia con il barone dal quale è attratta perché si sente apprezzata come donna e non in quanto moglie di un famoso direttore d’orchestra. La parte iniziale della scena, per la sua alternanza di recitazione e canto sempre su un’orchestrazione leggera, presenta un carattere da operetta. Annunciato dalla cuoca Fanny, fa il suo ingresso il barone e i due danno vita a un duetto nel quale passi lirici si alternano ad altri più “discorsivi” su argomenti piuttosto banali. La discussione diventa scottante allorché la donna gli chiede quando pensa di riprendere i suoi studi; il giovane uomo, piuttosto refrattario all’argomento, risponde che preferirebbe prima viaggiare ma è privo di mezzi per farlo. La donna sposta allora il discorso sui fatti riportati dai giornali, mentre l’orchestra intona il valzer che aveva caratterizzato uno dei loro primi incontri; l’uomo, tuttavia, cerca di orientare la discussione sempre sul lato economico strappando alla donna la promessa che avrebbe parlato con suo marito, un uomo tanto buono e generoso, che non le avrebbe certamente negato un prestito. Nel prosieguo del duetto, caratterizzato musicalmente dal motivo iniziale rielaborato in orchestra, il Barone insiste per avere un prestito a prescindere dalla decisione del marito. Alla fine l’uomo va via e Christine, mentre in orchestra i violoncelli raddoppiati da un languido corno inglese intonano un tema d’intenso lirismo, pensa teneramente al marito.
Questo tema, insieme al motivo iniziale rielaborato e allargato, informa il successivo lirico interludio orchestrale che accompagna il successivo cambiamento di scena di carattere completamente diverso. Il fagotto, duettando con il clarinetto, introduce un buffo tema che serve ad ambientare la scena che si svolge nella camera del barone che sta perdendo il suo tempo sia pensando ai viaggi che avrebbe potuto fare sia intonando una canzone popolare sia suonando un zufolo. Giunge una sua amica di nome Resi che l’uomo congeda rapidamente intenzionato a fare un altro tentativo presso Christine chiedendole il prestito tramite una lettera.
Un altro interludio orchestrale, costruito con elementi tematici precedentemente ascoltati, accompagna il nuovo cambio di scena che si sposta nell’appartamento di Christine, particolarmente irritata per la richiesta di mille marchi avanzatale dal barone. La sua irritazione, rappresentata inizialmente da graffianti accordi degli archi, si tramuta in freddezza allorché giunge il barone con il quale intrattiene un dialogo con ampie sezioni discorsive intercalate dal lirico tema che, utilizzato in precedenza, qui appare ormai come uno sbiadito ricordo di quel momento di serenità. Nel frattempo viene recapitata a Christine una lettera indirizzata al marito e da lei aperta in sua assenza nella quale una donna, oltre a chiedere all’uomo, con accenti inequivocabili sulla natura amorosa dei loro rapporti, di fornirgli altri due biglietti per l’opera, gli dava appuntamento, come di consueto, al solito bar, firmandosi alla fine: Deine Mieze Maier (La tua micia Maier). Christine cade in una profonda disperazione rappresentata icasticamente dal tema iniziale, qui rielaborato per moto contrario quasi a rappresentare il crollo delle certezze coniugali sulle quali aveva fondato la sua vita. Presa da rabbia, Christine invia immediatamente un telegramma al marito con il quale gli comunica la sua decisione di lasciarlo e, nel contempo ordina che si facciano le valigie.
Un nuovo interludio orchestrale, questa volta agitato e patetico, accompagna l’ultimo cambio di scena dell’atto. La donna, introdotta e accompagnata dal dolente suono del corno inglese, si trova nella stanza del figlioletto Franzl, al quale comunica la sua decisione di andar via. Il bambino, recitando, contrariamente alla madre che si abbandona ad un lirico pianto dagli accenti wagneriani, tenta di difendere il padre. Un pianissimo accordo di fa minore conclude l’atto dopo i drammatici interventi degli archi raddoppiati prima dalle trombe e poi dai tromboni a cui si uniscono i corni.
