Venezia, Teatro La Fenice: la Quarta e la Quinta sinfonia di Mendelssonh secondo Claus Peter Flor

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2019-2020
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Claus Peter Flor
Felix Mendelssohn Bartoldy: Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana”; Sinfonia n. 5 in re maggiore op. 107 “Riforma”
Venezia, 20 dicembre 2019
Protagonista del sesto appuntamento della Stagione Sinfonica 2019-2020 del Teatro La Fenice era il maestro Claus Peter Flor, originario di Lipsia, attualmente direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano, per la prima volta sul podio dell’orchestra del teatro veneziano a dirigere due grandi pagine sinfoniche di Felix Mendelssohn Bartholdy: la Sinfonia n. 4 in la maggiore op. 90 “Italiana” e la Sinfonia n. 5 in re maggiore op. 107 “Riforma”.
L’ispirazione della Sinfonia Italiana nacque dal “viaggio in Italia” – all’epoca, fondamentale esperienza formativa per i rampolli della buona società –, che il compositore compì intorno al 1830. L’opera fu presentata a Londra, sotto la direzione dello stesso autore, il 13 maggio 1833, ma venne rielaborata più volte, tanto che la versione definitiva fu eseguita per la prima volta solo nel 1849, due anni dopo la morte di Mendelssohn, a Lipsia. Strutturata in quattro tempi, rispecchia, nella gioiosa leggerezza dei movimenti estremi, il richiamo al Bel Paese, contenuto nel titolo. Temi e ritmi popolari vengono interpretati con grande libertà, mentre l’orchestrazione, di impronta francese, mette in valore, senza indulgere in impasti sonori, il puro timbro delle singole famiglie strumentali.
Poco prima dell’Italiana, fra il settembre del 1829 e l’estate del 1830, Mendelssohn aveva composto quella che compare nel catalogo come Quinta Sinfonia in re maggiore op. 107 – poiché pubblicata solo nel 1868, nonostante sia stata scritta dopo la prima –, denominata “Riforma”, trattandosi di una partitura realizzata in occasione del trecentesimo anniversario della Confessione di Augusta, il documento dottrinale redatto da Filippo Melantone per la Dieta di Augusta, nel vano tentativo di ristabilire la comunione con la Chiesa cattolica, che finì per costituire la professione di fede del luteranesimo. Il lavoro ha un carattere severo, sacrale, profondamente religioso: vi si distingue chiaramente la citazione dell’“Amen di Dresda” – tipica formula responsoriale luterana, formata da una sequenza di sei note, che fu poi utilizzata anche da Wagner per il motivo del Graal nel Parsifal –, oltre a quella del corale “Ein feste Burg ist unser Gott” (Una solida fortezza è il nostro Dio).
Esemplari, raffinate, puro godimento per le orecchie ed il cuore si sono rivelate le scelte interpretative di Claus Peter Flor che, con gesto mai eccessivo ma efficacissimo, ha saputo coniugare i toni più lievi ed essenziali a slanci di intensa espressività, sostenuto da un’orchestra docile e sensibile, vigorosa e scattante, morbida e delicata.
Deciso l’attacco del primo movimento della Sinfonia Italiana,
Allegro vivace, con un tema, cui la partenza in levare conferisce particolare slancio, dopodiché archi e fiati hanno brillato nel loro dialogo dal ritmo serrato, dando vita a un discorso musicale – in cui si ha la successiva comparsa di una seconda idea tematica e poi insolitamente, nello sviluppo, di una terza, in un efficace gioco contrappuntistico – particolarmente nitido e animato, fino all’estesa coda. Un’atmosfera raccolta e pensosa ha dominato nell’Andante con moto, basato su una nobile melodia, triste e lenta – un canto processionale dal vago sapore modale, sostenuto da un incessante procedere degli archi –, interrotta qua e là da un secondo motivo più aperto e cantabile, che lentamente si spegne. Vago e scorrevole il tema che apre il terzo movimento, Con moto moderato, una melodia fluida e cantabile, che viene ripetuta, con qualche leggera variazione dopo il Trio – dove si sono segnalati, nel loro ritmico intervento, corni e fagotti – creando un interessante effetto di dialogo tra i due nuclei tematici. Particolarmente brillante l’ultimo movimento, Saltarello: Prestofondato sull’alternanza e sulla sovrapposizione del ritmo a terzine e di quello binario –, un esplicito omaggio alla terra italiana, in una sfolgorante evocazione di suoni e di colori, attraverso questa vorticosa danza popolare. Nitido e pieno di verve l’intervento dei flauti, che intonano il motivo iniziale, dal ritmo incalzante.
Al “romanticismo felice” di cui è in qualche modo espressione la Sinfonia Italiana ha fatto seguito il carattere diffusamente severo e misticheggiante della Sinfonia Riforma. Anche qui si sono apprezzate le scelte interpretative di Flor, sempre adeguatamente assecondato dall’orchestra. Un tono di mistico fervore ha dominato nell’Andante, che introduce il primo movimento, basato sul solenne ritmo puntato del corale “Ein’ feste Burg ist unser Gott”, poi oggetto di un’elaborazione, che gli conferisce i toni di un’appassionata predicazione, cui contrasta la citazione del soave Amen di Dresda – altamente suggestivo per il tempo particolarmente lento scandito da Flor e l’incantevole, tenue sonorità resa dagli archi –, che Mendelssohn, convertitosi al protestantesimo, seguendo l’esempio del padre Abraham – sentiva durante le funzioni. Un clima di gioia paesana si è creato con il secondo movimento, Allegro vivace: uno Scherzo, la cui prima parte, poi ripresa dopo il Trio, è caratterizzata da un ritmo puntato, ricordando vagamente una danza popolare, mentre il tema del Trio è un canto dolce e consolatorio eseguito da due oboi, procedendo per terze, in un modo tipico della musica popolare. Gli archi si sono messi in luce nel successivo Andante, che ha la funzione di introdurre il quarto movimento, intonando con estrema grazia la melodia intima e raccolta, che è loro affidata quasi esclusivamente, con l’eccezione di due soli sommessi interventi di flauto e fagotto, cui nelle ultime battute si aggiungono anche clarinetti, corni, trombe e timpani prima del suggello finale affidato ancora ai soli archi. Di struggente misticismo è risultato l’ultimo movimento, Andante con moto. Allegro Maestoso – dove hanno brillato tutte le sezioni dell’orchestra, guidata con mano ferma, in particolare, negli stupendi passaggi contrappuntistici –, costituito da una serie di variazioni sul corale “Ein’ feste Burg ist unser Gott!”, e dalla ripresa dell’Amen di Dresda. È il flauto ad intonare il corale; poi, ad armonizzarlo, si vi si uniscono i legni, e poi ancora gli archi, finché dopo la sua presentazione in stile organistico, non prende vita la sua elaborazione sinfonica, gioiosa affermazione di fede in quel Dio, che è salda fortezza. Scroscianti applausi da parte di un pubblico entusiasta.