Atto secondo
Una breve introduzione strumentale, di carattere cameristico per la scelta di ridurre l’organico orchestrale a pochi strumenti, in prevalenza archi, a cui si aggiunge il pianoforte che si produce in un tema brillante, disegna l’ambiente salottiero della scena iniziale del secondo atto che si svolge nel salone dell’abitazione del consulente commerciale il quale, mentre sta giocando a Skat insieme al consigliere di giustizia, al Kammersänger e al Kapellmeister Stroh, si intrattiene con loro parlando dello strano caso capitato a Storch in uno stile che oserei definire, ancora una volta, discorsivo, per l’insistenza sui ribattuti che imitano il parlato. Giunto improvvisamente e del tutto ignaro del telegramma inviatogli dalla moglie, Robert Storch la difende con veemenza, quando lo si punzecchia sugli umori piuttosto cangianti di Christine, mentre l’orchestra intona dei temi già ascoltati nell’atto primo che richiamano la serenità coniugale della coppia. L’arrivo del telegramma della moglie produce un totale cambio d’atmosfera con l’orchestra che perde quel carattere salottiero per prodursi in graffianti sforzati e in disegni drammatici che sottolineano i commenti dell’uomo dopo la lettura del sorprendente telegramma. Alla fine l’uomo va via per riflettere, mentre gli altri, dopo una breve drammatica parentesi orchestrale, continuano a giocare dando vita a un comico quadretto borghese.
Un breve interludio di carattere cameristico, nel quale emerge la perizia contrappuntistica di Strauss, accompagna il primo cambio di scena che conduce il pubblico nell’ufficio del notaio dove Christine si è recata per chiedere il divorzio. Un raggelante tema dei legni ambienta la scena, nella quale, però, la donna non ottiene ciò che chiede, in quanto il notaio non si dichiara pronto a dare corso alle pratiche se non dopo aver ascoltato il marito. I due danno vita ad un alterco al termine del quale Christine furiosa va via brontolando.
La rabbia della donna sembra materializzarsi nel drammatico interludio orchestrale che accompagna il secondo cambio di scena dell’atto e in realtà rappresenta, in modo icastico, non solo il suo stato d’animo ma anche la tempesta che si è abbattuta su Vienna e in particolare sul Prater dove si trova Storch che vaga senza meta e senza sapere ciò che deve fare. Lo raggiunge Stroh il quale, sempre in uno stile “discorsivo” svela l’equivoco che ha generato la violenta reazione della moglie; la lettera, che per un errore causato dalla somiglianza del nome era stata recapitata a Storch, era indirizzata a lui stesso. A questo punto l’uomo chiede al suo interlocutore di recarsi da sua moglie per chiarire l’equivoco di cui era stato inconsapevolmente vittima.
Un interludio orchestrale altisonante e falsamente eroico e, per questo, ironico conduce il pubblico all’interno della toilette di Christine che si sta preparando per partire. In questo ambiente regna il disordine, rappresentato quasi dall’affollamento di temi legati, però, da Strauss con un sottile gioco contrappuntistico; la donna discute con la sua cameriera intorno alla decisione di aver incaricato il Barone di scoprire se veramente esistesse una liaison tra suo marito e la presunta Mieze Maier. In questa scena, nella quale ancora una volta parti recitate si alternano ad altre cantate che per la scrittura fortemente drammatica e quasi “espressionista” potrebbero ben figurare in opere come Elektra, la donna dubita delle capacità del barone di portare a termine la sua missione, anche perché ha dimenticato di dargli una foto di suo marito. Nel frattempo giunge un telegramma con il quale Storch cerca inutilmente di spiegarle l’equivoco; la donna, infatti, resta scettica, pensando che sia una scusa. Soltanto Stroh potrebbe provare la veridicità delle affermazioni del marito e questi, dopo esser stato annunciato, viene fatto entrare.
Un breve interludio sinfonico sposta la scena nella sala da pranzo dove la donna attende suo marito che, però, al suo arrivo tratta con freddezza. Ne deriva un alterco ironicamente rappresentato da Strauss con una scrittura fortemente drammatica al termine del quale Christine resta distrutta.
Una scrittura orchestrale leggera “annuncia” l’arrivo del Barone di ritorno dalla sua missione; anche questi è trattato con freddezza da Christine ed è seguito dal marito che giunge poco dopo, accompagnato da un’orchestra ridotta ad un organico quasi cameristico. L’uomo si prende gioco della donna e soprattutto della sua presunta infatuazione per il barone. Questa, non senza vergogna, confessa la richiesta fattale dal giovane uomo di mille marchi suscitando l’ilarità del marito che afferma ironicamente das nenn’ ich ein Malheur (Questa, almeno, è una vera disgrazia). Sul tema d’intenso lirismo, che nel primo atto aveva caratterizzato il sentimento d’amore di Christine nei confronti del marito (Es. 3), la donna, ormai guarita dalla sua gelosia, promette, duettando con lui in una scrittura di ascendenza tristaniana per alcuni elementi cromatici e per l’uso delle progressioni ascendenti, di non contrariarlo più. Dopo che i due coniugi si sono dichiarati reciproco amore, la donna conclude affermando: Gelt, mein lieber Robert, das mennt Man doch wahrhaftig eine glückliche ehe? (Mio caro Robert, non è questo quello che le persone chiamano un matrimonio felice?)